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Il volto santo di Gesù tra scienza e fede

E ti vengo a cercare. Anche solo per vederti o parlare. Perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza”. Così recitava una famosa canzone degli anni ‘80 di Franco Battiato. Parole calzanti e inequivocabili perché lo cerchiamo continuamente il volto del Signore, ma è vero anche il contrario. Il più grande cercatore di tutti i tempi, infatti, è proprio Lui, il nostro redentore, il Cristo, talmente innamorato delle sue creature che non ha esitato un istante a dare la vita per tutti noi.

E in questo tempo di grazia, subito dopo la Resurrezione, come non innamorarsi di questo Dio Amore? Sì, è possibile, anche in un momento storico in cui sembra che l’Europa abbia smarrito l’amore per Cristo; sono convinta, infatti, che per tornare ad amarlo e a farci amare da Lui, basterebbe poterlo guardare in volto, e farsi guardare. Semplicemente. Ed è un’esperienza da fare, almeno una volta nella vita, visitando la basilica del volto Santo di Manoppello (PE), in Abruzzo.

Avevo sentito parlare, nella tradizione popolare, del Volto Santo, senza accertarmi di che cosa si trattasse. Ma mai mi sarei aspettata di imbattermi in una storia così sconvolgente e coinvolgente, così sublime, così ricorrente nel corso dei secoli. La storia delle sacre reliquie si perde nella notte dei tempi e rimanda agli oggetti rinvenuti nel Santo Sepolcro dopo la resurrezione di Cristo: il fazzoletto che ne aveva avvolto il capo – più precisamente naso e bocca – durante la deposizione dalla croce (il Sudario di Oviedo, precedentemente a Gerusalemme e ad Alessandria d’Egitto), il lenzuolo che ne aveva ricoperto il corpo (la Sindone di Torino, che alle origini era il Mandylion custodito nell’antica Edessa in Turchia) e il sudario che il Vangelo di Giovanni ci dice che “era stato posto sul capo” di Gesù (esposto nei primi secoli a Camulia, presso l’attuale città turca di Kayseri).

Non tento neppure di ricostruire la storia di queste sacre reliquie, perché mi ci perderei; lo hanno fatto studiosi molto autorevoli. tra i quali il prof Baima Bollone che nel 1978 confermò che la macchia sulla figura della Sindone era stata prodotta da sangue umano, che si trattava di plasma del gruppo AB mischiato a particelle microscopiche di mirra e aloe. (Lo stesso gruppo del miracolo di Lanciano, e del sudario di Oviedo). E il volto esposto nel Santuario di Manoppello, quale sarebbe? Il sudario che gli era stato posto sul capo.

Quello che osserviamo nell’omonimo santuario è appunto questo: è un ritratto di Gesù, acheropita, cioè non fatto da mani d’uomo ed è custodito in un ostensorio esposto tra due vetri trasparenti. È impresso su un tessuto sottilissimo, preziosissimo (bisso marino) che è inspiegabilmente visibile sulle due facce e su entrambe quel volto sparisce nella trama se osservato frontalmente. È stato scientificamente provato che non si tratta di un dipinto in quanto il tessuto, quasi un velo, non lo avrebbe potuto sopportare. È l’immagine di un uomo con i capelli lunghi e la barba divisa a bande, la fronte spaziosa; le labbra, leggermente dischiuse danno l’impressione di uno che ti voglia parlare.

Ma quello che colpisce in assoluto è lo sguardo: dolce, accogliente di uno che sta lì aspettando proprio te e non per giudicarti. È il Dio fatto uomo, quello che porta i segni della passione: il volto ovale, la guancia sinistra gonfia, il naso tumefatto, un colpo inferto sul volto. E tuttavia è capitato a me di restare incantata da quel volto di una semplicità spiazzante; in un primo momento mi sono chiesta: “Possibile che il Suo viso sia di tale straordinaria linearità? Ma si diceva che fosse bellissimo!” Ma poi mi sono venute in mente le parole dell’evangelista Giovanni quando scriveva: “…E il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure, il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” E le pie donne che, pur avendolo incontrato subito dopo la resurrezione, non lo riconobbero, e i discepoli di Emmaus, e gli stessi apostoli, titubanti e turbati, quando apparve loro nel Cenacolo e per convincerli che non era un fantasma chiese anche da mangiare.

E noi uomini del XXI secolo allora? Siamo senza speranza? No, perché il Signore ci ama sempre, comunque e dovunque e ancora una volta ci viene a cercare. Ed è in questa basilica che frate Antonio ci ha guidati alla scoperta di una storia meravigliosa. Ci ha condotti in una sala dove su diversi pannelli erano raffigurate le immagini ingrandite di tre volti che altro non erano che Il volto della sacra Sindone, il volto di Manoppello, e il telo di Oviedo (città della Spagna dove è custodito il telo).

Il frate ci ha spiegato che dopo gli studi dell’illustre studioso Pfeiffer, è stata suor Blandina Paschalis Schloemer che, con un lavoro certosino di confronto e sovrapposizione, ha scoperto che il Volto di Torino e quello di Manoppello combaciano perfettamente. L’unica differenza gli occhi: chiusi, nell’uomo della Sindone, aperti nel Volto Santo di Manoppello. Inoltre, mettendo a confronto coi primi due anche il telo di Oviedo suor Blandina ha osservato che i tre teli combaciavano alla perfezione nelle dimensioni, nella disposizione dei tratti, degli occhi del naso e della bocca. Le stesse tracce di sangue, le stesse ferite. Ed è impressionante oggi vederli facendo scorrere i tre pannelli di vetro con le immagini, l’uno sull’altro.

Stiamo parlando sempre dello stesso Volto, quello di Gesù appunto: il sudario della Sindone è quello di Gesù dopo la crocifissione quindi da morto con gli occhi chiusi; il telo di Oviedo racconta invece che immediatamente dopo la deposizione viene raccolto il sangue del Cristo fuoriuscito da naso e bocca e seppellito insieme al corpo del defunto, secondo l’usanza ebraica. Infine, il volto di Maloppello racconta la Resurrezione, con quegli occhi aperti e la bocca dischiusa.

È stato emozionante scorgere su questo telo anche l’impronta di alcune dita che appartenevano alla mano che lo avrebbe deposto dalla croce. Tuttavia, la cosa più straordinaria sono quegli occhi aperti che possono solo appartenere al Risorto. Le tracce di pigmento osservata da qualche zelante studioso in una pupilla di quel viso, non significano affatto che sia stata dipinta, ma testimonia semplicemente e scientificamente una bruciatura; come il sangue ancora rosso della Sindone attesta un’esposizione violentissima ai raggi ultravioletti. Che cosa significa? Quello che per la scienza è solo bruciatura o esposizione ai raggi ultravioletti, per la Fede è Resurrezione: esplosione di vita attraverso la Luce.

di Caterina La Torella

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