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Eutanasia o dolce morte

Se ne sta parlando in queste ore, anzi sono state già raccolte 500.000 firme per fare un referendum in cui gli Italiani dovrebbero esprimere la loro volontà circa la morte assistita e legale più nota col termine di eutanasia. Parola di origine greca dal prefisso EU buono, e da TANATOS morte.

Certo che la nostra lingua è un capolavoro di “eufemismi” e parole truccate, studiate per distogliere l’attenzione dalla realtà o almeno a mistificarla con una sorta di linguaggio alla vaselina. Il concetto della morte poi è un vero e proprio tabù. Il verbo morire è bandito dal vocabolario. E lo si vede bene nei necrologi o sui manifesti che annunciano la morte di qualcuno. Per esprimere il concetto c’è una varietà di espressioni impressionante: è volata al cielo l’anima di… , non è più, è ritornata alla casa del padre, ha lasciato questa valle di lacrime, è passata a miglior vita, si è addormentato nella pace del Signore.

La più originale l’ho letta qualche anno fa su un necrologio geovista che, nell’attesa dell’imminente resurrezione, recitava: “Si è assentato momentaneamente”. La stessa parola “Cimitero” originariamente significava luogo dove si dorme, dovendo rimuovere il tabù della morte.

Ma così non è stato e si rese necessario coniare un nuovo eufemismo, meno consumato: camposanto. Ma non c’è stato niente da fare e col tempo ci si è resi conto che l’idea della morte è ineliminabile. Ed eravamo convinti tutti, fino a qualche decennio fa, che signore della vita e della morte fosse Dio e solo Lui. E oggi? Oggi assistiamo a una sconfitta senza precedenti dell’evoluta civiltà occidentale ricca e benestante, ma caratterizzata da una solitudine e una fragilità spirituale spaventose.

E ne sono una spia evidente fenomeni come il suicidio giovanile sempre più diffuso e il suicidio assistito esaltato come l’ultimo grande progresso. Certo, fare i conti con un’esistenza stentata, dolorosa e piena di tormento, è difficile, a volte impossibile e ci si augura di finire presto i propri giorni per mettere la parola fine ad una vita che sembra aver perso ogni prospettiva e aver privato la persona della propria dignità.

Ma poi che cos’è che rende una vita degna di essere vissuta? Condizioni psico-fisiche ottimali, un buon lavoro, una bella famiglia, un invecchiamento sereno. Ma quanti, in realtà godono di queste prerogative? Quante categorie di persone possono dirsi veramente soddisfatte della propria esistenza? Il filosofo di turno risponderebbe: “Dipende dalla qualità della loro vita”.

Parole magiche come se potessimo scegliere il diritto alla felicità, alla salute, al benessere. E tutto quello che non va, o che mi rende infelice lo elimino. La dice lunga l’ultima mossa di molti stati degli USA nella prestazione delle cure anticovid dalle quali sono state escluse le persone con disturbi psichici, con malattie polmonari o con patologie neurologiche come l’Atrofia muscolare spinale (Sma).

Ci sono inoltre delle direttive che esplicitamente escludono dalle cure salva-vita specifiche fasce di popolazione, peraltro tra le più deboli, come ad esempio succede in Alabama dove un documento dal titolo “Scarce Resource Management” indica nero su bianco che le “persone con disabilità sono candidati improbabili per il supporto alla respirazione”.

Cultura dello scarto e cultura della morte vanno di pari passo e avallano prassi come l’eutanasia legalizzata,ritenuta un grande segno di civiltà. In realtà non è altro che un pretesto per abbandonare chi soffre, lasciandosi prendere da una falsa compassione e tacitando la coscienza con la convinzione di aver reso un atto d’amore nei confronti di chi soffre. La nostra società fa fatica ad accettare realtà quali la sofferenza, il dolore e la morte perché non ha più speranza, fede e carità.

Non riusciamo più a vivere serenamente perché avendo perduto la speranza non riusciamo ad avere fiducia nel futuro; la fede ci è aliena come qualcosa di inutile e sorpassato se il nostro Dio si riduce ad un idolo fatto a nostra immagine e somiglianza, nel senso che dovrebbe rispondere ad ogni nostra richiesta.

La carità in queste condizioni non può resistere essendo lei stessa amore, quell’amore che deve concretizzarsi e farsi vicino a chi è nell’angoscia e si sente solo e abbandonato. “Siamo nati e non moriremo mai più” è il titolo di un libro di Chiara Corbella, che racconta la storia di una donna dalla fede straordinaria morta giovanissima a testimoniare che la vita è un dono meraviglioso e che seguire Cristo anche nella sofferenza ci apre alla luce.

Al quinto mese di gravidanza del terzo figlio scoprì di avere un carcinoma alla lingua e scelse di non abortire per salvarsi la vita, ma di mettere al mondo il suo bambino, nonostante sapesse di non poter sopravvivere a lungo. Papa Francesco, come i suoi predecessori, ha richiamato molte volte, e con forza, al rispetto della vita dal concepimento fino alla morte naturale. In particolare, riguardo all’eutanasia e al suicidio assistito, ha detto che“sono gravi minacce per le famiglie in tutto il mondo”, mentre “la loro pratica è legale in molti Stati” La Chiesa invece ribadisce che “l’eutanasia è un crimine contro la vita umana”.

E che “qualsiasi cooperazione formale o materiale immediata ad un tale atto è un peccato grave” che nessuna autorità “può legittimamente” imporre o permettere. È quanto si legge in “Samaritanus bonus”, lettera della Congregazione per la Dottrina della fede “sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita”, approvata da Papa Francesco e pubblicata circa un anno fa, il 22 settembre 2020.

Le suppliche dei malati molto gravi che invocano la morte sono dettate più dalla disperazione che da una vera volontà di farla finita e vanno intese piuttosto come richiesta di aiuto e di affetto. Dobbiamo fare un serio esame di coscienza, tutti, riscoprire e riaffermare la nostra umanità e il nostro farci prossimo a chi soffre, in un mondo in cui gli ideali materialistici e del benessere assoluto ci impediscono di vedere il limite che è parte della nostra vita.

C’è bisogno di una vera rivoluzione di fraternità, di amore, di cambiamento di prospettiva in vista di un bene comune per tutti; altrimenti, gli anziani, le fasce di popolazione più fragili, gli ammalati, complici leggi eutanasiche e di esclusione dalle cure, saranno le prime vittime. La nostra coscienza non ci chiede di fare il lavoro sporco della morte: chi ama, aiuta a vivere. E se questo amore è forte, accompagna la vita, non la stronca, perché, ricordiamolo, l’amore è più forte del dolore e persino della morte.

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