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La sindrome affettiva stagionale: oltre la metereopatia

La “Sindrome affettiva stagionale” (in inglese “SAD”, acronimo di “seasonal affective disorder”) si concretizza in un disturbo dell’umore al sopraggiungere dell’inverno o dell’estate, con atteggiamenti depressivi e conseguenze molto serie, a livello psichico e fisico, sino a inibire la normale quotidianità. È diffusa in tutto il mondo ed è conosciuta anche come “depressione stagionale”.

Il verificarsi del disturbo, per essere diagnosticato come tale, deve prevedere una casistica numericamente maggiore in alcuni periodi stagionali rispetto agli stessi eventi che possono verificarsi nel corso di un intero anno o intervalli più lunghi. La forma più diffusa è quella invernale, meno frequente è quella estiva. Lo psichiatra che la teorizzò per primo nel 1984, Norman E. Rosenthal e la ricercatrice Sherri Melrose distinsero i sintomi: per quella estiva, una tendenza a perdere peso, all’aggressività e all’insonnia; per quella invernale, l’aumentare di peso, la tristezza e l’ipersonnia. Una delle principali cure è la luminoterapia che consiste nella maggior esposizione del soggetto alla luce, riequilibrando sia l’aspetto psicofisico sia quello umorale. Lo conferma anche il volume “Luminoterapia.

Il bagno di luce che dona energia e buonumore. Un metodo naturale per curare il disordine affettivo stagionale”, pubblicato da “Il Punto d’Incontro” nel 2014 e scritto dalla psicologa Marie-Pier Lavoie. Nella descrizione del libro si puntualizza “Quasi il 20% della popolazione soffre di Disturbo affettivo stagionale, depressione, ansia, insonnia, spossatezza, irritabilità, malinconia sono alcuni dei suoi sintomi e il fattore scatenante è stato ormai identificato chiaramente: il deficit di luce”.

Proprio per la privazione della luce, i mesi più difficili nel nostro emisfero, per chi soffre della depressione stagionale, sono quelli del tardo autunno e dell’inverno. I ritmi biologici, i ritmi circadiani, hanno degli orologi interni a loro volta sensibili agli stimoli provenienti dall’esterno, quali la luce, il buio, il caldo e il freddo. La diminuzione di luce, all’approssimarsi dell’autunno e poi dell’inverno, sviluppa meno serotonina e melatonina, aumentando, quindi, il senso di ansia e depressione e alterando il rapporto sonno-veglia; a compromettere l’umore concorre anche il minor apporto della vitamina D.

Per alcuni soggetti, in particolare le donne, il cambiamento di clima e di temperatura può avere uno stretto collegamento con la fibromialgia (alterazione nella percezione del dolore). Le ripercussioni non colpiscono allo stesso modo i circa 2 milioni di persone che ne soffrono in Italia: l’arrivo di una stagione per molti può risultare indifferente, per altri di giovamento, per alcuni un peggioramento.

La “tristezza estiva” (o l’“august blues”), atteggiamento malinconico nel pensare all’imminente ritorno alle attività scolastiche e lavorative, se condotta a forme patologiche, può accrescere il disagio già provato con la depressione stagionale. I fastidi (tristezza, ansia, difficoltà di concentrazione, sbalzi umorali) avvertiti dai soggetti meteoropatici sono blandi e circoscritti; la SAD, al contrario, è una vera e propria malattia mentale da non sottovalutare. Il celebre scrittore Carlo Bo subiva il ciclo dei mesi e affermava “Mi sento in disaccordo con tre delle quattro stagioni che formano l’anno: vorrei che fosse sempre estate e che nessuna anomalia atmosferica venisse a turbarla”. 

È sottovalutato il peso sociale di questa sindrome, spesso relegata a capricci legati al tempo, a fastidi connessi al caldo opprimente o al freddo pungente. Si tratta, invece, di una patologia più grave, da aggiungere, in questi ultimi mesi, alla sindemia generata dal Coronavirus.La depressione stagionale, ora alimentata dalla pandemia, colpisce soprattutto i giovani, come un effetto secondario di quel virus bollato ingiustamente, cinicamente e frettolosamente, come un “affare e un male da vecchi”.

Fonte: Marco Managò – InTerris

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