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I Vangeli alla prova della scienza

La fede alla prova dello spirito critico, questo il soggetto del volume “Gesù di Nazaret, una storia vera?”.
Nella ricerca si analizzano la morfologia e la sintassi delle fonti storiche, oltre alla concatenazione degli eventi narrati, per arrivare a dimostrare l’inconsistenza delle ipotesi mitica e critica

Un antidoto al fideismo. È innanzitutto questo lo scopo del libro “Gesù di Nazaret, una storia vera? I Vangeli alla prova della scienza”, di Marco Fasol, edito da Ares. “Senza i criteri razionali di discernimento, qualsiasi fede diventa un sentimentalismo effimero o, peggio, fanatismo e superstizione”, scrive l’autore, perché “proprio la ricerca storica è segno evidente di fede nei Vangeli, altrimenti non ce ne occuperemmo”. In tal senso per discutere con atei, scettici o agnostici, diventa fondamentale la ricerca razionale, dunque scientifica.

Le tracce semitiche

Un primo elemento chiave è l’analisi del lessico e delle costruzioni sintattiche di derivazione ebraica o aramaica, rilevabili nel testo greco dei Vangeli. “I testi – scrive Fasol – conservano alla lettera questo originalissimo stile aramaico della predicazione di Gesù”. Un fattore fondamentale per le scienze storiche, che differenzia in modo inconfutabile i Vangeli canonici da quelli apocrifi, che non presentano elementi aramaici. Tra le parole aramaiche, forse la più importante è l’invocazione con cui Gesù si rivolgeva al Padre, chiamandolo Abbà. “Nessuno mai, nell’immenso patrimonio delle preghiere liturgiche e private dell’ebraismo del I millennio, aveva osato – evidenzia l’autore – rivolgersi a Dio con la confidenza e fiducia filiale del bambino che lo chiamava Papà”. Non sono solo le parole, però, ad emergere, ma alcune strutture tipiche delle lingue semitiche, quali i parallelismi antitetici, presenti anche nella preghiera del Padre Nostro: “Non abbandonarci alla tentazione // ma liberaci dal male”. La richiesta è unica: la liberazione dal male, espressa tuttavia con due frasi antitetiche, in modo che si imprima più facilmente nella memoria. Lo stesso vale per i cosiddetti passivi teologici, ovvero quella struttura linguistica che fa esprimere l’azione divina senza mai nominare direttamente il nome di Dio. Infine, l’utilizzo delle parabole, una novità assoluta in tutta la letteratura dell’antico giudaismo.

La risurrezione

Il criterio di concatenazione narrativa ruota attorno alla risurrezione di Gesù. Fasol sollecita il lettore sullo smarrimento totale in cui erano caduti i discepoli dopo la crocifissione, un avvenimento storico che non avrebbe lasciato spazio, ad esempio, al martirio di tanti che muoiono pur di testimoniare – questo è il punto – l’evento accaduto subito dopo. Ovvero la risurrezione. “Lo storico deve spiegare come sia stata possibile una rivoluzione etica così sconvolgente. Fino ad allora, presso tutte le civiltà antiche, dominava la legge etica del più forte, attraverso le guerre e gli eserciti. La crocifissione – scrive l’autore – era l’applicazione crudele di questa legge e il crocifisso era ovviamente uno sconfitto per sempre. Se si cancella dalla storia la risurrezione, non si riesce proprio a capire come da questa sconfitta sia scaturita la più grande rivoluzione etica della storia. Senza gli incontri col Risorto”. Ad essere confutata nel testo è anche l’ipotesi delle allucinazioni che, visti i numeri, avrebbero dovuto coinvolgere centinaia di testimoni, mentre la letteratura clinica delle patologie neuropsichiatriche non conosce nessun esempio di allucinazioni collettive. Queste sono sempre patologie individuali.

Un amore rivoluzionario

Altri capitoli del libro sono dedicati poi alla Sindone, definita “un Vangelo scientifico”; ai vangeli apocrifi e alle fonti storiche non cristiane su Gesù, in particolare al Testimonium flavianum di Giuseppe Flavio, nel libro XVIII delle Antichità giudaiche. Marco Fasol dedica la parte conclusiva del libro alla rivoluzione etica che introdusse Gesù. “Per la civiltà greco-romana, la grandezza dell’uomo era data dalle sue virtù, tra le quali venivano menzionate la saggezza, la prudenza, la temperanza, la giustizia, ma – spiega – non l’amore compassionevole e donativo”. Un amore che ha dato, nei secoli, piena dignità alla donna, attraverso la figura di Maria e, ad esempio, alle donne testimoni della risurrezione. L’amore definito “agapico” ha favorito il rispetto dell’infanzia, l’eliminazione della schiavitù, la cura dei malati. In particolare “solo con la nuova concezione dell’amore donativo che si pone al servizio del più debole e fragile sono nati in Occidente i primi ospedali aperti a tutte le classi sociali”, conclude l’autore. 

di Andrea De Angelis – Vatican news

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