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Tutti abbiamo sentito dire almeno una volta nella vita la frase: “Vedi Napoli e poi muori”.

Ma ci siamo mai chiesti da dove spunti questo detto? Molti, ironizzando sulla nostra bellissima città, sostengono che morire dopo averla vista significherebbe che in un modo o nell’altro qui ti fanno fuori. È invece duro a morire il pregiudizio che nella città metropolitana il crimine la faccia da padrone.

E invece così non è, almeno non sempre. Anzi, personalmente nelle mie numerose visite alla città, non sono stata mai derubata né aggredita. In verità, ho sempre trovato una città meravigliosa e ho incontrato persone amabili, gentilissime, ironiche e ho ricordi bellissimi di personaggi singolari. Ovunque: per strada, nei negozi, in metropolitana, in ospedale.

Non vi dico che cosa è stato ammirare dal vivo, circa un mese fa, la stazione metropolitana di via Toledo. Credo che sia unica al mondo: uno scenario da favola, anzi da fantascienza; la più bella d’Europa, e non lo dico io ma il giornale britannico Telegraph.

Indubbiamente è un vero e proprio capolavoro di ingegneria ed architettura, un’opera unica al mondo: “Man mano che si scende in profondità il nero della terra lascia il posto all’ocra del tufo e poi al blu del mare a ricordare la presenza dell’acqua nel sottosuolo. Al suo interno la stazione ha installazioni di William Kentrige dove le figure della mitologia e dell’iconografia partenopea si alternano, mentre i pannelli multicolore che riproducono le onde del mare sono di Bob Wilson. Durante i lavori di scavo, sono emersi inoltre reperti appartenenti al suolo arato del Paleolitico e muri di epoca aragonese che sono stati restaurati ed inglobati nella stazione stessa”. E questo tanto per chiarire e per sottolineare che nella città partenopea non manca proprio nulla: bellezza, paesaggi, arte, cultura, storia. E soprattutto il carattere allegro e spensierato e il cuore grande dei suoi abitanti che batte generoso in ogni vicolo della città. Non a caso nel suo viaggio in Italia, Johan Wolfgang van Goethe continuava a ripetereSiehe Neapel und stirb, (vedi Napoli e poi muori) e anche Napoli è un paradiso. E’ in questo suo soggiorno che il poeta ha scoperto un altro modo di vivere all’insegna della cordialità, della prossimità, della condivisione.

La città del sole ha trasformato lo scrittore e la sua filosofia di vita. E lui lo ha raccontato a tutti, di come, dopo aver visto le bellezze della città, i suoi occhi e il suo cuore sono cambiati per sempre. E ha coniato la famosa frase che non è affatto di malaugurio, anzi è una vera e propria celebrazione al Paese, al suo cuore, al suo popolo, alla sua anima. Come a dire: una volta che hai visto e sperimentato tanta bellezza e tanto amore, puoi anche morire, senza rimpianti.

Ma circola anche un’altra versione sull’origine del famoso detto che sarebbe scaturito da una vera e propria favola. La storia di Raziella, una strega dal cuore buono che, per risanare i cuori infranti di coloro che venivano a Napoli per lasciarsi consolare dalla sua bellezza, faceva loro bere un intruglio rosso sangue, una sorta di vino magico che permetteva loro di dimenticare le pene d’amore del passato.

I ricordi dolorosi svanivano, perciò era un po’ come morire, ma per poi rinascere. E quindi Vedi Napoli e poi muori (al dolore, al passato, al prima) e poi rinasci, si dovrebbe aggiungere. Il celebre aforisma è, secondo me, metafora di bellezza, di convivialità, ma anche di accoglienza, e soprattutto di rinascita. E diciamocelo tranquillamente: i napoletani hanno una loro filosofia di vita che trasmettono e hanno trasmesso con la musica, le canzoni e con il loro magnifico dialetto che è stato definito ufficialmente una lingua, e hanno appreso da una lunga consuetudine l’arte di accogliere con calore e gioiosamente tutti quelli che giungono in visita da ogni parte del mondo.

Purtroppo oggi Napoli è spesso presa di mira, denigrata, oltraggiata da chi vuole vederne solo i difetti, le mancanze, trascurando però del tutto i pregi. Probabilmente ciò avviene perché è difficile conoscere a fondo una metropoli; prima di parlare a vanvera e bacchettare i partenopei, si dovrebbe studiare la storia, per capire che questo popolo è frutto di un coacervo incredibile di razze e di dominazioni.

E ce lo dice l’arte con le sue chiese romaniche, gotiche o neoclassiche, e ce lo raccontano i suoi monumenti in cui si ravvisano impronte greche, romane e paleocristiane. Nei tratti somatici e comportamentali dei suoi stessi abitanti si possono ancora ravvisare influenze di orientali e tedeschi ( Federico II di Svevia volle alla sua corte studiosi arabi). Eccoli allora, questi napoletani indolenti e contemplativi come gli orientali e pronti a combattere come i Tedeschi. E’ una città incredibile piena di contraddizioni e peculiarità così specifiche da non essere presenti in nessuna città italiana. E così i napoletani sono religiosi e agnostici, bigotti e pagani contemporaneamente.

Ma sono stati gli Spagnoli, fin dal XVI secolo, che hanno lasciato un’impronta più significativa del loro passaggio con la presenza delle chiese, dei palazzi e dei famosi Quartieri spagnoli che sorgono a ridosso di via Toledo, sede privilegiata della nobiltà e della soldataglia di allora.

E così non è difficile immaginare in quei Quartieri spagnoli, oggi luogo dove vive e regna sovrano nel bene e nel male il popolo, il soldato spaccone, litigioso, galante con le donne del tempo che fu. Sono questi elementi che hanno forgiato i napoletani del posto: nei tratti, nelle usanze, nella delinquenza e nella violenza, poiché furono gli Spagnoli i primi a imporre le figure degli sgherri o “bravi”(uomini pagati per imprese criminali). E fu proprio in quel periodo che il popolo s’inventò la furbesca arte dell’arrangio per sopravvivere ai soprusi di un governo parassita e prepotente. E il “guappo” non è forse frutto di quel particolare momento storico? La storia sarebbe ancora lunga, ma mi fermo qui.

Inoltre, non dimentichiamo che la denominazione Napoli, deriva dal greco antico Nea polis, ossia città nuova; definizione ancora oggi validissima. Napoli è nuova ogni giorno, perché ti sorprende, quando meno te lo aspetti, ti ammalia come una sirena, ti affascina con la sua saggezza, con i suoi figli, i “guagliuni”, proverbiali per aneddoti e folclore che li riguardano e che non compaiono mai nelle pagine della storia, se non sporadicamente. A combattere insieme a Masaniello, crescere come lazzaroni stesi al sole, liberi e gioiosi, o piccoli eroi nelle Quattro giornate di Napoli.

Bisogna conoscerla questa storia e si dovrebbe, almeno una volta nella vita, visitare la nostra splendida Napoli vivendone la complessità e anche i difetti, con naturalezza e apprezzandone la filosofia, ma anche la predisposizione (differente) alla vita, che i napoletani manifestano ogni giorno, incondizionatamente. Voglio sintetizzare con alcuni versi meno noti della canzone (Napule è) del grande Pino Daniele che, dopo avere definito la città “e mille culure/(o culture), ..a voce de criatur.., na carta sporc.., addo’ ognun aspett a ciort, conclude“…Napule è na’ camminata/Int’e viche miezo all’ate/Napule è tutto nu suonno/E a’ sape tutto o’ munno/Ma nun sanno a’ verità.

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