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Uno scriba dagli orizzonti ampi

Commento al Vangelo (Mc 12,28-34)

L’atteggiamento dello scriba di oggi è radicalmente diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere nei Vangeli; di solito farisei, scribi e sadducei si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova. Era una sfida soprattutto da parte degli scribi che erano quelli che sapevano scrivere, cioè sapevano leggere e scrivere; storicamente era un ruolo affidato alle persone che avevano la sufficiente preparazione per poter trascrivere o interpretare.

Al tempo di Gesù è avvenuta una specie di sovrapposizione: gli scribi erano coloro che erano capaci di interpretare la scrittura; potremmo dire i teologi di oggi.

Per questo abbiamo visto nei Vangeli e in particolare nel vangelo di Marco, che gli scribi guardavano con grande fastidio Gesù, perché era uno che non aveva studiato, era uno che rubava il mestiere, era uno che improvvisava. In questo caso invece lo scriba si avvicina a Gesù con rispetto, lo chiama Rabbi, cioè lo riconosce maestro anche se non ha i titoli ed è disponibile ad ascoltarlo. Egli è interessato, si rende conto che Gesù, al di là del fatto che è occasione di grande polemica rispetto ai suoi vicini, ai suoi concittadini e ai suoi colleghi, in realtà è uno che ha qualcosa da dire e viene ascoltato.

È un atteggiamento bello quello della ricerca, un atteggiamento magnifico quello dell’interrogarsi continuamente, tanto più se mi rivolgo a qualcuno che mi sta ascoltando. Non è saggio colui che pensa di sapere tutto, è saggio colui che ha ancora il coraggio di chiedere. La domanda che pone lo scriba era la classica domanda che si poneva ai rabbini, cioè qual è il più grande fra i comandamenti perché, come sapete ormai ve l’ho detto più volte, le famose norme e le famose parole che Mosè aveva dato al popolo per conto di Dio da 9-10 che erano, diventarono tantissime, 613.

È come se noi avessimo continuamente bisogno di aggiungere, di dettagliare, come se ci spaventasse così tanto amare e basta, come se avessimo bisogno di raccontare, di dire, di incasellare, di inquadrare, di dirigere anche Dio, anche la nostra fede, che è qualcosa che si incarna, che si concretizza; inutile che io vi dica vi voglio bene e poi non me ne frega niente di voi; è inutile che io vi dica che uno è mio grande amico e poi non ci sentiamo al telefono per 10 anni.

C’è il rischio di cadere in un formalismo, in un legalismo nell’identificare la fede con la norma e mi permetto di dire che è ancora molto presente nelle nostre comunità. Quindi la domanda che si pone questo scriba, che dovrebbe sapere la risposta, è segno di una grande voglia di capire e la risposta che gli dà Gesù è la risposta che Gesù chiede a lui di tirar fuori.

È la tipica domanda e la tipica risposta che avveniva nelle scuole rabbiniche. Abbiamo testimonianze di rabbini più famosi di Gesù, suoi contemporanei, che davano più o meno la stessa risposta. Allora questo a me piace moltissimo, perché a volte abbiamo un po’ di pre-comprensione rispetto al mondo ebraico, come se fossero tutti degli sciocchi; non è vero; gli stessi rabbini si ponevano il problema di questa selva di comandamenti e di ordini e insistono per dire che esiste qualcosa di più grande, di oltre, di altrove.

E la risposta è lo “shemà Israel” cioè l’amore di Dio a cui si aggiunge l’amore del prossimo. A me piace moltissimo questo: quante volte vi ho già detto che come se alla domanda dello scriba, del teologo, dello studioso, di quello che ha messo tempo, intelligenza e emozioni nel cercare di Gesù, risponda che alla fine l’unica cosa veramente importante: è ama e lasciati amare, lasciati amare da questo Dio e con questo amore sarai in grado di amare gli altri; lasciati amare dalla sua presenza e con questa sua presenza sarai in grado di amare gli altri. Allora è bello lo shemà Israel che era questa preghiera che veniva detta tutte le mattine dal pio israelita. Ascolta! Il primo comandamento è un ascolto, è un mettersi in un atteggiamento di mendicanza come Bartimeo domenica scorsa.

Ascolta Israele: il Signore tuo Dio è uno! Amerai solo lui! Egli solo è l’unico, è colui che ti riempie, non il solitario; Egli è la sola via d’uscita, è colui che cerca il monaco. Lo amerai con tutta la tua forza, tutta la tua mente, tutto il tuo cuore cioè al massimo delle tue capacità; amalo meglio che riesci, amalo con intelligenza, amalo con forza.

Allora sì, il comandamento non è una norma da seguire, ma è la forma che diamo all’amore, l’amore che si concretizza in gesti che certo rischiano di diventare banali, forzati ma che rendono visibile il bene che vi voglio. L’amore si concretizza poi in gesti di servizio; una delle parole più diffuse nel Vangelo che sicuramente ha detto Gesù è: chi cerca di accaparrarsi la vita la perde, chi la dona la ritrova. Allora Gesù è stato chiaro con questo scriba.

Questo è il primo e il secondo è simile; ci abbiamo riflettuto spesso, lungamente, in questi anni ma io faccio fatica, non riesco ad amare le persone antipatiche, faccio il gentile ma non è che mi viene di amare tanto. Io riesco a amare tre o quattro al massimo, di più non ce la faccio. Però Gesù chiede di amarci gli uni gli altri con l’amore con cui siamo amati; se io mi lascio amare da Dio, se mi arrendo all’evidenza, che la vita è una relazione d’amore, con questo amore riesco ad amare gli altri e riesco ad amare anche me stesso senza farmi diventare un gigante, cioè volendo apparire per quello che non sono, e senza avere paura, senza diventare il nano delle mie paure.

Lo scriba ora è ammirato dalla risposta del Signore, è stupito e grato e dice a Gesù che ha parlato nella verità, ha detto la verità e a me piace sottolineare anche questo: noi siamo in un mondo in cui tutto è relativo, ognuno si costruisce un po’ la sua verità a propria immagine e somiglianza, però la verità è una persona, è un annuncio, è qualcuno, è il Signore Gesù, e questo scriba cercatore ha ottenuto una risposta che lo colma, che gli dice smettila di star dietro col bilancino per sapere chi, come, cosa, ma ama intensamente con tutte le tue forze, ama il prossimo, ama te stesso. Questo è cercare Dio! In effetti la verità cioè che l’amore precede la legge, in Dio si incarna. La precede e le da un orizzonte completamente diverso.

C’è una sorta di soddisfazione reciproca; questo racconto avviene in Marco al capitolo 12 quando Gesù è già arrivato a Gerusalemme e siamo nell’ultima settimana di vita di Gesù e finalmente Gesù avverte una qualche soddisfazione, un qualcosa che può colmare il suo cuore, un qualcosa che può incoraggiare il Signore, consolarlo in questo cammino difficilissimo che sta portando avanti; e bene c’è questa soddisfazione reciproca: Gesù trova la saggezza in quest’uomo e questo uomo trova la verità in Gesù e insieme sono contenti! Gesù dice che ha risposto saggiamente che non è lontano dal regno dei cieli, non è lontano dal regno di Dio.

Ogni volta che noi ci poniamo degli interrogativi ma non per giocare a fare i dubbiosi, non per cercare chissà che cosa, ogni volta che abbiamo il coraggio di lasciarci mettere in discussione dalla parola e chiediamo (lo scriba ha studiato ma non importa, vuole saperne ancora di più); ogni volta che ci avviciniamo a Gesù senza presunzione, senza metterlo alla prova, senza voler dimostrare che siamo più importanti, più fighi di tutti; quando noi facciamo così, otteniamo la risposta che ci allarga il cuore, otteniamo un orizzonte, ci avviciniamo alla verità. No, nessuno ha più il coraggio di interrogare Gesù perché abbiamo quante risposte ci bastano per procedere nel nostro cammino!

Buona domenica!

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