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Il Papa su Netflix. E allora?

Il Papa sbarca su Netflix: e questo ad alcuni non piace. Non c’era Tv2000? È la loro domanda più ricorrente. Certo che c’è, il problema è capire perché ci sia. Comunque i livelli di comunicazione dovrebbero essere diversi, e a ognuno dovrebbe toccare il suo. Cerchiamo di capire cosa significhi. 

Il Vaticano, e in Italia la Conferenza episcopale italiana (Cei), hanno un enorme plotone informativo. Il loro compito probabilmente è sempre, o prioritariamente, quello della comunicazione “ad intra”: cioè rivolgersi agli operatori, laici e religiosi, sui temi della vita, ecclesiale e non. Questo compito viene svolto, ma in maniera spesso ritenuta “paludata”. I temi urticanti, le questioni aperte, le ferite e le discussioni sono poco riconosciuti come tali. È il problema di tutte le comunicazioni ufficiali, che però nel mondo cattolico hanno trovato anche risposte innovative: ci sono scelte di fondo, sulle quali si sa fare anche informazione battente, forte, poi ci sono questioni interne sulle quali a volte si rimane ancora nell’ufficialità, ma non sempre. Questione di dirigenza? O questione di mentalità? 

Il mondo di cui stiamo parlando trova abbastanza in Avvenire e molto in La Civiltà Cattolica la dimostrazione concreta di come una scelta meno paludata, più aperta, possa produrre risultati concreti. La famosa scelta di una Chiesa in uscita si può fare anche giornalisticamente. E qui se ne hanno chiare riprove. Certo, per il quotidiano dei vescovi italiani (Avvenire) sulle questioni più divisive e interne, dalla pedofilia ai gay, si potrebbe anche non essere del tutto soddisfatti, ma su temi decisivi come Malta, migranti, Medio Oriente, Amazzonia, America Latina e altri temi sociali ha saputo dare lezioni anche ai colleghi della stampa non confessionale. 

L’altro esempio ancor più innovativo è La Civiltà Cattolica. La Chiesa in uscita di Jorge Mario Bergoglio ha qui il suo laboratorio di idee, approfondimenti e letture. È un lavoro più sul modello dello “strumento per la formazione dei quadri”, ma quanta aria nuova… Solo nei tempi recenti si è andati dall’annosa questione di chi siano stati veramente i famosi e sempre bistrattati “farisei”, arrivando a spiegare cose mai dette nel mondo cattolico, a una serie di approfondimenti sul mondo islamico da fare invidia ai grandi strumenti di informazione geopolitica.

È qui che si vede che anche i temi “urticanti” possono essere affrontati con sincerità senza perdere in credibilità, al contrario. Per esempio, recentemente sulle colonne de La Civiltà Cattolica si è parlato di eutanasia, senza indicare come “cattivi” i favorevoli, ma chiedendo a loro e a tutti gli altri: perché non si parla piuttosto di cure palliative? Che problema c’è? Che costano troppo? Ma oltre ai temi c’è il carattere della rivista a colpire. Con la stessa struttura operativa che aveva, ha canali su YouTube, con prodotti dedicati e originalissimi, ha newsletter sulle arti, e soprattutto una rete di collaboratori e corrispondenti gesuiti dal mondo che sanno interpretare il carattere globale dell’ordine in una risorsa capace di farne una testata mondiale. Ecco il servizio offerto ai lettori italiani e stranieri, visto che la rivista esce in tantissime lingue, con edizioni in cinese, coreano, giapponese, inglese, francese, spagnolo. Non è un modello? Con la sua rete di nunzi e missionari in tutto il mondo la Chiesa in qualche modo può fare lo stesso? 

Diverso è il discorso per TV2000, di proprietà della Conferenza episcopale italiana. La discussione non riguarda la qualità giornalistica ma se esistano le risorse per farne uno strumento competitivo. Se il giornale della Cei e il quindicinale della Compagnia di Gesù dicono che la coperta può bastare in presenza di scelte giornalistiche chiare e capacità manageriali evidenti, nel caso di Tv2000 siamo ancora in un ambito da passo più lungo della gamba. 

Per quanto riguarda i media propriamente vaticani il discorso è reso difficile dall’ufficialità. Se la scelta di non essere paludati è stata certamente compiuta, e spesso si vede, il peso dell’ufficialità alla Santa Sede rimane e rispetto al passato fa pagare addirittura un prezzo: se prima si accettava il paludato proprio per il valore che una parolina nuova in quel contesto così rigido poteva indicare, ora che si è aperto qualcosa, si perde sul vecchio ma non si sfonda sul nuovo. Perché? Perché Francesco, mal consigliato a quel tempo, non sembra aver impostato bene la riforma. Chi rinuncerebbe al brand Radio Vaticana per VaticanNews? E se davvero si doveva puntare sul web, l’esempio citato de La Civiltà Cattolica non ci dice che si potrebbe pensare a sinergie in modo da offrire, oltre al dovuto, magari un’agenzia di stampa sul mondo di Francesco, quello rimosso dai radar della Grande stampa? Le tante crisi editoriali ci dicono che purtroppo le sinergie non sono diffuse, ma un tentativo potrebbe essere fatto. 

La difficoltà a cambiare mentalità ed essere davvero Chiesa in uscita ci sono, ma è difficile capire perché dovrebbero impedire a Francesco di avere una sua comunicazione “parallela”. È un terreno delicato, ma non si capisce perché questa comunicazione dovrebbe fare ombra a quella ufficiale. Il Papa va su Netflix perché lì vanno gli utenti. E Netflix sa che lui non resterà ingessato nell’ufficialità, nel burocratese che limita tanti curiali. Tutto sommato è suo dovere farlo, se crede davvero che camminiamo insieme. Il problema piuttosto è che così facendo dimostra il ritardo di tanti altri. Proviamo a pensare un porporato a caso su Netflix per capire cosa significhi “ritardo”. La Chiesa in uscita richiede la capacità di apertura che l’uscire comporta. 

Fonte: Riccardo Cristiano – ytali

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