Ebbene sì. La signora della cucina napoletana è oggi un cult internazionale ed è stata riconosciuta alcuni anni fa dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. E’ un prodotto ufficialmente identificato come STG, (Specialità Tradizionale Garantita). Vi chiederete come mai sia stata scelta propriolapizza napoletana e non semplicemente la pizza.
Perché storicamente è accertato chele prime pizzerie sono nate a Napoli e che questo prodotto è esclusivo di questa città. E rispecchia perfettamente l’identità culturale partenopea: infatti non è solo un alimento, ma ha sempre avuto e conserva tuttora una funzione sociale e un indiscutibile merito: coniuga l’arte dello “stare insieme” e risolve velocemente e in maniera economica il problema della fame.
La pizza, come pochi altri piatti, “sfama” velocemente, in modo sano e completo grazie ai pochi ingredienti necessari per farla: farina, acqua, lievito e sale. In breve questa è la sua storia.
Si narra che nel 1889 il pizzaiolo “don” Raffaele Esposito preparò tre pizze per re Umberto I e la regina Margherita in visita a Napoli, e la regina gradì a tal punto quella al pomodoro, mozzarella e basilico (i colori della nostra bandiera) che fu onorata di darle il proprio nome, Margherita, appunto.
Questa la genesi, forse un po’ romanzata, di uno degli alimenti più conosciuti al mondo, ma la pizza, quella come la intendiamo noi oggi, era nata quasi un secolo e mezzo prima, pare nel 1730 al gusto marinara (pomodoro, aglio, olio e origano) e costituì per anni il sostentamento e la sopravvivenza dei Lazzari.
Nasce dunque come cibo popolare, con la forma di una focaccia o di pane schiacciato. Uno dei modi tradizionali di consumarla, fino a qualche anno fa era per strada, piegata su se stessa a libretto, detto comunemente “portafoglio”. Poi si diffuse subito in tutte le classi sociali fino agli inizi dell’800 quando nacque poi la tradizionale pizza margherita (variante nobile).
Naturalmente alla tradizione si contrappongono miti e leggende cui la pizza non può sottrarsi. Alcuni ne fanno risalire l’origine a più di 3000 anni fa nell’antico Egitto dove pare che la popolazione in occasione dei festeggiamenti per il faraone mangiasse una specie di pizza vagamente somigliate ad una schiacciata del tipo “ pane azzimo”.
La mitologia, a sua volta, fa risalire la pizza a Venere che un giorno preparò per suo marito Vulcano dei pezzi di pasta guarniti con bacche ed erbe aromatiche (ma si sa Venere era più incline alla seduzione che alla cucina). A me è particolarmente caro il mito che fa risalire l’origine di questo alimento a Cuma, all’Averno e alla mitica Sibilla.
Nel sesto libro dell’Eneide di Virgilio, la Sibilla Cumana è il personaggio centrale, con la doppia funzione di veggente e sacerdotessa di Apollo e, contemporaneamente, di guida di Enea attraverso il regno dell’aldilà, alla ricerca di suo padre Anchise.
Il luogo però è inaccessibile, perché è sorvegliato dal gigantesco Cerbero (il cane a tre teste), il guardiano che impedisce ai morti di uscire e ai vivi di entrare nel regno dell’oltretomba. Enea e la Sibilla riescono a passare poiché quest’ultima offre al cane una focaccia al miele con erbe soporifere.
Una volta ingurgitato il cibo, Cerbero cade in un sonno profondo e i due possono entrare nell’Ade. Quella offerta dalla sacerdotessa a Cerbero era appunto l’antenata della pizza, che si chiamava allora offa e il procedimento per prepararla era questo: “Con acqua e orzo si possono preparare focacce in ogni momento dell’anno: si fanno abbrustolire focacce di due libbre su un focolare caldissimo o in un piatto di terracotta sulla cenere o sul carbone, finché diventano rossastre.”
La ricetta è stata tramandata da Plinio il Vecchio, lo scienziato autore della “Naturalis historia” nonché prefetto della “Praetoria Classis Miseniensis” la poderosa flotta militare di Roma imperiale di stanza a Miseno, che teneva sotto controllo tutto il Mediterraneo occidentale.
La pizza dunque affonda le sue radici in un passato lontanissimo se la sua progenitrice era gustata dai “Romani” a Miseno e, probabilmente, vista la sua attinenza con la Sibilla, anche dai “Greci” di Cuma che altri non erano se non i Pithecusani che si erano rifugiati a Cuma e l’avevano colonizzata, dopo essere fuggiti dalla nostra isola, sconvolta da terremoti ed eruzioni vulcaniche.
Ma vi rendete conto? Che onore, anche gli Ischitani tra i precursori della pizza! Lo so qualcuno dirà che gli ingredienti tipici come pomodoro e basilico non c’erano.
Giusto, per il pomodoro bisognerà aspettare la scoperta dell’America, ma per il resto c’è un altro mito che avvalora l’ipotesi dell’origine addirittura divina di questo alimento. L’umanista Raffaele D’Avino ne ipotizza questa genesi dalla lettura dell’inno pseudo-omerico “A Demetra”.
Ecco il suo contenuto: “Demetra, la Grande Madre è alla ricerca della figlia Persefone che è stata rapita da Plutone, dio dell’oltretomba.” Nelle sue peregrinazioni la dea attraversa l’Attica, piange ad Eleusi e infine viene ospitata da Celeo e Metarina, e ricambia la loro ospitalità, salvando il loro figlio Trittolemo, privo del latte materno, dandogli il proprio.
“Inoltre, di nascosto, gli regala l’immortalità facendolo passare su fiamme ardenti. Scoperta da Metarina in questo strano rito, Demetra si adira , placandosi solo quando la donna le offre una pietanza particolare: un misto di farina con acqua e basilico, cotti sul fuoco”.
Così apparvero per la prima volta i noti ingredienti della pizza, compreso il basilico. Da notare che a diffondere questo piatto, nelle feste Eleusine, sarebbero state le donne greche di Napoli. E si sa che Napoli è la figlia primogenita di Cuma.