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A pochi giorni dal 1° maggio, Festa dei lavoratori, mi vengono davanti agli occhi i numeri poco rassicuranti che parlano di una disoccupazione che nel nostro Paese stenta a registrare cali significativi, e indicano che l’Italia, al momento, detiene il triste primato della nazione europea con la più alta percentuale di Neet: i giovani che non studiano, non cercano lavoro e non si formano

. E mi vengono davanti agli occhi i volti di tanti nostri giovani stanchi di cercare, costretti a partire per trovare un lavoro fuori dalla loro terra, ma anche quelli di ragazzi parcheggiati che neppure cercano più.

E penso alle tante, troppe persone che lavorano a nero, che sono malpagate, sfruttate, ai cosiddetti precari che vivono con la paura di trovarsi fuori. A quelli che vengono in Europa credendo in una possibilità di riscatto e con la speranza di trovare un lavoro pulito, onesto, dignitoso.  

E mi tornano alla mente le parole che tante volte abbiamo sentito pronunciare da Papa Francesco circa il lavoro e la necessità che ci sia per tutti, perché il lavoro – egli dice – è dignità. Ultimamente, nella Lettera Apostolica Patris corde su San Giuseppe, il Papa è ritornato su quel tema: “È necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità”.

Anche perché questo è un tempo “nel quale il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti, anche in quelle nazioni dove per decenni si è vissuto un certo benessere” (n° 6). Il lavoro è, infatti, “partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione”.

Papa Francesco ribadisce in buona sostanza ciò che è l’insegnamento della Chiesa sul lavoro, espresso già in passato dal Concilio e, in modo speciale, dal magistero degli ultimi papi. In particolare da San Giovanni Paolo II, il Papa che, prima di diventare prete, provò sulla sua pelle, sebbene per poco tempo, l’esperienza di essere operaio in una fabbrica di prodotti chimici e, prima ancora, minatore in una cava di pietre.

Egli nel 1981, esattamente quarant’anni fa, a novant’anni dalla Rerum Novarum, scriveva la Laborem exercens, la sua prima enciclica sociale, una lettera interamente dedicata al tema del lavoro, nella quale ribadiva e approfondiva ciò che la Chiesa insegna circa il lavoro e che, cioè, esso è, prima di ogni altra cosa, vocazione di ogni uomo. “Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso nell’universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra, l’uomo è perciò sin dall’inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. C

osì il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura”. Per questo motivo dare la possibilità di un lavoro è una delle cose più importanti che possiamo fare per chi vive situazioni di disagio economico.

Lo dice Papa Francesco con chiarezza anche nella sua ultima Enciclica Fratelli tutti: “Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa. Perciò insisto sul fatto che aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro.

Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro. In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo” (162). Sì, il lavoro umanizza e restituisce dignità alle persone.

Perciò nell’Evangelii Gaudium Papa Francesco invita a sognare alto e ribadisce che ciò che dovrebbe starci a cuore è non soltanto “assicurare a tutti il cibo, o un decoroso sostentamento, ma che possano avere prosperità nei suoi molteplici aspetti”. Ma “questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune” (192).

Questo sogno però, perché si realizzi, deve diventare un sogno condiviso, e concretizzarsi in un patto sociale. La politica? Ritorni ad essere “migliore” e ad avere una visione ampia; e faccia la sua parte: impari l’arte del “noi” e rinunci a particolarismi sterili e contrapposizioni inutili.

E noi? Non stiamo a guardare; smettiamola di stare alla finestra e diventiamo parte attiva per avviare e generare nuovi processi e trasformazioni e porre le basi per costruire un mondo più giusto, più fraterno e solidale, adoperandoci perché ci sia lavoro per tutti, e per sanare ferite e superare forme di egoismo che generano povertà. “Passata la crisi sanitaria – ha detto il Papa nella Fratelli tutti – la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. […] Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato” (35).

Chi può perciò faccia. E chi può di più faccia di più. È questione di dignità!

Mons. Pietro Lagnese

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