Commento al Vangelo, Gv 15,1-8
“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. Il Vangelo di questa domenica inizia con questa espressione molto bella e ancora significativa per le campagne della nostra bella isola. Dopo l’immagine del Pastore commentata domenica scorsa, il Risorto ci dona questa immagine che è un intreccio di relazioni stupende. È un intreccio di relazioni spiegate con un intreccio di immagini.
La prima relazione che si evince è la relazione che sussiste tra il vignaiolo e la sua vigna. Il frutto di quella vite cioè l’uva e il vino, sta nel rapporto fecondo e intimo tra il vignaiolo e la vite. Non di rado ho visto la passione degli uomini nel curare le piccole pianticelle e le viti del proprio orto. Questa è la prima relazione ed è la relazione che c’è tra il Padre e Gesù. Il vino buono è frutto di quell’amore che intercorre tra lui e il Padre.
La seconda relazione che si evince da questa immagine è quella dell’attaccamento di ogni discepolo a Gesù. L’attaccamento a Cristo per noi è una questione vitale, esattamente come è vitale per un tralcio rimanere attaccato al tronco. In questo senso la fede non è mai un’attività opzionale nella vita di una persona, ma ne rappresenta il centro più essenziale. La nostra relazione è una relazione di strettissima vita con Gesù stesso. È dall’attaccamento a Lui che dipende tutto. Un tralcio che volesse vivere staccato dal tronco non riceverebbe nient’altro se non la secchezza della morte. Perché è dal tronco che passa la vita anche nei rami. Gesù è per noi necessario non accessorio.
Il cristianesimo è innanzitutto la fede nella “necessità di Cristo”. La relazione con Cristo non è una relazione di dipendenza, ma di necessità. La differenza è semplice, la dipendenza è una diminuzione della libertà e ciò avviene quando deve essere un altro a decidere al posto nostro. La necessità invece è la condizione affinché uno possa essere messo in grado di poter fare una scelta.
Qual è la grande menzogna di questi tempi? La menzogna del male la potremmo sintetizzare così: “Non ho bisogno. Posso farmi da me, posso salvarmi da solo. Posso farcela da solo e posso rimanere in piedi da solo”. Nella nostra società il fatto religioso è relegato al grande mondo degli hobby, delle opzioni, delle attività di contorno. Invece la vita ruota attorno ad altri bisogni, ad altre priorità, ad altre urgenze che però non prendono mai sul serio ciò che conta davvero per un uomo.
Non è la pancia il suo centro, ma il cuore. Il mondo intercetta la pancia, Cristo invece il cuore. Quante volte lo diciamo velocemente: non ho bisogno di Dio, della Chiesa, di tutto questo. Lo pensano i genitori che battezzano i figli, i bambini che scappano dopo la loro prima Eucarestia, gli adolescenti, i giovani ma anche noi adulti. Ma non serve essere cristiani per accorgersi di quanto possano essere mortifere parole simili, perché è proprio quando l’uomo non vuole avere più bisogno e vuole farsi da solo che arriva a distruggere e a distruggersi in nome di una libertà andata a male.
Il Vangelo continua dicendo: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”. Gesù ci dice che se rimaniamo attaccati a lui tutto sarà possibile. Sono i frutti la prova del nove. Portare frutto significa sentire la vita piena di una inspiegabile gratitudine che accade in noi nonostante la vita stessa che non sempre gira per il verso giusto. I frutti sono proprio una vita che riesce a liberarsi e a liberare la gente. Quante volte ci accorgiamo che nella nostra vita mai riusciamo a fare ciò che desideriamo davvero? C’è come in noi una carenza di forze, di volontà, di capacità.
Essere attaccati a Cristo significa diventare capaci di tutto ciò che sperimentiamo vero nel nostro cuore. Ad esempio molti di noi sperimentano dei propositi altissimi, ma quando provano a metterli in pratica si accorgono di non esserne capaci. Nasce così un conflitto interiore tra ciò che sappiamo essere vero e la possibilità di vivere di conseguenza. Più siamo uniti a Cristo più questo conflitto trova soluzione perché Gesù rende sempre capaci coloro che ama e si lasciano amare. “Senza di me non potete far nulla”, belle queste parole che ci dicono che sappiamo su chi contare.
Un’ultima indicazione voglio trarre da questo Vangelo che evidenza ancora una volta la relazione: la potatura. È la dinamica del taglio. Essa si trova nella vita stessa. Ma, come sa bene ogni viticoltore, la vite va potata prima che si risvegli dal sonno invernale. Una vite o un albero da frutto che non viene potato diventa selvatico, inesorabilmente. La vita ci pota, a volte con violenza inaudita, ci scuote nelle profondità: una difficoltà, un dolore, un lutto, una malattia ci gettano nello sconforto ma possono diventare occasione di crescita. Il tralcio potato concentra la sua energia nel moncone di ramo rimasto, facendogli portare frutto.
Questo ci fa dire che invece di passare l’esistenza cercando solo di difenderci dalle cose negative che possono accaderci, dovremmo investire molte energie a cercare di vedere in quei momenti delle grandi opportunità per rimanere attaccati a Cristo. Questo vangelo ci svela la nostra vera natura di fondo: noi siamo le nostre relazioni. E per quanto a volte è proprio nelle relazioni che riceviamo la maggior parte delle batoste, non possiamo farne a meno. La promessa che ci fa Cristo non è quella di metterci al sicuro dalla sofferenza o dalle prove della vita, ma di non sprecare nulla della sofferenza e della fatica della vita. Questo è il dono della linfa di Cristo: non sprecare nulla della propria vita e dunque anche della sofferenza. Quella linfa neanche la sofferenza la toglie. Buona domenica!
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“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. Il Vangelo di questa domenica inizia con questa espressione molto bella e ancora significativa per le campagne della nostra bella isola. Dopo l’immagine del Pastore commentata domenica scorsa, il Risorto ci dona questa immagine che è un intreccio di relazioni stupende. È un intreccio di relazioni spiegate con un intreccio di immagini.
La prima relazione che si evince è la relazione che sussiste tra il vignaiolo e la sua vigna. Il frutto di quella vite cioè l’uva e il vino, sta nel rapporto fecondo e intimo tra il vignaiolo e la vite. Non di rado ho visto la passione degli uomini nel curare le piccole pianticelle e le viti del proprio orto. Questa è la prima relazione ed è la relazione che c’è tra il Padre e Gesù. Il vino buono è frutto di quell’amore che intercorre tra lui e il Padre.
La seconda relazione che si evince da questa immagine è quella dell’attaccamento di ogni discepolo a Gesù. L’attaccamento a Cristo per noi è una questione vitale, esattamente come è vitale per un tralcio rimanere attaccato al tronco. In questo senso la fede non è mai un’attività opzionale nella vita di una persona, ma ne rappresenta il centro più essenziale. La nostra relazione è una relazione di strettissima vita con Gesù stesso. È dall’attaccamento a Lui che dipende tutto. Un tralcio che volesse vivere staccato dal tronco non riceverebbe nient’altro se non la secchezza della morte. Perché è dal tronco che passa la vita anche nei rami. Gesù è per noi necessario non accessorio.
Il cristianesimo è innanzitutto la fede nella “necessità di Cristo”. La relazione con Cristo non è una relazione di dipendenza, ma di necessità. La differenza è semplice, la dipendenza è una diminuzione della libertà e ciò avviene quando deve essere un altro a decidere al posto nostro. La necessità invece è la condizione affinché uno possa essere messo in grado di poter fare una scelta.
Qual è la grande menzogna di questi tempi? La menzogna del male la potremmo sintetizzare così: “Non ho bisogno. Posso farmi da me, posso salvarmi da solo. Posso farcela da solo e posso rimanere in piedi da solo”. Nella nostra società il fatto religioso è relegato al grande mondo degli hobby, delle opzioni, delle attività di contorno. Invece la vita ruota attorno ad altri bisogni, ad altre priorità, ad altre urgenze che però non prendono mai sul serio ciò che conta davvero per un uomo.
Non è la pancia il suo centro, ma il cuore. Il mondo intercetta la pancia, Cristo invece il cuore. Quante volte lo diciamo velocemente: non ho bisogno di Dio, della Chiesa, di tutto questo. Lo pensano i genitori che battezzano i figli, i bambini che scappano dopo la loro prima Eucarestia, gli adolescenti, i giovani ma anche noi adulti. Ma non serve essere cristiani per accorgersi di quanto possano essere mortifere parole simili, perché è proprio quando l’uomo non vuole avere più bisogno e vuole farsi da solo che arriva a distruggere e a distruggersi in nome di una libertà andata a male.
Il Vangelo continua dicendo: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato”. Gesù ci dice che se rimaniamo attaccati a lui tutto sarà possibile. Sono i frutti la prova del nove. Portare frutto significa sentire la vita piena di una inspiegabile gratitudine che accade in noi nonostante la vita stessa che non sempre gira per il verso giusto. I frutti sono proprio una vita che riesce a liberarsi e a liberare la gente. Quante volte ci accorgiamo che nella nostra vita mai riusciamo a fare ciò che desideriamo davvero? C’è come in noi una carenza di forze, di volontà, di capacità.
Essere attaccati a Cristo significa diventare capaci di tutto ciò che sperimentiamo vero nel nostro cuore. Ad esempio molti di noi sperimentano dei propositi altissimi, ma quando provano a metterli in pratica si accorgono di non esserne capaci. Nasce così un conflitto interiore tra ciò che sappiamo essere vero e la possibilità di vivere di conseguenza. Più siamo uniti a Cristo più questo conflitto trova soluzione perché Gesù rende sempre capaci coloro che ama e si lasciano amare. “Senza di me non potete far nulla”, belle queste parole che ci dicono che sappiamo su chi contare.
Un’ultima indicazione voglio trarre da questo Vangelo che evidenza ancora una volta la relazione: la potatura. È la dinamica del taglio. Essa si trova nella vita stessa. Ma, come sa bene ogni viticoltore, la vite va potata prima che si risvegli dal sonno invernale. Una vite o un albero da frutto che non viene potato diventa selvatico, inesorabilmente. La vita ci pota, a volte con violenza inaudita, ci scuote nelle profondità: una difficoltà, un dolore, un lutto, una malattia ci gettano nello sconforto ma possono diventare occasione di crescita. Il tralcio potato concentra la sua energia nel moncone di ramo rimasto, facendogli portare frutto.
Questo ci fa dire che invece di passare l’esistenza cercando solo di difenderci dalle cose negative che possono accaderci, dovremmo investire molte energie a cercare di vedere in quei momenti delle grandi opportunità per rimanere attaccati a Cristo. Questo vangelo ci svela la nostra vera natura di fondo: noi siamo le nostre relazioni. E per quanto a volte è proprio nelle relazioni che riceviamo la maggior parte delle batoste, non possiamo farne a meno. La promessa che ci fa Cristo non è quella di metterci al sicuro dalla sofferenza o dalle prove della vita, ma di non sprecare nulla della sofferenza e della fatica della vita. Questo è il dono della linfa di Cristo: non sprecare nulla della propria vita e dunque anche della sofferenza. Quella linfa neanche la sofferenza la toglie. Buona domenica!
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