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La pazienza è carità

Il mercoledì santo durante l’udienza generale Papa Francesco ha parlato della virtù della pazienza: «Essa riguarda la sopportazione di ciò che si patisce: non a caso pazienza ha la stessa radice di passione. E proprio nella Passione emerge la pazienza di Cristo, che con mitezza e mansuetudine accetta di essere arrestato, schiaffeggiato e condannato ingiustamente; davanti a Pilato non recrimina; sopporta gli insulti, gli sputi e la flagellazione dei soldati; porta il peso della croce; perdona chi lo inchioda al legno, e sulla croce non risponde alle provocazioni, ma offre misericordia. Questa è la pazienza di Gesù.

Tutto questo ci dice che la pazienza di Gesù non consiste in una stoica resistenza nel soffrire, ma è il frutto di un amore più grande. L’Apostolo Paolo, nel cosiddetto “Inno alla carità”, congiunge strettamente amore e pazienza. Infatti, nel descrivere la prima qualità della carità, utilizza una parola che si traduce con “magnanima”, “paziente”. La carità è magnanima, è paziente. Essa esprime un concetto sorprendente, che torna spesso nella Bibbia: Dio, di fronte alla nostra infedeltà, si mostra «lento all’ira»: anziché sfogare il proprio disgusto per il male e il peccato dell’uomo, si rivela più grande, pronto ogni volta a ricominciare da capo con infinita pazienza.

Questo per Paolo è il primo tratto dell’amore di Dio, che davanti al peccato propone il perdono. Ma non solo: è il primo tratto di ogni grande amore, che sa rispondere al male col bene, che non si chiude nella rabbia e nello sconforto, ma persevera e rilancia. La pazienza che ricomincia. Dunque, alla radice della pazienza c’è l’amore, come dice Sant’Agostino: “Uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio”(Depatientia, XVII) ….Tuttavia, dobbiamo essere onesti: siamo spesso carenti di pazienza. Nel quotidiano siamo impazienti, tutti…. è difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro o nella comunità cristiana. Subito viene la risposta, non siamo capaci di essere pazienti».

Il giovane Francesco d’Assisi era diventato un’attrazione per i suoi concittadini, soprattutto per quei giovani che rimanevano affascinati dal suo cambiamento interiore, avendolo conosciuto pieno di vizi e in seguito ricco di virtù. Per questo si aggregarono alcuni giovani alla sua sequela. “…entrò nell’Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero fu portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno e disse loro: «Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno» (FF366)….

Amavano talmente la pazienza, che preferivano stare dove c’era da soffrire persecuzioni che non dove, essendo nota la loro santità, potevano godere i favori del mondo. Spesso, ingiuriati, vilipesi, percossi, spogliati, legati, incarcerati, sopportavano tutto virilmente, senza cercare alcuna difesa; dalle loro labbra anzi non usciva che un cantico di lode e di ringraziamento (FF390)….

Francesco amava con maggiore bontà e sopportava con pazienza quelli che sapeva turbati da tentazioni e deboli di spirito, come bambini fluttuanti. Per cui, evitando le correzioni aspre, dove non vedeva un pericolo, risparmiava la verga per riguardo alla loro anima. E soleva dire che è dovere del superiore, padre e non tiranno, prevenire l’occasione della colpa e non permettere che cada chi poi difficilmente potrebbe rialzarsi, una volta caduto. Oh, quanto è degna di compassione la nostra stoltezza! Non soltanto non rialziamo o sosteniamo i deboli, ma a volte li spingiamo a cadere(FF763)”.

Papa Francesco conclude: «Quando ci sentiamo nella morsa della prova, come insegna Giobbe, è bene aprirsi con speranza alla novità di Dio, nella ferma fiducia che Egli non lascia deluse le nostre attese. Pazienza è saper sopportare i mali».

Foto: Ansa

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