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L’impronta ambientale dell’IA

Leggendo un articolo apparso su Segni dei Tempi di qualche settimana fa, mi sono interrogato sulla dimensione dell’impatto ambientale che può avere una tecnologia come l’intelligenza artificiale e se, a paragone con altri settori a forte richiesta energetica, questa fosse più o meno rilevante.

Tra le tante fonti che ho consultato, nessuna è riuscita a darmi un dato certo al di fuori di un’inchiesta de “Il Sole 24 ore” che ha parametrato l’uso dell’IA a confronto con la visione di un programma in streaming.

Il dato interessante è che usare l’intelligenza artificiale per generare un’immagine impatta a livello energetico come 3,5 minuti di visione di un programma in streaming.

Al di là del discorso riduttivo se vedere un video su Youtube equivale ad usare l’IA, ho provato a verificare questo dato direttamente interrogando Chat-GPT ed ecco alcune informazioni concrete su cui riflettere.

Consumo di risorse: Un dialogo di 20 messaggi con una chatbot come ChatGPT può richiedere fino a mezzo litro d’acqua per raffreddare i server. Durante l’addestramento di ChatGPT 3.5, sono stati consumati almeno 3,5 milioni di litri d’acqua, equivalenti ai consumi giornalieri di circa 25.000 cittadini europei.

Emissioni di CO2: L’addestramento di alcuni modelli di intelligenza artificiale può generare una quantità significativa di emissioni di CO2. Ad esempio, si stima che GPT-3 abbia generato circa 550 tonnellate di CO2, mentre T5 meno di 50 tonnellate e Meena circa 95 tonnellate.

Consumo energetico: Grandi aziende come Google e Amazon stimano che circa il 90% del consumo energetico avvenga durante la fase di inferenza, ovvero l’esecuzione di modelli di machine learning addestrati.

Questi dati evidenziano che ci sia ben più che un semplice confronto con lo streaming o qualsiasi altra tecnologia che “beve” le risorse del pianeta.

La soluzione a questo dilemma proviene proprio dall’intelligenza artificiale, perché può anche contribuire positivamente alla sostenibilità. Uno studio condotto dal think tank europeo P.A.U. Education ha rilevato che l’IA potrebbe ridurre le emissioni di gas serra del 20% entro il 2030, creare 2,4 milioni di posti di lavoro e aumentare il PIL europeo del 4,4%.

Un altro studio condotto da associazioni ambientaliste, suggerisce che l’uso dell’IA in settori chiave come acqua, agricoltura, trasporti ed energia potrebbe portare a una diminuzione delle emissioni del 4% entro il 2030.

Anche nel riciclo, un progetto dell’Università di Bologna utilizza l’IA per identificare i tipi di plastica nei rifiuti urbani, migliorando il processo di riciclaggio

Mentre per l’uso di fonti rinnovabili si ricorre all’energia eolica, solare e idroelettrica, alcuni data center stanno adottando pratiche sostenibili anche per il riciclo dell’acqua utilizzata nei sistemi di raffreddamento. Queste includono il recupero del calore residuo, che può essere riutilizzato per riscaldare edifici vicini o per altri scopi energetici. 

Inoltre, ci sono progetti innovativi come il progetto Natick, che prevede la costruzione di data center sottomarini sfruttando l’acqua naturale per il raffreddamento, riducendo così il bisogno di acqua dolce e il relativo spreco. Queste soluzioni non solo migliorano l’efficienza energetica ma contribuiscono anche a ridurre l’impatto ambientale dei data center.

Insomma la soluzione all’impatto ambientale della tecnologia, pare sia proprio l’uso della stessa nell’ottimizzazione dei processi e degli algoritmi, il miglioramento dell’efficienza dell’hardware e un monitoraggio più attivo sull’effettivo utilizzo.

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