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Omelia di Mons. Carlo Villano in occasione della S. Messa del 17 gennaio

Parrocchia di sant’Antonio Abate in Ischia

“Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”, con questa citazione, tratta dal Libro del Levitico, brano che è stato proposto come Prima Lettura per la celebrazione eucaristica per la festività di sant’Antonio Abate, il Vescovo Carlo ha introdotto il tema della santità, la quale – ha spiegato – trova il suo fondamento, la sua radice primaria, nel Signore stesso e nella sua santità. Essere santi è un obiettivo che tutti i cristiani possono e devono avere nel percorso della propria vita. Ricordare coloro che sono diventati santi, le loro vite, il loro percorso ci serve da modello, ci serve per capire in quale direzione procedere per percorrere anche noi la via della santità. L’Abate Antonio – ci ha detto il Vescovo – ha da insegnarci una caratteristica precipua: l’ascolto nel silenzio:

«Nella vita di Antonio il silenzio non era vuoto, assenza, ma pienezza di Dio, perché in quel silenzio Dio gli ha donato la sua parola, la quale ha trasformato la sua vita».

Si tratta di un silenzio che evoca il deserto biblico, quello nel quale Dio ha parlato al suo popolo, il deserto che non è mancanza o desolazione, ma piuttosto occasione per dare spazio alla relazione con il Signore. Rimanendo nel deserto e dando spazio alla parola di Dio, così come ha fatto l’Abate Antonio, si dà alla parola la possibilità di entrare nella nostra vita per trasformarla. Ma in quale direzione deve avvenire questa trasformazione? Nella direzione che Dio stesso ci indica:

«Siamo chiamati ad amarci gli uni gli altri, perché crediamo in Dio e se siamo chiamati a questo è perché il Signore stesso vive per primo la bellezza della relazione».

Il Signore è maestro di relazione e prossimità e ciò appare chiaro già nella forma in cui si presenta a noi, quella della Santissima Trinità, esempio primario di reciprocità e amore. Il Vescovo ha poi voluto ricordare come il tema della reciprocità e dell’amore fraterno sia già cifra della comunità che lo ha accolto nel giorno della festività di Sant’Antonio. Nel discorso che la comunità gli ha rivolto – ha precisato – egli ha colto infatti un preciso riferimento alle radici della comunità che ha definito se stessa “una comunità dalle origini contadine”:

«Avere origini contadine significa essere una comunità, forte, legata alla terra. È bello fare memoria delle proprie radici, della nostra storia, ciò ci protende verso il futuro, ma significa anche riconoscere nella propria storia la presenza di Dio, che ha agito nella vita dei nostri nonni, dei nostri padri e si prepara ad agire nella vita dei nostri figli e nipoti».

Dunque la santità proviene dalla relazione con Dio, dallo spazio dato alla sua parola nella nostra vita, ma la santità, o perlomeno il percorso che porta ad essa, può e deve essere trasmessa, tramandata, dando spazio alla tradizione e valore alla storia.

E la tradizione affiora anche nel rito dell’accensione del fuoco, il giorno 17 di gennaio, fuoco che – ha ricordato, concludendo, il Vescovo Carlo – riscalda e illumina ed è simbolo di amore. È bene ricordarsi di pregare incessantemente il Signore perché ci aiuti a costruire e mantenere la relazione con Lui, e a mantenere acceso il fuoco dell’amore nei nostri cuori, perché siamo pronti ad amare Dio e ad amarci tra noi come Lui ha fatto. Non a caso san Paolo traduce la parola amore con un’altra preziosa parola: carità

«segno concreto dell’amore di Dio per noi, riflesso del suo amore nelle nostre vite. La bellezza di vivere la nostra fede non è soltanto seguire dei comandamenti, ma vivere la volontà di Dio con amore».

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