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Durante l’ultima catechesi sullo zelo apostolico il Papa commenta: «Concludiamo oggi il ciclo dedicato allo zelo apostolico, in cui ci siamo lasciati ispirare dalla Parola di Dio per aiutare a coltivare la passione per l’annuncio del Vangelo. E questo riguarda ogni cristiano. Pensiamo al fatto che nel Battesimo il celebrante dice, toccando le orecchie e le labbra del battezzato: «Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede». …  il Vangelo riporta la parola decisiva di Gesù in aramaico, effatà, che significa “apriti”, che si aprano le orecchie, che si apra la lingua ed è un invito rivolto non tanto al sordomuto, che non poteva sentirlo, ma proprio ai discepoli di allora e di ogni tempo. Anche noi, che abbiamo ricevuto l’effatà dello Spirito nel Battesimo, siamo chiamati ad aprirci. “Apriti”, dice Gesù a ogni credente e alla sua Chiesa: apriti perché il messaggio del Vangelo ha bisogno di te per essere testimoniato e annunciato!».

Quest’ultima catechesi si potrebbe riallacciare anche al tempo di avvento che stiamo vivendo, nell’attesa ormai prossima della nascita del Bambino Gesù, che viene al mondo per aprire il nostro cuore all’Amore vero col suo soffio divino.

Il serafico padre Francesco d’Assisi amava tanto il Santo Natale che lo definì “la Feste delle feste”.

“Tre anni prima della sua morte, decise di celebrare vicino al paese di Greccio, il ricordo della natività del Bambino Gesù, con la maggior solennità possibile, per rinfocolarne la devozione. Ma, perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità, chiese ed ottenne prima il permesso del sommo Pontefice. Fece preparare una stalla, vi fece portare del fieno e fece condurre sul luogo un bove ed un asino. Si adunano i frati, accorre la popolazione; il bosco risuona di voci e quella venerabile notte diventa splendente di innumerevoli luci, solenne e sonora di laudi armoniose. L’uomo di Dio stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia. Il santo sacrificio viene celebrato sopra la mangiatoia e Francesco, levita di Cristo, canta il santo Vangelo. Predica al popolo e parla della nascita del re povero e nel nominarlo, lo chiama, per tenerezza d’amore, il “bimbo di Bethlehem”. Un cavaliere, virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia secolaresca e si era legato di grande familiarità all’uomo di Dio, il signor Giovanni di Greccio, affermò di aver veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo fanciullino addormentato, che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno. Questa visione del devoto cavaliere è resa credibile dalla santità del testimone, ma viene comprovata anche dalla verità che essa indica e confermata dai miracoli da cui fu accompagnata. Infatti l’esempio di Francesco, riproposto al mondo, ha ottenuto l’effetto di ridestare la fede di Cristo nei cuori intorpiditi; e il fieno della mangiatoia, conservato dalla gente, aveva il potere di risanare le bestie ammalate e di scacciare varie altre malattie. Così Dio glorifica in tutto il suo servo e mostra l’efficacia della santa orazione con l’eloquenza probante dei miracoli (FF1186)”.

Dal quel giorno sono trascorsi 800 anni, in tutto il mondo cattolico il presepe viene preparato ancora oggi in ogni chiesa, in ogni casa, in molte piazze si rappresenta ancora una volta quello vivente, trasmettendo gioia e dolcezza d’animo a chi vi partecipa o a chi è un semplice osservatore. La magia del Natale è preludio della vita eterna che attende ogni credente, consapevole però che la via del calvario è necessaria ma l’ultimo atto è quello della resurrezione.

Buon Natale di Pace e Bene

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