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Peregrinatio dell’icona di Maria Madre della Speranza e delle Confraternite

Siamo andati a prenderla a Pozzuoli, in un caldo e afoso pomeriggio di luglio, quando nessuno si aspettava che l’avrebbero concessa, men che meno così a poca distanza dal primo incontro, modificando, di fatto, l’itinerario che la sua peregrinatio avrebbe dovuto seguire. L’abbiamo fatta viaggiare con noi in prima classe, sui divanetti del salone del traghetto che ci riportava a Ischia, tra i turisti che continuavano ad affollare l’isola, ignari del fatto che noi coprivamo, con i sorrisi di accoglienza e ospitalità, le ferite fasciate alla meno peggio, che ancora sanguinavano. La ripartenza, dopo gli eventi luttuosi che hanno visto portare via 12 anime a Casamicciola, faceva fatica a decollare, ma quel giorno avevamo Lei, che aveva voluto incontrare proprio noi e con noi restare per un po’, iniziando il suo cammino isolano proprio da Casamicciola. Dove tutto sembrava finito, lì iniziava una storia d’amore, di quelle inaspettate, di quelle imprevedibili, come solo l’Amore sa. Come solo l’amore può.

Ce ne siamo presi cura, mostrandole il blu cobalto del mare, l’azzurrità del cielo e l’orizzonte con le sue sfumature di rosa antico e terra, come le coste dell’isola che si intravedevano nella foschia dell’estate rovente, man mano che ci allontanavamo da Pozzuoli e ci avvicinavamo a Ischia, con Lei accanto. Il riverbero del caldo afoso sulla linea dell’orizzonte, la giornata carica di intensità, la tensione della responsabilità per l’ospite di eccezione, di cui non ci sentivamo proprio all’altezza, il vago senso di inadeguatezza per l’incarico ricevuto immeritatamente e che andava portato a termine, confondevano le idee, i pensieri, le aspettative e le progettualità, scivolando nei ricordi come il traghetto scivolava nel mare calmo della quiete quando ti riporta a casa. Così è stato che durante il viaggio ci siamo lasciati cullare dal movimento della nave e dai ricordi, di quando a giugno vivemmo, nutrendoci per un bel po’, il nostro primo incontro con Lei, di quando a Pompei, nel raduno delle confraternite, si è palesata in tutta la sua bellezza rigenerante e rigenerativa.

Fu un appuntamento al buio, quello di giugno: nessuno di noi comprese cosa realmente il direttore delle confraternite volesse da noi tutti, invitando, organizzando, entusiasmando, insistendo, sollecitandoci a partire. Per un raduno, per un incontro, per una presentazione. Per contarci, per guardarci, per confrontarci in quella che sembrava una gita fuori porta, pensata per i membri delle confraternite al fine di rinsaldarne la fraternità, la solidarietà, la comunione. Ed è accaduto che siamo rimasti folgorati dalla sua semplicità disarmante: restammo senza fiato quando la disvelarono presentandocela e man mano che ci avvicinavamo per poterla ammirare da vicino, difficile poi diventava allontanarsene per far posto agli altri che pure volevano guardarla.

Ma come poteva un solo colore riuscire a far emergere tutte quelle sfumature, di chiaroscuro, di luce/ombra, di lievità e contemporaneamente solennità presente? Come poteva un solo tratto, talvolta più marcato nei contorni, altrove appena appena sfiorato nella profondità di campo, riuscire a trasmettere Quel senso? Il senso che Maria, Madre della Speranza e delle Confraternite, trasmetteva in chi la guardava, vedendola, avendo cura di comunicare un messaggio, sempre diverso, a seconda dello sguardo che le si poneva davanti. Aveva inizio così la sua peregrinatio, sarebbe andata in Calabria, dopo la celebrazione della Santa Messa nella Basilica di Pompei e mentre al rientro a Ischia ci chiedevamo se mai sarebbe approdata sull’Isola d’Ischia, aveva inizio anche la nostra di peregrinatio, che, per intenderci, non si è mai conclusa.

L’icona ci aveva “pescati”, e ognuno di noi, nel buio del rientro, con la luna piena che rischiarava le ombre della sera, sentiva in cuor suo che quelle sfumature di un unico colore, potevano sovrapporsi nella memoria a quei segni di fango, macerie, distruzione che ci portavamo ancora addosso. Parimenti, rievocava anche tutti quelli che, all’indomani della frana si sono messi in cammino, venendo da ogni dove e andando ovunque ce ne fosse bisogno, come quel popolo che, nella icona, è in perpetuo movimento, mai statico, sempre dinamico, camminando e non solo pensando di camminare, operando, lavorando, sporcandosi da capo a piedi, e che, nell’incedere, crea sentieri dove prima erano solo rovine e macerie, alza le braccia, come il popolo dell’icona, per aiutare, salvare, sostenere, indicare, pregare e qualche volta anche imprecare. Un popolo fatto di genti a cui si aggiungono genti, di varie estrazioni, religioni, colori, etnie e motivazioni. Perché è camminando che s’apre cammino. E Maria lo sa, lo ha fatto, ce lo insegna e ci accompagna. Dalla visita a Elisabetta, non si è mai più fermata, di generazione in generazione, di mare in mare.

Nella icona abbiamo visto riflessa la nostra di immagine, specchiati in quel fiume di persone che seguono Maria che custodisce in cuor Suo “tutte queste cose” e guarda al Figlio in croce che guarda al Padre, in un movimento di sguardi che sembrano non avere un inizio e nemmeno mai una fine. Un po’ vergognandoci, ci siamo anche chiesti da quanto tempo non indossavamo più i simboli confraternali per camminare insieme ad altre confraternite, per far comunione con le nostre identità, arricchendoci reciprocamente come un’unica grande comunità. In cammino. Un cammino che s’apre camminando. E ci siamo chiesti da quanto tempo eravamo chiusi e ripiegati nel nostro dolore, nelle nostre incomprensioni, nel nostro ombelico di piccolo mondo sgualcito a leccarci ferite che non abbiamo mai disinfettato e delle quali, in verità, non ci siamo mai presi cura, o mai del tutto.

Approdati sull’Isola, accolta come si accoglie un parente caro che viene da lontano e che manca da una vita, abbiamo fatto festa, almeno dodici volte, quante sono le confraternite isolane visitate da Maria Madre della Speranza e delle Confraternite, partecipando tutti, anche quelli un pochino disabituati alla loro confraternalità.

Abbiamo avuto un direttore, don Carlo Candido, che a ogni tappa della Icona, a ogni visita in una delle confraternite isolane, per ogni processione, solennità, adorazione, incontro di formazione, la ammirava come se la vedesse per la prima volta, e ogni volta, a ogni passaggio, desiderava che venisse accolta come se fosse “la prima messa, l’ultima messa, l’unica messa”. Come era per lui, come è per Lui.

E nello sbirciare dalle spalle del sacerdote, guardando nella direzione dove il suo sguardo si perdeva ogni volta, ci siamo lasciati trasportare, ogni volta, tutte e dodici le volte, moltiplicate per i giorni dello stazionamento in ogni singola congrega, dal Suo sguardo, dal Suo invito, dalla Sua Tenerezza compassionevole e misericordiosa.  

Ogni priore, ogni confratello, ogni volontario occasionale si è sentito investito di questa grande, intensa, immensa presenza e ognuno di noi, alla fine del tempo stabilito, a malincuore cedeva l’Icona alla confraternita successiva, accompagnandola, seguendola, custodendola. Mentre in realtà era Lei che custodiva noi nelle relazioni, negli accudimenti, negli incontri che facevamo in Suo nome.

Il libro delle testimonianze, poi, predisposto ai suoi piedi, è stato il sacro scrigno dove depositare ansie, desideri e preghiere di quanti, passando, stazionavano innanzi alla immagine, consegnando su carta afflati e auspici. Residenti, turisti, visitatori, bambini, tutti hanno lasciato un segno di inchiostro che, prima ancora che nel librone, Maria ha accolto nel cuore.

Con Lei ci siamo rivisti, riprogrammati, ricomposti e rivalutati e ogni volta che intercettavamo un dettaglio che la volta prima era sfuggito, riscoprivamo che quel dettaglio era lì per noi, noi che abbiamo camminato scalzi, che abbiamo insegnato ai piccoli che cos’è una confraternita, che abbiamo accolto fratelli e sorelle anche se non praticanti. Che abbiamo aiutato e che siamo stati aiutati, che avevamo diversi vestiti e diversi calzari e Lei era lì a ricordarci le origini della confraternita e a ricordarci che abbiamo camminato e dobbiamo continuare a farlo, insieme, né troppo avanti né troppo indietro, noi, che qualche volta ci siamo presi per mano e qualche altra ci siamo mandati a quel paese, ma sempre, camminando insieme. Era lì a ricordarci di quel cammino che s’apre solo camminando. Insieme.

Con il giro delle varie confraternite dell’isola che chiudeva il cerchio della Peregrinatio ci siamo avvicinati all’ultimo giorno, dopo il quale l’Icona avrebbe salpato per altri lidi, attraversando altri mari, incontrando le speranze e le angosce di altre genti che, sulle coste, se pure inconsapevolmente come era accaduto con noi, l’aspettava.

Dio-incidenza ha voluto che da pochi giorni, sei per l’esattezza, la diocesi di Ischia accoglieva, poiché di nuova nomina, il Vescovo, Monsignor Carlo Villano, che unitamente al Direttore delle Confraternite, don Carlo Candido, ha celebrato la messa dell’addio, o dell’arrivederci nell’ultima confraternita visitata dalla Icona, nello spiazzale antistante Santa Maria Visitapoveri.

Priore in quota rosa, l’unica di tutta l’Isola, impeccabile in tutta l’organizzazione, complice un settembre che volgeva al termine e che per un’altra singolare Dio-incidenza celebrava anche la solennità di San Michele, il difensore del popolo di Dio e il vincitore nella lotta del bene contro il male, principe delle milizie celesti, vincitore dell’ultima battaglia contro Satana e i suoi sostenitori. Mentre la Santa Messa si avvicinava alla conclusione, il sole tramontava su Forio, lentamente come solo in estate accade, per farci gustare fino all’ultima goccia distillata il colore, il calore, il conforto. Tramontava colorando le case intorno alla Basilica, le strade, la piazza dove ancora si salutava e omaggiava l’icona e i responsabili del coordinamento delle confraternite in Italia e in Campania e lo stesso mare, dei medesimi colori della Icona che ci apprestavamo a consegnare, con la stringente nostalgia nel cuore: i colori della speranza, che arrivò dal mare e dal mare, poi, ripartì ma non se ne andò, perché, come dice il direttore delle Confraternite della Diocesi di Ischia, la nostalgia è semplicemente il tanto, tutto, immenso, amore che resta.

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