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Commento al Vangelo Mc 1,1-8

“Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” – così inizia il primo dei vangeli, il vangelo di Marco. È la prima frase del primo vangelo. Capiamo subito che Marco mette subito le carte in tavola: ci dice subito come va a finire il film, oggi diremmo fa lo spoiler, ci dice già il punto di arrivo di tutto questo percorso del nuovo anno. È Gesù il centro e il motivo che muove tutto, ogni cammino, ogni percorso, ogni giorno; è lui la meta. Ci dice che sta per raccontarci una cosa molto semplice: questo Gesù è il Cristo. Si, proprio lui che va in contrasto con i giudei, quello poco devoto, quello che faceva le cassapanche a Nazareth, quello lì che si è preso per un profeta, quello lì così scontato, è il Cristo! Dico scontato perché questa notizia è sempre la stessa, ogni anno la ascoltiamo e Marco ci provoca, Marco insiste!

È un inizio come la Genesi, una nuova creazione, un rifare tutto: Marco inizia il suo Vangelo dicendo che c’è una nuova creazione in cui il protagonista è Gesù che è il Cristo. E questa è una buona notizia, un euangelion: puoi ricominciare! È straordinario che la liturgia ci consegni questo Vangelo in questa domenica proprio per ricominciare! Dopo averci detto domenica scorsa che il padrone ritardatario ha affidato ai suoi servi i poteri della sua presenza, questa domenica ci ripete l’invito: vuoi ricominciare allora? C’è un uomo nel deserto che annuncia una buona notizia: tu puoi ripartire! Non siamo qui a prepararci all’ennesimo Natale; pensate quanti ne abbiamo celebrati, quanti ne abbiamo preparati, quanti ne abbiamo sopportati eppure siamo ancora qui, fragili, incostanti, ancora pieni di dubbi. Pensate quante volte facciamo fatica; eppure, siamo qui a ripeterci la stessa notizia!

In questa seconda domenica non accampare scuse, non dire vabbè ma queste cose le so già (non c’è niente di più difficile che parlare ai cristiani di Gesù, che sanno già tutto). Abbiamo bisogno di tanti Giovanni Battista che ci diano qualche randellata, che ci dicano: ma dai, svegliati! Io parlo di me, di voi, che come spesso dico passiamo la vita a lamentarci, che passiamo il tempo a porre delle condizioni alla loro felicità: se fossi, se avessi, se potessi, ecc… Smettila di stare seduto a lamentarti. Smettila di credere di credere. Smettila di prepararti al Natale come se quelle lucine riuscissero a colmare il tuo cuore. Smettila di adeguarti, abituarti, rassegnarti, preoccuparti. Gesù ci sfida e ci chiama ad incontrarlo qui e oggi, in questo Natale, così come lo stiamo vivendo.

La notizia è sempre la stessa, sì, ritorniamo lì come la spirale che gira e torna sempre allo stesso punto, ma un po’ più approfonditamente, un po’ più in alto. Il profeta Isaia, della prima lettura (detto il secondo Isaia, perché quel libro è scritto da tre autori diversi), nato in Babilonia, da esiliato, è nato profugo e si trova in una di quelle situazioni che potrebbe farci dire: tu non sai quello che stiamo vivendo; è vero io non lo so, ma Isaia sì, ed è interessante perché lui raccomanda a tutti i deportati in Babilonia di rimboccarsi le maniche e lavorare per ciò che conta. E la parola arriva fino a noi oggi. Isaia, che sogna in un posto di schiavi rassegnati, ci incoraggia e ci dice anche delle istruzioni: prepara la strada al Signore, qui il Signore viene. Abbiamo bisogno di fare lavori in corso. Ci invita ad abbassare le montagne, l’arroganza, l’egocentrismo, il narcisismo. Abbassare questo mondo che stordisce e fagocita te stesso, la tua anima, la tua spiritualità. C’è sempre più gente stordita, che non riesce più a stare al passo con i tempi. Spianiamo i colli dell’arroganza e della violenza di pensiero e di parole.

Disarmiamoci smettendola di pensare che tutti ce l’hanno con noi. Isaia poi ci invita a colmare le vallate della disperazione, dell’autolesionismo, della rassegnazione, della noia, del giudizio. Ci invita a colmare i crateri delle nostre insicurezze, delle nostre paure, delle nostre nevrosi. E lo fa consolando. Una consolazione che non è compatimento, pena, ma forza irruente, energia, scuotimento. Come raccomanda Giovanni il battezzatore.

In questa storia ha un ruolo pazzesco, importante, Giovanni Battista che ha una storia veramente strana. Giovanni battista è un sacerdote ma fa il profeta; è figlio di Zaccaria; è legato al tempio di Gerusalemme ma sceglie il deserto invece di accarezzare le persone, di blandirle, di attirarle a sé, parla senza peli sulla lingua; a volte il suo linguaggio è davvero insostenibile, troppo forte; ma è quello che deve fare un profeta, svegliare, ma soprattutto (e a me piace molto), Giovanni non si monta la testa, non si prende per Dio. Lui potrebbe ma non lo fa: tutti pensano che sia il Messia, ma quella bellissima idea di sciogliere il legaccio, ci dimostra chi è veramente. Secondo alcuni studiosi, quando una donna restava vedova e scattava quella strana usanza, per noi, del levirato, cioè che i fratelli del morto potevano accampare dei diritti su di lei, se uno diceva “no grazie”, si scioglieva il sandalo quindi un ulteriore pretendente sfilava il sandalo da quello che ne aveva diritto e la donna era libera.

È un po’ come se Giovanni Battista dicesse: “no, toglietemi pure il sandalo, io non ho nessuna intenzione di accampare diritto sulla sposa che è Israele”. L’unico modo che abbiamo per fare di questo Natale una qualche rinascita è convertirci. Ah, solo! E ascoltare i profeti che ci invitano a preparare le strade. Dio viene quando meno ce lo aspettiamo. Viene come non ce lo immaginiamo. E non sappiamo dove e come. Ma viene. Eccoci allora: proviamo davvero ad avere ancora una volta uno sguardo di fede, profondo, a dire “Signore grazie che ancora torni, grazie che ancora vieni, che nasci ancora in me, maranathà, vieni Signore Gesù!”. Buona domenica!

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