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La domanda non è “dov’è Dio?”, ma “dov’è l’uomo?”

“Dio è qui. Dio è presenza. La preghiera non risolverà nessuno dei nostri problemi, non ci esenta dal lavoro che dobbiamo fare. La preghiera però ci introduce dentro un atteggiamento, ci apre il cuore. Non consente al cuore di essere inquinato dall’odio.”

“La situazione è molto grave.” Il tono è preoccupato, serio. Traspare apprensione nel volto del Patriarca Latino di Gerusalemme, sua Eminenza Pierbattista Pizzaballa, quando comincia a raccontare i drammatici fatti che da sabato 7 ottobre avvengono in Terra Santa. Hamas ha lanciato un attacco su larghissima scala ai danni di Israele. Il più grande attacco mai visto da anni. Israele ha risposto con terribili bombardamenti sulla striscia di Gaza dove i civili si trovano costretti a cercare rifugio dove non c’è. La situazione è altamente instabile e ogni momento potrebbe portare a una escalation. Da Gerusalemme, il Patriarca lancia un accorato appello per la pace.

Eminenza, purtroppo siamo in qualche modo abituati alla violenza in queste terre. Eppure, in questa situazione sembra tutto più violento, più grave. Come state vivendo in questi giorni?

“La situazione è molto grave. È vero che non è la prima volta che ci troviamo davanti a una crisi, ma la portata di questa crisi, la gravità dei fatti compiuti, sia in Israele che a Gaza, ha reso drammatica la situazione. C’è molta tensione, è stato dichiarato lo stato di emergenza in tutto il paese, la gran parte delle attività sono sospese, le scuole sono chiuse. Diciamo che quello che colpisce è il nervosismo e la tensione che si respirano anche nella vita ordinaria, nella strada e nei luoghi di vita comune che comunque sono ormai ridotti al minimo.”

È riuscito a mettersi in contatto con la comunità cattolica di Gaza? Sappiamo che la Striscia sta vivendo un blackout, c’è mancanza di tutto, di acqua e dell’elettricità…

“Sì, siamo in contatto con loro, cerchiamo di tenere contatti per quanto possibile, senza esagerare proprio perché le risorse sono molto poche. Fisicamente stanno tutti bene, gran parte delle famiglie cristiane, quasi i due terzi, è raccolta nei centri della chiesa della Sacra Famiglia. Molte delle case cristiane sono state distrutte, non come obiettivo primario, ma comunque come cosiddetti “danni collaterali”. L’acqua comincia a scarseggiare, ed è molto difficile trovarla, con costi altissimi. Anche il gasolio è molto caro, ma è fondamentale per i generatori, data la mancanza di corrente ed è l’unico modo per avere per qualche ora al giorno l’energia necessaria per il minimo dell’attività di cui c’è bisogno. Speriamo che nei prossimi giorni torni un po’ la ragione e si possa almeno introdurre acqua, viveri e i medicinali necessari.”

Si respira anche molta tensione anche nei territori della Cisgiordania, e si teme che si crei un’ulteriore escalation.

“Sì, Hamas ha lanciato un appello generale, vediamo che tipo di reazione ci sarà. C’è molta paura e non tutti sono d’accordo su quello che è accaduto, naturalmente. Tuttavia, è difficile prevedere gli sviluppi, sono situazioni molto imprevedibili, come nessuno aveva potuto prevedere la drammatica situazione in cui ci troviamo e l’atrocità che abbiamo visto la settimana scorsa.”

Perché non si riesce a trovare una soluzione a questo conflitto secondo lei, Eminenza?

“Le ragioni sono tante, politiche e religiose, e dobbiamo riconoscerlo: è un conflitto sempre più religioso, non solo politico. Inoltre, c’è l’interferenza di persone esterne. Credo che oggi non abbia più molto senso andare a scavare indietro. Bisogna prendere atto che siamo in una fase nuova, drammatica, e sarà molto difficile ricostruire dopo questa crisi, se si può chiamare solo “crisi” e non “guerra”. Ricostruire, ma non soltanto le macerie fisiche, che forse sono la parte più facile, è necessario ricostruire un minimo di fiducia, di relazioni tra le due parti, tra israeliani e palestinesi. Cosa che comunque è una necessità, perché israeliani e palestinesi resteranno qui e saranno costretti a fare conti l’uno con l’altro, lo vogliano o no. Ci vorrà molto tempo, molta pazienza e l’opera di tante persone di buona volontà, tanti operatori che con pazienza sappiano ricostruire quello che è stato distrutto che è enorme.”

Lei ha lanciato un appello in cui diceva: “Dio non è un dio di disordine ma di pace”. Ma ora ci verrebbe da chiederci, dove è Dio in questo momento?

Guai a chiederselo. Dio è qui. Dio è presenza. Lo credo fermamente. Ora più che mai credo che Dio sia una presenza reale nella vita, per questo adesso è il momento in cui noi dobbiamo rivolgerci a Lui. Per questo ho indetto una giornata di preghiera e di digiuno. Ecco, la domanda non è tanto “dove è Dio”, ma ritorniamo un po’ a quello che è stato detto anche 70 anni fa in Europa durante l’Olocausto: dove è l’uomo? Cosa abbiamo fatto della nostra umanità? Cosa abbiamo fatto della nostra vocazione, del rispetto dei diritti della persona e della crescita della persona? Queste sono le domande che ci dobbiamo fare.”

E in questo senso che cosa possono fare i cristiani che oggi vivono in Terra Santa per far riscoprire questa umanità di cui lei parlava?

Per riscoprire l’umanità, noi cristiani dobbiamo innanzitutto guardare a Cristo che è L’Uomo completo. Altrimenti restiamo soltanto nel vago, nell’astratto. Gesù come presenza reale che tocca, che cambia la nostra vita: per questo dobbiamo pregare. La preghiera non risolverà nessuno dei nostri problemi, non ci esenta dal lavoro che dobbiamo fare, del percorso che dobbiamo fare. La preghiera però ci introduce dentro un atteggiamento, ci apre il cuore. Non consente al cuore di essere inquinato dall’odio. Non ci esenta dal lavoro da fare, ma lo illumina, ci indica il percorso da fare, quindi la preghiera è fondamentale.

Quando noi siamo in difficoltà, cerchiamo sempre una persona vicina. E se è una presenza reale, lo vogliamo vicino. E nella preghiera lo troviamo, nella preghiera, nel digiuno, nel fare qualcosa che ce Lo faccia sentire vicino. Questa è la prima cosa da fare. Poi naturalmente bisogna lavorare dal punto di vista del sostegno umanitario attraverso le grandi associazioni. In questo momento siamo un po’ tutti paralizzati, ma arriverà un momento in cui ci sarà bisogno di questo, dobbiamo essere pronti e preparati, evitare di usare un linguaggio esclusivo, violento, di odio: significherebbe cadere nella narrativa di quelli che vogliono questo disastro.

di Jacopo Battistini – Pro Terra Sancta

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