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Educare alla pace è la responsabilità più grande

“Educare alla pace” è la responsabilità più grande. E comincia dai bambini, dai loro incontri nelle scuole, dalla conoscenza reciproca. Musulmani, ebrei, cristiani. E però oggi, dopo oltre 70 anni di conflitto mediorientale, c’è bisogno di un aiuto. Un dovere, che non può ricadere solo sulle spalle di israeliani e palestinesi: ad assumerlo può essere solo la “comunità internazionale”, pur oggi così divisa, al punto di non riuscire ad accordarsi nemmeno sulla richiesta di un cessate il fuoco umanitario. Sono parole e pensieri, questi, di padre Ibrahim Faltas, Vicario della Custodia e direttore delle scuole di Terra santa, 59 anni. È egiziano e soprattutto francescano: “Nelle nostre scuole, per tutti gli alunni, cristiani, musulmani o drusi, la giornata comincia sempre con la preghiera di San Francesco: ‘O Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace'”.

Ma come si fa oggi, con gli attentati, i bombardamenti e la violenza tornata a divampare il 7 ottobre, a coltivare l’incontro? “Se vogliamo avere un futuro diverso e migliore dobbiamo educare i bambini” risponde padre Faltas. “Ce ne rendiamo conto quando portiamo i nostri ragazzi in viaggio in Italia e persino in Giappone: sono giovani ebrei e sono giovani della Striscia di Gaza, che sono diventati amici e si sentono tra loro anche in momenti difficili come questo”.

Di incontri, e di negoziati, padre Faltas se ne intende. Dimostrò le sue capacità di mediatore nel 2002, quando i militari israeliani assediarono la basilica della Natività a Betlemme per arrestare attivisti palestinesi che si erano rifugiati all’interno dell’edificio. Dopo 39 giorni, fu trovata un’intesa: quelle persone furono trasferite a Gaza o in Europa senza che ci fossero nuove violenze.

Secondo il francescano, oggi in Terra Santa ci sono ancora più giornalisti di allora. “Si capisce che questo conflitto è importante per tutti, nonostante dal suo inizio siano passati più di 70 anni” sottolinea padre Faltas, richiamando alla memoria le scelte che si concretizzarono dopo la Seconda guerra mondiale, con la nascita dello Stato di Israele nel 1948.

E però la violenza, anche se la si conosce già, colpisce sempre. Padre Faltas condivide via WhatsApp un’immagine di Gaza, rilanciata questa settimana anche sui social network e in video condivisi migliaia di volte. Si vede un bambino in una sala d’ospedale, avrà forse quattro anni: accanto a lui, stesa su una barella, giace la madre ferita. “Non so come sia andata l’operazione chirurgica, non so cosa sia accaduto dopo” sottolinea il francescano. “Ecco, anche io mi domando come sia possibile perdonare e volere la pace dopo aver perso una madre, una figlia, un fratello o una sorella: mi rispondo che dobbiamo avere speranza e non smettere mai di educare alla pace”.

Da Gerusalemme, città santa per tre religioni, padre Faltas allarga lo sguardo dal Medio Oriente al mondo. “La responsabilità politica di ciò che sta accadendo è della comunità internazionale” sottolinea il francescano. “Gli israeliani e i palestinesi da soli non ce la fanno: oggi è terribile vedere che non c’è nessuno che chiede il cessate il fuoco e che si torni a negoziare”. In settimana, una proposta di risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che raccomandava “pause umanitarie” per favorire l’invio di aiuti a Gaza è stata bloccata da un veto degli Stati Uniti.

Gaza, bombardata la chiesa ortodossa: ospitava sfollati

Morti e feriti giovedì 19 ottobre in un bombardamento israeliano che ha colpito la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio a Gaza City: lo ha comunicato il Patriarcato di riferimento con base a Gerusalemme e lo hanno confermato fonti sul posto sentite dall’agenzia Dire.

“Nell’area si erano rifugiate anche persone cristiane” ha denunciato suor Nabila Saleh, missionaria egiziana che si trova in città. “Questo è un massacro: non si può restare in silenzio, non c’è giustizia”.

Il “raid aereo israeliano” è stato condannato dal Patriarcato ortodosso di Gerusalemme in una nota. Nel testo si denuncia che “colpire le chiese e le loro istituzioni insieme con rifugi che garantiscono protezione a civili innocenti, in particolare donne e bambini che hanno perso le loro case a causa dei bombardamenti israeliani in aree residenziali negli ultimi 13 giorni, costituisce un crimine di guerra che non può essere ignorato”.

Secondo stime fornite dal governo di Gaza, costituito dall’organizzazione palestinese Hamas, nel raid hanno perso la vita almeno otto persone.

Fonte: Agenzia DIRE

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