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Commento al Vangelo Mt 22,33-43

Ci sono parabole bellissime, che ci entusiasmano, ricche di verità, che accendono il nostro animo, e parabole tristi, cupe, che ci toccano nel profondo come questa di questa domenica. Ancora una volta la liturgia della Parola di questa domenica ci presenta il tema della vigna. Per la terza volta sentiamo ancora come Dio, attraverso questa immagine, ci canta il suo amore. In queste domeniche abbiamo ascoltato come l’amore di Dio chiama a tutte le ore (il vignaiolo che chiama a tutte le ore) perché non vuole che sprechiamo la nostra vita, esige una risposta coerente nella vita (i due figli), e quest’oggi ci mostra tutta la sua tenerezza nel raccontarci la storia della salvezza.

Ancora una volta Gesù utilizza l’immagine della vigna, un’immagine bella, profonda, luogo di riferimento, enigma spesso utilizzato dai profeti. Essa rappresenta Israele. La vigna del Signore coltivata, devastata, diventa l’occasione che Gesù ha per cercare di mandare un ultimo, estremo tentativo per cambiare il cuore di chi sta per ucciderlo. Non è difficile visualizzare questa immagine per noi ischitani che in questo momento stiamo osservando i colori dell’autunno, il profumo della vendemmia e i rumori dei contadini. Gesù si è reso conto che il suo ministero, la sua missione, il suo tentativo estremo di farci vedere il volto del Padre, il vero volto di Dio, non stanno funzionando.

Questo è il prezzo della libertà che Dio ha donato a tutti quanti noi. La parabola di oggi la conosciamo bene e in Matteo è feroce, quasi cattiva, perché la vita del Figlio di Dio è giunta ad un punto di svolta. Ma è proprio da Isaia che ci facciamo raccontare l’amore che Dio ha per questa vigna. Nella parabola, cavalcando le onde del profeta, Gesù riprende quel canto d’amore che parla di Israele. Quant’è bello questo padrone attento e appassionato per la sua vigna! La pianta con cura, le fa una siepe attorno che possa custodirla come il suo abbraccio, scava un frantoio perché è certo che porterà frutto abbondante e costruisce una torre perché dall’alto la si possa sorvegliare. Procura tutto il necessario perché il suo popolo possa stare bene. Anche con la nostra vita Dio fa così; la pianta, cioè la fa vivere, ci consegna il soffio della vita; le fa una siepe, Dio la protegge come in un abbraccio; scava un frantoio, aspetta che in essa nascano dei frutti buoni; costruisce una torre, cioè le dà protezione e sicurezza donandoci un carattere.

Quant’amore Dio ci mette per costruirla! Però fa una cosa stupenda: la fitta, la dona a noi, la mette nelle nostre mani, alla nostra responsabilità. Ricordate le parabole delle scorse settimane: quanto stiamo sprecando questo dono? Quanta fatica facciamo con i due figli dentro di noi? Come ogni dono, però, corriamo il rischio di snaturarlo, di credere che quel dono diventi mia proprietà, che diventi un possesso. Quanto male faccio a me e agli altri quando invece di pensare che tutto è un dono mi arrogo il diritto di dire che tutto mi è dovuto? Non è forse la realtà che stiamo vivendo? Questo uomo, vertice della creazione, non sta diventando despota invece che giardiniere? Questo è il peccato dell’origine che si affaccia dentro di noi. Cosa daremo ai nostri figli? Un deserto spremuto come un limone. I fittavoli dicono che la vigna è la loro! Eliminiamo tutto nella vita, Cristo, Dio, la spiritualità, la naturalità e facciamoci noi il Dio di noi stessi.

Gesù sta parlando ai suoi assassini, ai fittavoli di quello che sta per succedere e come accade nelle altre parabole ci chiede di dare un giudizio, ci coinvolge. Vedo un Gesù scosso perché si rende conto che le parole non sono bastate, scosso perché resta stranito dalla nostra reazione, scosso perché tutto sta per finire. Immagino la scena perché la vedo adesso davanti ai miei occhi. Chiede a loro di giudicare, di essere giudici di loro stessi. La parabola fa ancora più infuriare coloro che non vogliono accorgersi di essere loro i protagonisti. La risposta di questi uomini è sconcertante: “Verrà e farà vendetta!”.

Certo, dovrebbe fare così il nostro Dio giustiziere. Ma non succederà così. Gesù preferirà andare fino in fondo, preferirà essere appeso pur di non perdere nessuno e per manifestare in pienezza il volto di Dio piuttosto che delineare il volto di un Dio vendicativo e piccino come lo pensiamo noi a volte. Non dimentichiamo i passaggi di questa parabola: siamo fittavoli, la vigna non è nostra, siamo ospiti di passaggio, tutto ci è donato, siamo chiamati a farlo fruttificare e non ad abusare di noi, del creato, degli altri. Viviamo in gratitudine davanti a questo Dio che canta d’amore per noi. Cerchiamo sempre di tenere nel cuore che Dio non abbandona questa vigna, ma fa di tutto per riavvicinarla a sé. Celebriamo in questa domenica il Dio ucciso fuori dalla vigna, ma risorto per farci vedere la sua vigna cosa sarà: bella, florida, ma soprattutto risplenderà di Dio. Buona domenica!

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