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Intervista Mons. Carlo Villano

Eccellenza, innanzi tutto, benvenuto in quella che sarà la vostra diocesi, e grazie di aver concesso al Kaire questa intervista. Quali sono , in questo momento, i vostri sentimenti in questo doppio incarico.

Come ho scritto nella lettera, sento la bellezza di questa chiamata, sento anche il peso di questa chiamata, forse sento, umanamente, anche i miei limiti, ma di fronte a tutto questo sento anche la grazia di Dio. Sento tutto questo come un dono che viene dall’alto. In questo per davvero ci credo. Credo per davvero che il Signore ci chiama per volontà di papa Francesco: lo Spirito per davvero agisce nella sua Chiesa. Tutto questo per dire che, nonostante l’impegno lo senta gravoso, lo senta “impegnativo”, sento che il Signore mi sta accanto, sento per davvero che il Signore mi sta dando una mano, m’invita ad andare avanti dicendomi: “Guarda che non ti farò mancare la Mia presenza e il Mio sostegno”. Questo per davvero mi dà molta serenità.

Siete già venuto varie volte a Ischia, quindi avete già avuto contatti con gli ischitani e con i sacerdoti ischitani. Qual è la vostra impressione?

Ho avuto qualche contatto con la Chiesa di Ischia: sono venuto soprattutto per qualche celebrazione, sono venuto per due anni consecutivi nella celebrazione del Triduo Pasquale, nella celebrazione della Pasqua, e credo che sia una Chiesa viva, credo che sia una Chiesa in cammino, credo che sia una Chiesa che veramente può esprimere molto, veramente può essere presenza di Cristo. Naturalmente è una chiesa che guarda al “suo” popolo di Dio, diciamo così, al popolo di Dio che è in Ischia, ma credo che sia anche una Chiesa particolare, perché guarda anche al popolo di Dio che viene qui in vacanza; un po’ questa doppia attenzione credo che caratterizzi la vita della Chiesa qui a Ischia.

Riuscirete a guidare la Chiesa di Pozzuoli e la Chiesa di Ischia come due entità che comunque sono diverse?

Certamente, sì, sono due entità che sono diverse, sono delle entità che credo un po’ alla volta impareranno a percorrere, nella differenza della propria storia, delle proprie tradizioni, delle proprie culture, ma che impareranno a percorrere un po’ alla volta delle strade comuni, dei sentieri comuni, proprio perché è il nostro essere Chiesa, lo possiamo vivere pienamente in un clima di comunione, non solo tra le due Chiese, ma con tutta la Chiesa, e con la Chiesa universale.

Poi non dobbiamo dire “ci riuscirò”, ma “ci riusciremo”: la domanda la facciamo al plurale, insomma.

La vostra esperienza con gli Scout e con la Pastorale giovanile, quanto potrà influire e quanto vi potrà essere d’aiuto?

Io credo che la mia esperienza con la realtà giovanile, con gli Scout sia un’esperienza che mi porto dietro, perché certamente ha formato la mia vita, e me la porto dietro proprio con questa immagine del “camminare insieme” del modellare il mio passo sul passo dell’altro; me la porto dietro perché impariamo a percorrere delle strade nuove, impariamo a guardare agli orizzonti che ci sono davanti, e me la porto dietro perché i giovani sono una realtà in continua evoluzione. Questo significa la capacità della Chiesa di saper rivolgere, non solo la propria attenzione, ma di saper parlare con linguaggi nuovi, alle nuove generazioni che cambiano in continuazione: pare, alcuni studiosi, alcuni psicologi dell’infanzia e dell’età evolutiva ci dicono che ogni cinque anni c’è una generazione nuova. Ecco, se noi teniamo presente che ogni cinque anni c’è una generazione nuova, allora a noi come Chiesa viene chiesto proprio questo, di parlare linguaggi sempre nuovi, e allora di questi linguaggi noi siamo chiamati ad andarne alla ricerca. E d’altronde è quello che ci chiedono i giovani: ce lo chiedono loro, di saper parlare un linguaggio che sia da loro comprensibile.

Nel vostro stemma è disegnata una strada che agli ischitani fa immediatamente venire in mente la linea, la ferita della frana di Casamicciola…

Anche lì per me questa è un’attenzione: guardare – oggi papa Francesco ce lo ricorda – guardare alle periferie esistenziali. Ecco, io credo che per un vescovo, per un sacerdote, per un cristiano, il primo aspetto è quello di stare accanto a chi soffre. Stare accanto a chi soffre ascoltando, stare accanto a chi soffre stando, moralmente e fisicamente, insieme con lui. Penso che questa “Chiesa da campo” che ci ricorda papa Francesco, questa attenzione alle periferie esistenziali, è un richiamo per me vescovo, per me sacerdote – per noi vescovi, per noi sacerdoti – a stare per davvero accanto alla gente: noi siamo chiamati a voler bene, ad amare il popolo di Dio che il Signore ci dona, quel popolo che il Signore ci affida è un dono, e noi questo dono credo che lo dobbiamo conservare e custodire come una perla preziosa, come la perla preziosa del Vangelo.

Riuscirete ad essere abbastanza spesso a Ischia?

Speriamo. Ecco, vivere le due diocesi: anche questo per me è un percorso nuovo e anche questa è una strada da percorrere, ma anche da immaginare e da costruire volta per volta. Certamente sono pastore delle due Chiese, e certamente c’è attenzione per l’una e per l’altra, nei tempi e nei modi che il Signore ci farà scoprire.

Immagine: Diocesi di Aversa

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