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Monache e monaci in cucina

Passano i secoli ma la tradizione monastica ha sempre qualcosa da dire. Anche in cucina.

Due programmi TV dedicati alla cucina monastica

I monasteri sono luoghi di grande cultura gastronomica: diamo quasi per scontato che quanto proviene dalle abbazie sia non solo buono ma anche genuino, naturale, di ottima qualità. Cavalcando l’onda di questo comune sentire, il canale TV Food Network ha deciso di dare spazio nel suo palinsesto a due programmi dedicati alla cucina monastica, che stanno ottenendo un grande successo. Davvero una bella soddisfazione, considerando che quel canale propone le ricette di chef molto noti al grande pubblico come Benedetta Rossi, Csaba Dalla Zorza, Luca Pappagallo e Antonino Cannavacciuolo.

Il Monastero delle Benedettine di Sant’Anna si trova a Bastia Umbra, borgo medioevale non lontano da Assisi dove, come racconta una voce fuori campo all’inizio del programma, «si coltiva la mente, l’anima, la terra e la cucina. Un patrimonio di ricette è stato fino ad ora custodito in uno scrigno fra gli scaffali dell’antica biblioteca delle monache. In quest’oasi di pace dove il lavoro della terra e il rapporto con la natura sono motivo di gioia e sorrisi, Madre Noemi e le sue consorelle ci accompagnano a scoprire “La cucina delle Monache».

Madre Noemi, badessa del Monastero, era destinata alla serie A di pallacanestro ma ha scelto di essere, come ci racconta lei stessa, un’atleta del Signore. Suor Debora è un architetto, Suor Miriam ha quattro lauree, Suor Eleonora è laureata in psicologia: tutte hanno trovato nel silenzio del chiostro le risposte alle loro domande e il senso della vita. Davanti alle telecamere, con sicurezza e semplicità, tra pentole e mestoli, tegami e coltelli, presentano ricette ricche di storia e tradizione, estraendo dal prezioso cofanetto il patrimonio della tradizione culinaria benedettina.

Il Monastero delle Benedettine di Sant’Anna si trova a Bastia Umbra, borgo medioevale non lontano da Assisi dove, come racconta una voce fuori campo all’inizio del programma, «si coltiva la mente, l’anima, la terra e la cucina. Un patrimonio di ricette è stato fino ad ora custodito in uno scrigno fra gli scaffali dell’antica biblioteca delle monache. In quest’oasi di pace dove il lavoro della terra e il rapporto con la natura sono motivo di gioia e sorrisi, Madre Noemi e le sue consorelle ci accompagnano a scoprire “La cucina delle Monache». Madre Noemi, badessa del Monastero, era destinata alla serie A di pallacanestro ma ha scelto di essere, come ci racconta lei stessa, un’atleta del Signore. Suor Debora è un architetto, Suor Miriam ha quattro lauree, Suor Eleonora è laureata in psicologia: tutte hanno trovato nel silenzio del chiostro le risposte alle loro domande e il senso della vita. Davanti alle telecamere, con sicurezza e semplicità, tra pentole e mestoli, tegami e coltelli, presentano ricette ricche di storia e tradizione, estraendo dal prezioso cofanetto il patrimonio della tradizione culinaria benedettina.

Lo stile di questi programmi è garbato, schietto e molto spontaneo. In un panorama televisivo che troppo spesso propone chef vanagloriosi, a volte anche arroganti e sopra le righe, la serenità che si respira è davvero piacevole. Le ricette sono gustose e di facile realizzazione, ma soprattutto emerge l’atmosfera di pace e letizia della vita dei religiosi, la loro capacità di fare squadra e collaborare con spirito di carità, la voglia di fare le cose al meglio per la gloria di Dio e il benessere della comunità, la consapevolezza di avere alle spalle secoli di storia e cultura che si sentono in dovere di custodire e trasmettere, esprimendo un modo di vivere insieme che può essere imitato nel suo valore anche da noi laici. Mi viene in mente un passo di un libro di don Luigi Maria Epicoco: «Perché le cose più buone ce le hanno i monaci? La miglior cioccolata, la miglior birra, i migliori liquori, i migliori infusi, i migliori manufatti? Perché chi è allenato alla presenza del Signore, a servirlo perché lo riconosce in qualcosa di sacro, comprende che il profano è ugualmente sacro e per questo fa tutto con amore, con cura, con dedizione, con passione, con totalità, con gusto, perché riesce ad avere cura di una cosa che normalmente consideriamo banale, rallentando, gustando, mettendoci tutto sé stesso. Ecco, quando si riesce a fare questo, si tira fuori la sacralità del resto della creazione, di una pietra, di una pianta, di un posto, di un libro. Realtà che normalmente sono profane, ma che quando sono amate, lavorate e vissute da chi è allenato a riconoscere la presenza del Signore, vengono tutte trasfigurate da questa Presenza.

S’intende che noi non crediamo che un tavolo contenga Dio, non siamo panteisti. Ma crediamo che questo tavolo è un pretesto per amare Dio. Qui non c’è Dio, ma uso questo tavolo come pretesto per dire a Dio: «Ti amo». Ecco perché lo vivo bene, lo faccio bene, lo curo bene, lo pulisco bene, ne ho cura. Non riconosco nessuna divinità nelle cose ma capisco che ogni cosa è pretesto per amarLo

 Passano i secoli ma la tradizione monastica ha sempre qualcosa da dire. Anche in cucina.

Fonte: Susanna Manzin – Pane&Focolare

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