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Sull’inutilità dei preti

La gente pensa che fare il prete sia un mestiere.
Uno che magari si sveglia la mattina ed è convinto di poter mettere su
una bancarella per vendere parole, benedizioni, e santini.

La gente pensa che fare il prete sia una roba fuori dal mondo. Uno che magari fa fatica a stare dentro le cose e per questo si rifugia in una qualche sagrestia.

Lo sanno tutti che certe volte con la scusa di amare Dio alla fine si rischia di non amare nessuno. Ma è vero anche che certe volte tu ti accorgi che Dio lo hai incontrato perché non puoi fare a meno di amare tutti.

E amare non è un mestiere, è sentirsi responsabili.

Fare il prete non è un mestiere. È la stessa cosa che capita a chi perde la testa per amore: non c’è più il calcolo ma solo l’ostinato desiderio di non perderti il bandolo della matassa che pensi di aver incontrato in qualcuno o in qualcosa.

Uno pensa che basta mettersi una tonaca e la magia è fatta. Ma la tonaca non funziona se sotto non c’è un uomo, uno che sa che è il più miserabile di tutti, eppure è stato scelto, eppure è stato amato.

E quanto è difficile accettare il peso di quella tonaca che oggi appare più inzozzata dal tradimento di chi avrebbe dovuto amare e invece se n’è solo servito.

Ma poco importa se bisogna caricarsi anche sulle spalle l’infamia degli altri. Non si diventa preti per essere benvisti. Si diventa preti per diventare servi inutili proprio come diceva Gesù. Servi inutili a tempo pieno! Servi senza un utile. Servi gratuiti.

L’amore salva solo se è gratuito. È questo lo scopo di ogni vero amore: amare senza contraccambio. Amare a fondo perduto. Amare e basta. Come fa una madre, un padre, un vero amico, o chiunque fa le cose con amore.

L’amore quando è gratuito fa miracoli. Per questo ha senso un prete. Perché è messo lì in mezzo alla gente a ricordare che c’è qualcosa per cui vale la pena vivere, combattere e in alcuni casi anche perdere.

È messo lì perché ognuno possa avere il diritto di avere anche paura della vita, della morte, delle cose belle e brutte che capitano e che molto spesso sono più grandi delle nostre forze e proprio per questo ci danno le vertigini. Ma avere il diritto di poter avere paura non significa lasciare che essa decida al posto nostro.

Chi ti ama non ti dice che non soffrirai mai, che non sbaglierai mai, che non avrai mai paura delle cose che ti succederanno, ma ti dice che tu puoi vivere tutto, accettare tutto, affrontare tutto. E te lo dice perché è con te.

La sua presenza è la cosa più convincente, non le sue parole, i suoi ragionamenti, le sue raccomandazioni.

Si diventa preti per essere una presenza. Si diventa preti per rendere l’invisibile visibile. Come accade sull’altare. Come accade quando si ascolta, senza pretese, senza giudicare. Come quando si stringe una mano per infondere forza. Come quando si tiene in braccio un bambino che piange, o come si accarezza la fronte di uno che muore.

Fare il prete non è un mestiere, è un modo inutile di amare.

Inutile come ogni amore. Inutile come l’aria.

di Luigi Maria Epicoco

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