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Il Sinodo nei laboratori decanali organizzati dalla Diocesi con la collaborazione del Centro Missione Emmaus

«Taci, ascolta, lascia che ciò che hai ascoltato risuoni dentro di te!» È quasi un mantra quello che Roberto Mauri, esperto del Centro Missione Emmaus arrivato da Milano apposta per noi, ci ha insegnato nei laboratori decanali che si sono svolti nei giorni 18 e 19 novembre scorsi. Quattro incontri formativi per spiegarci la via del Sinodo. Ma quale via? Vi abbiamo già detto nei numeri precedenti che questo è un Sinodo molto particolare, che già nel titolo rivela la sua originalità: un “Sinodo sulla sinodalità”, un’espressione tautologica che però rivela la sintesi e il significato stesso del Sinodo: la Chiesa in cammino riflette sul proprio cammino. Ma la domanda non è tanto posta sulla meta del viaggio, quella sembra chiara, la domanda è piuttosto sul “come” continuare a camminare. Noi in realtà anche per questa domanda abbiamo già la risposta, solo che sembriamo averla dimenticata. La risposta ci è stata data duemila e passa anni fa, dal Maestro, (via –verità e vita). E questa risposta, nei laboratori decanali, ci è stata riconsegnata da Roberto Mauri.

Lo stile sinodale

 Il Sinodo intende riportare nella Chiesa uno stile e un atteggiamento che le sono sempre stati, e devono tornare ad essere, propri, lo stile del Vangelo, lo stile dell’ascolto, che non è solo la caritatevole attenzione di chi ha un poco di tempo da dedicare “ai bisognosi”, agli “ammalati”, ai “poveri”, ma una forma mentis che deve entrare nelle nostre vite e deve permearle sempre, lasciando che su di essa si modellino le relazioni umane. Siamo abituati a essere sempre in connessione, a fare tante cose insieme, ad essere ‘multitasking’, sempre operativi ed iperattivi, a progettare e realizzare tante opere, anche nelle parrocchie. Ma Roberto Mauri – e non è la prima volta, per chi ricorda la formazione fatta in occasione del Convegno Diocesano del 2019, – ci ha invitati a riflettere con una affermazione: «Le nostre comunità non camminano più insieme, sono diventate sterili; non sono gli altri che non vengono più a Messa, siamo noi che non siamo più in grado di generare», una affermazione certamente forte, ma che costituisce il punto di rottura dal quale far iniziare un nuovo processo. 

Il tema della generatività

I laboratori, come è noto, sono stati rivolti ad una platea speciale, i ‘referenti per il Sinodo’ individuati dalle diverse parrocchie della Diocesi di Ischia. Si è trattato dunque di persone che frequentano le parrocchie: collaboratori, catechisti, ministri straordinari, membri dei Consigli Pastorali Parrocchiali e altro ancora che orbita intorno alle comunità pastorali locali. Sono la prima ‘avanguardia’ nel processo di evangelizzazione. Ma pare che qualcosa abbia smesso di funzionare, ci ha detto Roberto. Evangelizzare è un processo generativo innescato da Dio stesso fin da quando parlò ad Abramo, – ci raccontano le Sacre Scritture – promettendogli una discendenza numerosa, come le stelle nel cielo. Il Sinodo vuole indirizzarci a ritornare a quel momento specifico, il momento della promessa, per poter ripartire e imparare a camminare insieme. «Noi siamo i paralitici, siamo come il paralitico sul lettino, quello che Gesù guarisce, noi siamo chiamati ad alzarci e camminare, siamo chiamati a recuperare una capacità che abbiamo perso»

La promessa di Dio

È dunque un processo che deve ripartire, ma che deve anche trovare una motivazione. Roberto ci ha ricordato ancora una volta le Sacre Scritture, il libro della Genesi (ancora una volta un ritorno alle origini) e la promessa fatta da Dio ad Abramo (Gen 15,1-6): quella promessa è il nucleo da cui ripartire. Dio ha fatto una promessa, ha un sogno da realizzare per noi, quella promessa riguardava la capacità, per Abramo e per noi ancora oggi, di essere fecondi, di poter generare. Ma questo processo oggi si è interrotto, si è creato un abisso tra ciò che viene detto e progettato e la vita concreta e reale. Le nostre comunità sembrano chiuse in se stesse in uno sterile soliloquio per addetti ai lavori che non ha più relazione vera con la realtà esterna. È necessario ora – ha detto Roberto – passare dalla fase del ‘capire e comprendere’ a quella del ‘gustare e agire’, del provare sensazioni positive che portino cambiamento e ci facciano lasciare la routine.

Il silenzio e l’ascolto

Il primo passo da compiere è quello del porsi in ascolto, azione che, nel segno del ritorno alle origini, troviamo anche nel racconto evangelico dei “Discepoli di Emmaus”, nel quale Gesù, non riconosciuto, appare ai discepoli delusi e spaventati dopo la sua morte. Gesù raccoglie le loro preoccupazioni e le loro angosce, li lascia parlare, aiutandoli poi a riflettere sulla loro condizione, con premura e fermezza. Il silenzio per porsi in ascolto dell’altro è però un momento fondamentale, è la base per tessere buone e significative relazioni, fondate sul rispetto dell’opinione, delle emozioni e delle sensazioni altrui.

La fase laboratoriale

Le premesse presentate da Roberto si sono poi concretizzate nella fase laboratoriale vera e propria. Divisi in piccoli gruppi i partecipanti hanno sperimentato per prima cosa una fase di ascolto di se stessi, un momento di discernimento personale durante il quale si è riflettuto sulle proprie esperienze nelle comunità parrocchiali, alla ricerca di momenti critici o di momenti positivi da comunicare poi agli altri. Successivamente si è passati alla fase dell’ascolto silenzioso dell’altro, che non si è mai trasformato in discussione, ma ha prodotto la fase successiva, quello del ‘lasciar risuonare’, far emergere e comunicare agli altri non l’opinione – o peggio: il giudizio o la valutazione – ma solo ciò che delle parole dell’altro avesse toccato il proprio cuore. Sono emerse sensazioni nuove e singolari, sorprendenti angolazioni, punti di vista inaspettati e nuovi.

Lasciar risuonare e consonare

Lasciare risuonare nel proprio cuore l’esperienza altrui, esporre la propria esperienza agli altri, senza timori, può far scoprire che non si è soli, che la propria esperienza, bella o brutta, può essere simile a quella degli altri. La risonanza diventa consonanza, serve a sentirci simili, costruisce relazioni, attraverso il meccanismo dell’empatia. E in tal modo si può camminare insieme perché ci si sente parte di un gruppo che ha strutturato insieme una buona relazione interna, si può camminare insieme per raggiunger obiettivi comuni.

È questo il senso del Sinodo.


La voce dei partecipanti

Abbiamo raccolto alcune riflessioni tra coloro che hanno partecipato ai diversi incontri laboratoriali:

“Oggi ho vissuto una esperienza davvero speciale. Sono riuscita a fare per la prima volta un vero discernimento. Ho provato gioia nell’ascoltare tutti, perché in quei momenti ho avvertito l’amore che Gesù ha per tutti noi. Ora dobbiamo capire come procedere. Roberto è stato molto chiaro, ci ha spiegato molto bene come comportarci tra noi. Ma ora dobbiamo provare ad agire, ma questo non è semplice”.

“Camminare insieme, fare passi avanti insieme: è questo che ci viene chiesto dal Sinodo ed è una vera e propria sfida che ci vede protagonisti, quasi come delle locomotive che devono trainare la chiesa in questo camminare, devono riuscire a risvegliarla dal suo torpore per renderla gustosa e interessante per gli altri, per fare famiglia. L’incontro di oggi, condotto dai formatori della comunità di Emmaus e rivolto al decanato Casamicciola – Lacco è stato accattivante e dinamico, volto ad esaltare l’importanza dell’ascolto reciproco e della condivisione. Ci ha arricchiti attraverso la condivisione reciproca delle nostre esperienze. Siamo giunti alla conclusione che ognuno di noi ha bisogno dell’amore di Dio e dei fratelli”.

“La credibilità della Chiesa si gioca sull’unità interna. Il Sinodo può aiutarci a sanare le fratture interne”.

“Serata ‘gustosa’ e piacevole, che mi ha sorpreso e ha alzato l’asticella delle aspettative. Sincerità, spontaneità nel racconto delle proprie esperienze; eravamo sconosciuti, ma ci è sembrato di conoscerci da tanto”.

“Sono arrivata con qualche perplessità e non poco timore di non farcela, di non essere all’altezza del compito, ma poi ho scoperto che ci si può confrontare e, attraverso il confronto, si può raggiungere insieme un obiettivo”.

“Bellissima l’esperienza dell’ascolto, strumento fondamentale che il Sinodo vuole rafforzare. Ho pensato a Maria, che ha parlato poco, ma ha ascoltato tanto: quelle parole si sono fatte carne dentro di lei”.

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