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La “clickocrazia”: opportunità o pericolo?

La firma digitale per i referendum

Un emendamento approvato il 20 luglio all’1 e trenta di notte all’unanimità dalle Commissioni Affari costituzionali e Ambiente della Camera è destinato a incidere in modo importante sulla dinamica democratica del Paese e a creare nuovi equilibri dall’esito non scontato. L’emendamento, infatti, introduce la firma digitale per i referendum e dunque se non elimina gli storici banchetti con notaio per la raccolta firme, certamente ne riduce l’importanza. I banchetti resteranno ma non saranno l’unico modo per la raccolta di firme per presentare un referendum.

Un cittadino che vorrà sostenere un quesito referendario, potrà farlo da casa, utilizzando lo Spid (il Sistema pubblico di identità digitale). La novità dell’emendamento vale anche per la raccolta di firme già in corso. L’effetto è stato immediato: in tre giorni il quesito referendario sulla cannabis ha raccolto più di 300mila firme. Al di là del merito della questione che pone seri interrogativi e sulla quale torneremo in modo approfondito, il risultato dal punto di vista della partecipazione apre scenari interessanti.

Anche per il referendum sull’eutanasia si è avuto lo stesso effetto: delle 900mila firme raccolte, 300mila arrivano da un click, con una procedura che non richiede più di due minuti.

E così qualcuno parla già di “clickocrazia” e da più parti si segnala da un lato il probabile aumento di proposte di referendum e dall’altro la necessità di una riforma dello stesso istituto. La questione è delicata e va affrontata in modo non ideologico.

La procedura di firma telematica favorisce i giovani, molto più abituati agli strumenti digitali. Il referendum sull’eutanasia lo conferma: delle 300mila firme on line il 59 per cento sono donne e tra queste il 65 per cento ha tra i 18 e i 35 anni. La novità digitale può creare, peraltro, uno squilibrio territoriale. Nel caso del referendum sull’eutanasia hanno firmato digitalmente il 56 per cento dal Nord, il 28 per cento dal Centro e il 16 per cento dal Sud. Se poi consideriamo che in Italia i possessori di Spid (quelli che dunque possono firmare da casa) sono 24 milioni pari al 49 per cento dei votanti, è evidente che uno degli effetti che può portare con sé il voto digitale è un’alterazione della rappresentanza. In questa dinamica inedita si registra dunque (dalle raccolte in corso) che, in un Paese anziano, questo sistema dà potere ai giovani e alle donne. Fatti questi tutt’altro che negativi.

Nel considerare la novità e le sue possibili ricadute va evidenziato che ciò che promuove la partecipazione dei cittadini alla vita politica è positivo. La sfida vera, come ha osservato l’ex ministro della giustizia Giovanni Maria Flick su Repubblica, è valorizzare la voce del popolo senza però delegittimare il Parlamento. La firma digitale ai referendum aumenta quella che si definisce come “democrazia diretta”. Va, peraltro, osservato che la Costituzione prevede già di per sé delle garanzie: è, infatti, ammesso solo il referendum abrogativo ed è previsto un vaglio di costituzionalità.
Accanto a questo si tratterà di vedere se e come modificare l’istituto referendario (per esempio aumentando le firme necessarie per la sua presentazione).

In ogni caso se questo nuovo strumento in mano ai cittadini rappresenterà uno stimolo per il Parlamento e per i partiti per uscire da un’inerzia che troppo spesso li blocca, potrà avere un altro effetto benefico sul sistema democratico.

Fonte: Lauro Paoletto – direttore “La Voce dei Berici” (Vicenza) – Sir

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