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Commento al Vangelo Gv 6,41-41

“Ora basta, Signore! Prendi la mia vita!”. Quante volte Dio, da ogni angolo della terra, si sarà sentito gridare questa frase. Sarà stato il malato terminale, corroso nel suo corpo da un male che sembra non finire mai; sarà forse un anziano, rinchiuso in un ospizio, oppure rimasto in casa ad affrontare il peso della sua vecchiaia e della sua solitudine insopportabile; sarà il grido di tanti popoli della terra, oppressi, esiliati, maltrattati e mal sopportati dai popoli vicini assetati delle loro terre e delle loro ricchezze; sarà il grido dell’uomo della strada, stanco di dover cambiare letto ogni notte per ritrovarsi alla fine sempre sotto lo stesso portico; sarà il grido di ogni disperato che spesso non esce neppure fuori e rimane soffocato in gola da una corda stretta intorno al collo, o affogato in un cocktail di alcool, fumi e veleni… sarà il grido di chi è stanco di lottare, di combattere ogni giorno per il mensile, per pagare le tasse, per portare avanti una famiglia; sarà stato tante volte anche il mio grido: “Prenditi la mia vita, Dio; riprenditi questo schifo di vita che nessuno ti ha detto mai di darmi e a cui pochi, molto pochi, hanno voluto veramente bene. Gettala via tu, perché non so più che farmene!”.

Quanta gente grida così, a Dio, da ogni latitudine della terra. Questo grido di stanchezza ci accomuna. Anche nel cammino di fede spesso gridiamo a Dio con stanchezza: “Perché mai – direbbe Elia – devo essere io quello che paga per le scelleratezze di una regina assetata di sangue innocente? Perché devo essere io quello che deve fare per ridare la giusta fede al popolo?”.

Perché insistere, come Chiesa – diremmo oggi – ad annunciare il Vangelo ad un mondo che di Dio non ne vuole proprio sapere? Perché insistere a cercare vita laddove tutto ci parla di morte? Siamo forse noi cristiani migliori degli altri? Anche il profeta Elia nella prima lettura cade nella depressione di chi non sente mai una risposta a questa domanda. Dio ascolta tutte le richieste e la risposta di Dio a questa domanda è una sola: un angelo e un pane. L’unica risposta che Dio dà ad Elia è un pane, una focaccia e un orcio d’acqua. La risposta di Dio non è la liberazione dal dolore dalla sofferenza; anche questa volta dobbiamo liberarci dall’immagine sbagliata di Dio.

Egli non toglie, ma ci offre la sua vicinanza e il suo sostegno, ci accompagna con la sua vicinanza. Quanti angeli custodi incrociano il nostro cammino e ci danno coraggio, conforto, aiuto. Quante persone, quanti sacerdoti, quanti amici, quante situazioni capitano che ci confortano, che ci invitano a tornare al pane vivo, al pane vero, al pane della vita. Egli accompagna la nostra sofferenza con tanti angeli custodi. E noi li riconosciamo da ciò che ci portano. L’Angelo della nostra vita ci porta tutto un altro pane. Esso è un altro pane proprio perché è “altro”, perché è “l’Altro”…Sì, stiamo parlando di quel Pane della Vita che è l’Eucaristia, che è Cristo stesso; è quel Pane che è simile alla manna nel deserto, perché anch’esso è disceso dal cielo; solo che questo Pane non marcisce il giorno dopo, e per di più chi ne mangia morirà sì, come ogni uomo, ma portando dentro di sé il germe della vita nuova. Vorrei invitarvi a cercare in questa settimana le tracce del passaggio di Dio, le tracce degli angeli e di quel pane che Dio lascia lungo il cammino.

Nell’immagine di quella focaccia cotta, che sostiene Elia nel cammino verso il Sinai, la tradizione cristiana ha visto un segno dell’Eucarestia, alimento che sorregge l’anima durante il pellegrinaggio terreno. Il profeta Elia non morirà nel deserto ma vivrà e oggi dal vangelo abbiamo ascoltato: “questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.  Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. Gesù ci sta dicendo che la fame infinita che portiamo nel cuore può essere soddisfatta solo dal pane del cielo che è la presenza di Dio scoperto grazie a Gesù.

E Gesù ci dice ancora che chi crede nel Dio che lui ci sta raccontando, ha la vita eterna. La ha adesso, non in un futuro o verso la fine. Sappiamo cosa è la vita eterna?” La vita eterna è la vita dell’Eterno in noi e non la liquidazione alla fine della vita. È la vita di Dio dentro di me! La vita dell’Eterno la sperimento già ora se faccio spazio a lui in me, se lascio il mio dentro fiorire, se lascio la priorità a Dio senza mormorare, se mi fido di Gesù e accolgo quello che lui mi ha detto. Gesù dice che la vita eterna è già cominciata ed è sempre una riscoperta da rifare. Questo ci fa diventare persone nuove perché cambiamo, diventiamo quasi irriconoscibili a noi stessi. La Vita dell’Eterno ci fa fiorire! E Dio mi vede già fiorito! Cosa blocca la fioritura della vita dell’Eterno in me? Sono proprio io!

Nel vangelo la gente mormora a Cafarnao: Come può essere questo uomo così semplice, così poco appariscente, poco carismatico nella logica del mondo, come può proprio questo Gesù condurci a Dio? Questo ragazzo di trent’anni cosa crede di fare davanti a noi che stiamo qui da una vita? La gente mormora, è interdetta; e Gesù chiede loro non di non mormorare, ma di mettersi in discussione. In questi tempi un po’ inquietanti, di declino, di rabbia diffusa, di chi urla più forte, la gente mormora, si continua a discutere, a spettegolare, ad accusarsi; c’è tanto veleno da sputare, tanta rabbia; pensiamo sui social quanto veleno ci rinfacciamo ogni giorno. Non chiediamoci allora perché non cambio. Gesù ci chiede di guardarci dentro, di metterci in discussione.

Chi mormora è perché Dio non lo ha mai incontrato! Chi incontra Dio si apre, accoglie e si mette in discussione. Papa Francesco spesso ci dice che la mormorazione può diventare un ostacolo insormontabile per la conoscenza di Dio. Mamma mia, i toni a Cafarnao stanno diventando veramente accesi, Gesù sta osando troppo… Continuiamo a riflettere su queste parole o sotto il nostro ombrellone o barricati in casa sotto l’aria condizionata, l’importante che facciamo prendere freschezza alla nostra anima.

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