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Scusate, ma la quaresima 2020 era finita?

Commento al Vangelo Mc 1,12-15

Ci siamo. Quaresima. No dai, non scherziamo. Quaresima proprio anche no, grazie. È da un anno che siamo in quaresima. Un anno di deserto delle emozioni, delle relazioni, degli incontri. Un anno intero passato a guardare i bollettini quotidiani, a piangere amici e famigliari, a riorganizzarci la vita sperando in una normalità che ci appare ancora drammaticamente lontana.

Giusto, avete ragione, concordo. Ci siamo già in quaresima, siamo accampati nel deserto da mesi e non sappiamo quando potremo uscirne. Proviamo allora a dare senso a questo deserto. A dare misura e dimensione a quanto viviamo. Proviamo ad alzare la testa e guardare oltre. Niente fioretti, per carità. E niente mortificazioni.

Anzi: di vivificazione abbiamo bisogno. Urgentemente. Benedetta Quaresima, allora, se riesce in qualche modo a darci uno schiaffo. A scuoterci. A rompere il mare di ghiaccio che è in noi. A farci alzare lo sguardo. Ad accorgerci di avere un’anima. A volare più in alto di quanto ci siamo rassegnati a fare. Entriamo nel deserto, allora. Quello raccontato dalla Bibbia. Luogo di tentazione, di fatica, di prove estreme. Che tira fuori tutto ciò che siamo, nel bene e nel male. E non c’è bisogno di andarselo a cercare, il deserto, ci attornia, ci siamo accampati.

Ma il deserto, per Israele, è anche il luogo dell’innamoramento, dell’essenzialità, dei tramonti infuocati, delle tavole della Legge. Di tutta la luce che possiamo incontrare. Fatica e luce. Pena e gioia. Esattamente ciò che viviamo in questi lunghi mesi di pandemia. La stessa realtà, la stessa vita, lo stesso deserto può diventare esperienza di pena infinita o apertura alla pienezza di luce. La Quaresima ci aiuta a vivere un’esperienza di radicale conversione.

Imitando il cammino di Gesù. L’evangelista Marco lascia poco spazio alle tentazioni di Gesù. Diversamente da Matteo e da Luca non si dilunga nei dettagli, non cede alla descrizione, all’approfondimento. In pochi versetti liquida la faccenda ma non per distrazione o superficialità. “E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana”. Non è una cosa necessariamente negativa il deserto, dicevamo. A volte è lo Spirito a spingerci.

Ci spinge perché non abbiamo tanta voglia di vivere nel deserto, perché preferiamo vivere nello stordimento della città. Fatichiamo a prenderci del tempo per stare da soli, ci spaventa il silenzio, forse e soprattutto perché nessuno ci ha mai insegnato ad abitarlo, a farlo fiorire. E ci spaventa soprattutto il deserto che è la prova, la sete, la solitudine negativa, quella di chi si è perso.

Ingenuamente immaginiamo che una vita realizzata sia una vita senza contrasti, senza incidenti, senza dolore. A volte è lo Spirito a spingerci ad abitare il deserto. Il dolore, allora, diventa opportunità per andare all’essenziale. Così quanto stiamo vivendo, insisto, può diventare opportunità, cambiamento, riassetto delle scelte. E Gesù resta nel deserto, quaranta giorni come quaranta furono gli anni trascorsi da Israele a vagare nel Sinai prima di imparare a diventare un popolo libero. Solidale da subito.

Niente sconti, niente privilegi. Anche Gesù ha dovuto affrontare le sue ombre. Tentazioni, le chiama il Vangelo. Cioè scelte, discernimento, capire cosa distrugge e cosa costruisce. Non siamo soli a farlo. Non soltanto Gesù non fugge il deserto ma asseconda lo Spirito. E, come noi, si lascia tentare. Fatica. Lotta. Matteo e Luca ci diranno che lo fa meditando la Parola e interpretandola nella giusta luce. In quel deserto accade qualcosa di incredibile: Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Gesù sta con le bestie selvatiche in assoluta armonia.

Come san Gerolamo con il leone. O san Francesco con il lupo. È il nuovo Adamo, l’uomo risvegliato, l’uomo in piena armonia col creato, col cosmo, con le altre creature. Se nel deserto, sospinti dallo Spirito, sappiamo superare le tentazioni, fare le scelte giuste, orientarci all’essenziale, verso Dio, recuperiamo il nostro rapporto primigenio, originario, col Cosmo. Non più dominatori o nemici, ma in profonda armonia con tutti e con tutto.

E se vogliamo insistere, se le bestie selvatiche, in qualche modo, per allegoria, rappresentano le nostre paure profonde, nel deserto, con Cristo, riusciamo a convivere anche con esse. Un ultimo dettaglio ci regala Marco: Gesù servito dagli angeli. Secondo la tradizione biblica, quando Adamo ed Eva vennero cacciati dall’Eden, Dio mise alla porta del giardino degli angeli di guardia, per impedire che rientrassero.

L’umano, prima, doveva imparare ad usare bene la libertà, straordinario dono di Dio. Ora anche gli angeli si sono riconciliati con gli uomini. E li servono. Ci servono per aiutarci a recuperare la nostra dimensione originaria. Ecco delineato il percorso da fare.

Lasciarci spingere nel deserto dallo Spirito, come ha fatto Gesù, affrontare senza paura le tentazioni per recuperare in noi l’immagine del nuovo Adamo che è il Signore. Dare un senso a tutto quello che abbiamo vissuto e stiamo faticosamente vivendo. Per avere il cuore libero di accogliere il messaggio che il tempo è compiuto e il Regno si è avvicinato. Convertiamoci e crediamo al Vangelo. Buon cammino.

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