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Quali sono i nostri giorni perduti?

Quelli che stiamo vivendo adesso, in un tempo sospeso, bloccato, che pare non abbia più senso? A pensarci bene è anche il titolo di un bel racconto di Dino Buzzati, uno dei più grandi autori del Novecento, e che oggi più che mai sembra suggerirci qualche riflessione.

Ci ripensavo in questi giorni, in questo “regime obbligato” da reclusi che sembra avere fermato la vita, il lavoro, abbia spento la gioia e ci rifili invece quotidianamente notizie brutte, allarmanti, quasi sempre distorte. Anche dai nostri magnifici informatori televisivi che, mentre ci esortano a fidarci dei professionisti dell’informazione, cioè loro, non riescono a dare una notizia positiva o un barlume di speranza e cadono loro stessi nella rete delle fake news.

L’ultima? La telenovela dell’Avigan, il farmaco che sarebbe stato utilizzato in Giappone, e che sarebbe risultato efficace contro il Covid 19. Peccato che tutto si basasse sul video fatto da un ragazzo male informato.

Si è poi scoperto che il farmaco era stato ritirato dal mercato in Italia nel 2012 per gravi effetti collaterali (depressione che poteva indurre al suicidio) e che comunque non cura la malattia in questione, ma evita che il quadro clinico del paziente peggiori. Ma si sa bene che le notizie attraggono e sfondano se sono presentate in un certo modo, sempre lo stesso: catastrofico, apocalittico, fuori controllo.

E il nostro panico cresce e cresce a dismisura la nostra sfiducia. Ma non è di questo che oggi voglio parlare, ma appunto dei “giorni perduti”, partendo proprio dal racconto di Dino Buzzati che si intitola così, in modo quanto mai calzante con la situazione che stiamo vivendo.

Per chi non avesse letto il racconto di Buzzati, ne faccio un breve riassunto: Ernst Kazirra, il protagonista, padrone da pochi giorni di una sontuosa villa, rincasando scorge un uomo uscire da casa sua con una cassa sulle spalle, caricarla su un camion e partire. Si decide a seguirlo per scoprire che cosa quel “ladro” gli abbia rubato e dove si diriga. Scopre così che lo sconosciuto, fermatosi sul ciglio di un profondo fossato, vi scaraventa la cassa che va ad aggiungersi a migliaia di casse uguali, ammassate là.

Incuriosito Kazirra chiede all’uomo che cosa contengano mai e si sente rispondere “I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso…. Che ne hai fatto? Guardali…” Il protagonista scende nella scarpata e ne apre qualcuno. In uno ritrova Graziella, la sua fidanzata che se ne andava per sempre senza che lui neppure la chiamasse. Ne apre un altro: c’era suo fratello in un letto d’ospedale, stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari. Ne apre un terzo per vedere il suo cane fedele, Duk, che lo attendeva da anni, ma lui neanche si sognava di ritornare. Ed è così che scopre chi è veramente il ladro, che cosa ha rubato e come lo ha fatto.

In realtà è proprio lui, “ladro” dei suoi stessi giorni, che gli sono sfuggiti come granelli di sabbia tra le mani. Si è derubato dei suoi affetti più cari, dei rapporti umani più autentici delle persone e del cane che gli erano affezionati per inseguire le sue ambizioni, la ricchezza materiale, la sua affermazione professionale e sociale. È la condizione dell’uomo di oggi che si è costruito una trappola con le proprie mani e che normalmente nella quotidianità, preso da mille impegni per assicurarsi un buon livello di vita, tende a trascurare la dimensione più profonda del proprio essere, l’affettività e i sentimenti. Senza mai fermarsi, con livelli di stress fuori controllo.

A ben guardare non è stato tanto il Covid 19 a farci ammalare, ma il sistema in cui siamo ingabbiati.
Società globalizzata, consumistica e senza frontiere o confini, che lascia circolare di tutto, virus compresi. Sembra che siamo tutti stretti in un abbraccio mortale. Sono oltre cinquant’anni che gli scienziati ci stanno avvisando degli effetti deleteri dell’inquinamento sull’ecosistema, di uno sviluppo e uno sfruttamento selvaggi delle risorse che ci avrebbero portato ad un punto di non ritorno, sugli sconvolgimenti climatici e via discorrendo.

E Greta Thunberg, la ragazzina svedese che lo ha denunciato e ci ha speso tempo ed energie, rinunciando a viaggiare in aereo per non aggravare lo stato di salute del pianeta, è stata quasi ignorata se non derisa dai politici di mezzo mondo. Quegli stessi che avevano ritenuto questa epidemia poca cosa, una banale influenza, e si sono ritrovati loro stessi ad affrontare l’onda dello tsunami. Bene è stata proprio questa “banale influenza” a mettere in ginocchio tutto il sistema globale che con tanta presunzione ci eravamo costruiti.

Adesso assistiamo quasi impotenti alla strage mondiale da Covid19, cercando colpevoli, responsabilità e soluzioni. Però, stranamente, nessuno si ritiene responsabile del numero altissimo di decessi dovuti ogni anno all’inquinamento, all’alcolismo e alle altre dipendenze, alle “stragi del sabato sera”, e men che meno pensa alle aree più povere del pianeta dove ancora si muore quotidianamente, nell’indifferenza dell’opulenta società occidentale, di malaria, di AIDS e di ebola, oltre che di fame.

E adesso? Costretti, almeno la maggior parte a fermarsi, a mordere il freno e a stare in casa per forza, inquieti e pronti a ripartire, stufi di perdere tanto tempo. Ma sono davvero giorni perduti questi? Forse potremmo chiamarli “i giorni ritrovati” per fare il punto della situazione, un bilancio su come abbiamo speso il nostro tempo fino ad ora. Ed è inutile nascondersi nel buonismo spiccio, negli elogi che le Istituzioni rivolgono al popolo italiano per come sta affrontando la situazione, con responsabilità.

Guardiamo in faccia la realtà. Fino al 10 marzo ed oltre, nonostante le raccomandazioni delle istituzioni, ognuno ha continuato a fare di testa propria, a frequentare locali, palestre, piscine, a viaggiare, dimostrando semplice e puro egoismo.

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