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San Giuseppe è ricordato come il patrono della buona morte, per questo Papa Francesco ha voluto parlare di questa virtù durante l’udienza generale: «Una devozione nata dal pensiero che Giuseppe sia morto con l’assistenza della Vergine Maria e di Gesù, prima che questi lasciasse la casa di Nazaret. Non ci sono dati storici, ma siccome non si vede più Giuseppe nella vita pubblica, si pensa che sia morto lì a Nazaret, con la famiglia.

E ad accompagnarlo alla morte erano Gesù e Maria. Il Papa Benedetto XV, un secolo fa, diceva così: “Poiché Egli è meritamente ritenuto come il più efficace protettore dei moribondi, essendo spirato con l’assistenza di Gesù e di Maria, sarà cura dei sacri Pastori di inculcare e favorire […] quei pii sodalizi che sono stati istituiti per supplicare Giuseppe a favore dei moribondi, come quelli ‘della Buona Morte’, del ‘Transito di San Giuseppe’ e ‘per gli Agonizzanti’” …  

Papa Benedetto diceva, alcuni giorni fa, parlando di sé stesso che “è davanti alla porta oscura della morte”. È bello ringraziare il Papa Benedetto che a 95 anni ha la lucidità di dirci questo: “Io sono davanti all’oscurità della morte, alla porta oscura della morte”. Un bel consiglio che ci ha dato! …La vera luce che illumina il mistero della morte viene dalla risurrezione di Cristo. Ecco la luce. … C’è una certezza: Cristo è resuscitato, Cristo è risorto, Cristo è vivo tra noi. E questa è la luce che ci aspetta dietro quella porta oscura della morte».

San Francesco d’Assisi è stato il primo santo a chiamare la morte “sorella”, aggiungendo al Cantico delle creature una strofa a lei dedicata, poco prima di rendere l’anima a Dio. Tutta la vita del Serafico Padre è stata un percorso verso l’incontro con l’Amato, sapendo di poterLo possedere solo dopo aver abbracciato sorella morte. «Alla morte dell’uomo – dice il saggio – sono svelate tutte le sue opere. È appunto ciò che vediamo gloriosamente compiuto nel Santo.

Percorrendo con animo pronto la via dei comandamenti di Dio, giunse attraverso i gradi di tutte le virtù alla più alta vetta, e rifinito a regola d’arte, come un oggetto in metallo duttile, sotto il martello di molteplici tribolazioni, raggiunse il limite ultimo di ogni perfezione. Fu allora soprattutto che brillarono maggiormente le sue mirabili azioni, e rifulse chiaramente alla luce della verità che tutta la sua vita era stata divina, quando, dopo aver calpestato le attrattive di questa vita mortale, se ne volò libero al cielo. Infatti, dimostrò di stimare una infamia vivere, secondo il mondo, amò i suoi sino alla fine, accolse la morte cantando.

Quando sentì vicini gli ultimi giorni, nei quali alla luce effimera sarebbe succeduta la luce eterna, mostrò con l’esempio delle sue virtù che non aveva niente in comune con il mondo. Sfinito da quella malattia così grave, che mise termine ad ogni sua sofferenza, si fece deporre nudo sulla terra nuda, per essere preparato in quell’ora estrema, in cui il nemico avrebbe potuto ancora sfogare la sua ira, a lottare nudo con un avversario nudo. In realtà aspettava intrepido il trionfo e con le mani unite stringeva la corona di giustizia. Posto così in terra, e spogliato della veste di sacco, alzò, come sempre il volto al cielo e, tutto fisso con lo sguardo a quella gloria, coprì con la mano sinistra la ferita del lato destro, perché non si vedesse.

Poi disse ai frati: “Io ho fatto il mio dovere; quanto spetta a voi, ve lo insegni Cristo!” (FF 804). … Perfino la morte, a tutti terribile e odiosa, esortava alla lode, e andandole incontro lieto, la invitava ad essere suo ospite: “Ben venga, mia sorella morte!”. Si rivolse poi al medico: “Coraggio, frate medico, dimmi pure che la morte è imminente: per me sarà la porta della vita!” E ai frati: “Quando mi vedrete ridotto all’estremo, deponetemi nudo sulla terra come mi avete visto ieri l’altro, e dopo che sarò morto, lasciatemi giacere così per il tempo necessario a percorrere comodamente un miglio”. Giunse infine la sua ora, ed essendosi compiuti in lui tutti i misteri di Cristo, se ne volò felicemente a Dio» (FF 809).

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