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Vita consacrata: via di santità!

Vita consacrata della Diocesi di Ischia

Nei Primi vespri della festa della Presentazione di Gesù al Tempio, lunedì 1 febbraio 2022, ci siamo ritrovati con il vescovo mons. Gennaro Pascarella, con don Beato Scotti, con le consacrate e i consacrati della Diocesi di Ischia, con tutti gli intervenuti, presso la Chiesa di s. Francesco d’Assisi a Forio.

Il primo bellissimo momento è stato dedicato all’Adorazione di N.S. Gesù nella SS. Eucaristia e alla Lode. Nel corso della preghiera dopo la lettura breve, mons. Pascarella ci ha parlato della Vita consacrata a partire dal suo fondamento: il nostro Battesimo e soprattutto, ad esso legata, la chiamata che è alla base di tutte le vocazioni che sono nella Chiesa e che si realizza nelle diverse vocazioni della Chiesa, ossia la chiamata o la vocazione alla Santità. E ci ha invitato a riscoprirla.

S. Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo millennio ineunte ci dice di porre la santità a fondamento della programmazione pastorale. Se il Battesimo è il vero ingresso nella Santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre vissuta all’insegna di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale.

Vuoi essere santo?

Con il nostro Battesimo siamo TUTTI chiamati alla santità. Tutti i battezzati sono chiamati alla santità, anche se poi la sua realizzazione ha molteplici vie.

M. Teresa di Calcutta diceva: «La santità non è un lusso di pochi, ma un dovere di tutti».

A titolo speciale devono testimoniare la chiamata alla santità nella propria specifica vocazione i consacrati e le consacrate, ma anche i ministri ordinati.

Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi scrive: «Con la stessa intima natura del loro essere, i religiosi e le religiose si collocano nel dinamismo della Chiesa assetata dell’assoluto di Dio, della Chiesa chiamata alla santità. Di questa santità essi sono testimoni. Incarnano la Chiesa in quanto desiderosi di abbandonarsi al radicalismo delle beatitudini. Con la loro vita sono il segno della totale disponibilità verso Dio, verso la Chiesa, verso i fratelli. I consacrati e le consacrate devono essere, per tutti i battezzati, indicatori della via della santità. Con la loro vita sono chiamati a indicare a tutti innanzitutto il primato di Dio e del suo Regno: «Cercate prima il regno di Dio e la giustizia di Dio e tutte queste cose vi saranno date in più».   

Il Concilio ricorda che l’essenza della consacrazione religiosa sta nel donarsi totalmente a Dio sommamente amato.

Amati dall’Amore, forte è il desiderio e il bisogno di rispondere all’Amore con l’amore.

La chiamata alla via dei consigli evangelici, scrive G. Paolo II, nasce dall’incontro interiore con l’amore di Cristo. “Amare l’amore”: ecco il contesto della vita consacrata! I voti sono strumenti di una consegna di se stessi a Cristo. Il loro compito è quello di custodire e di proteggere l’amore e insieme di favorirlo, liberandolo dai condizionamenti e favorendone la crescita. I voti sono un supporto all’amore. La vita consacrata vuole dire esistenzialmente: “Non ho altro Dio fuori di te, mio Dio e mio Tutto”; e’ mettere Dio al primo posto nel proprio cuore, così che sia in cima a tutti i pensieri, così da vivere per Lui.

Chiamati a indicare il Regno e il primato della grazia, le consacrate e i consacrati sono pronti a servire Cristo, perché senza Cristo non siamo nulla e non possiamo fare nulla. Siamo giustificati NON dalle nostre opere o dai nostri sforzi, ma dalla grazia di Dio che prende l’iniziativa.

S. Teresa di Gesù Bambino pregava: «Alla sera di questa vita comparirò davanti a Te con le mani vuote, perché non ti chiedo Signore di contare le mie opere: ogni nostra opera è imperfetta ai Tuoi occhi.»

La prima cosa è appartenere a Dio. E la preghiera aiuta a vivere questo primato. I religiosi e le religiose devono essere innanzitutto maestri e educatori di preghiera. Una preghiera NON superficiale ma che sviluppa un dialogo con Cristo e la reciprocità con Lui: «Rimanete in me e io in voi.»

Non accontentarti di una preghiera superficiale che non incide nella tua vita né in quella degli altri!

Un prete, un vescovo, un religioso, una religiosa se non hanno questa viva preghiera, non superficiale, se non hanno questa relazione intima di reciprocità col Signore saranno vescovo a rischio, prete a rischio, religiosi a rischio, religiose a rischio.

I consacrati e le consacrate non si scandalizzano delle fragilità, delle ferite proprie e degli altri, ma le fanno diventare con la Misericordia di Dio varchi in un cammino più denso alla sequela di Cristo Gesù.

Papa Francesco ci ha ricordato che Dio si è fatto fragilità, per toccare da vicino le nostre fragilità. Dunque dal momento che il Signore si è fatto carne, nulla della nostra vita gli è estraneo. Tutto possiamo condividere con Lui. Tutto. E si rivolge proprio a ognuno: “Caro fratello, cara sorella, Dio si è fatto carne per dirci, per dirti, che ti ama proprio così, che ci ama proprio così, nelle nostre fragilità, nelle tue fragilità, proprio lì dove noi ci vergogniamo di più, dove tu ti vergogni di più. Si fece carne e non è tornato indietro. Non ha preso la nostra umanità come un vestito che si mette e si toglie. No! Non si è staccato dalla nostra carne e non se ne separerà mai. Ora e per sempre. Egli è in cielo con il suo corpo di carne umana, unito per sempre alla nostra umanità. Potremmo dire che l’ha sposata. Che cosa allora desidera da noi? Desidera una grande intimità, vuole che noi condividiamo con Lui gioie e dolori, desideri e paure, speranze e tristezze, persone e situazioni. Facciamolo con fiducia. Apriamogli il cuore, raccontiamogli tutto, fermiamoci in silenzio a gustare la tenerezza di Dio fattosi vicino, fattosi carne, soprattutto quando ci fermiamo in adorazione, davanti all’Eucaristia. E senza timore invitiamolo da noi, a casa nostra, nella nostra famiglia. Invitiamolo nelle nostre fragilità. Lui verrà e la nostra vita cambierà”.

I consacrati e le consacrate intrise di Vangelo devono manifestare la gioia evangelica fondata sulla Parola ascoltata e messa in pratica, e sulle beatitudini, che sono come la carta d’identità del cristiano. Nelle beatitudini si delinea il Volto del Maestro che siamo chiamati a far trasparire e trasferire nella quotidianità della nostra vita.

La comunità poi non è un’optional. Perché nessuno si fa santo da solo. Ci si santifica insieme. Il contenuto dell’annuncio, cioè l’amore evangelico si identifica con lo stile di vita di chi annuncia. Nell’esortazione Evangelii gaudium papa Francesco dice: «Ai cristiani di tutte le comunità del mondo (cominciando dalle comunità religiose) desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa…di prendervi cura gli uni degli altri…amore gli uni per gli altri…Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso Porto. Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti. Non ci può essere santità senza comunione fraterna. Essa diventa il luogo teologico della presenza del Risorto.»

I consacrati e le consacrate testimoniano che non si può vivere senza la Parola e l’Eucaristia: sono il loro cibo quotidiano. L’incontro di Gesù nelle Scritture ci conduce all’Eucaristia, dove la stessa Parola raggiunge la massima efficacia, perché è presenza reale di Colui che è Parola vivente. E nella Comunione rinnoviamo la nostra Alleanza con Lui e gli permettiamo di realizzare sempre di più la sua azione trasformante.

I religiosi e le religiose indicano il cuore del Vangelo: la Carità, ossia amare Dio, con tutto il proprio essere, e il prossimo come sé stesso; o, ancor più, come lo ama Cristo, pronto a dare la vita per lui.

In mezzo alla fitta selva di precetti e di prescrizioni, Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti: quello del Padre e quello del fratello. O meglio il Volto di Dio che si riflette in molti. Perché in ogni fratello, specialmente nel più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio. Infatti con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte. Poiché che cosa resta? Che cosa ha valore nella vita? Quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze non svaniscono.

Infine il nostro vescovo mons. Gennaro Pascarella ci ha invitato a fare un esame di coscienza sullo stato di salute del nostro cammino di santità.

È Gesù Cristo il centro della mia esistenza? C’è un rapporto personale con Lui nella preghiera? Dico con la mia vita: “Sei tu Signore l’unico mio bene, mio Signore e mio Tutto”? Sono le sue parole lampada per i miei passi e luce per il mio cammino? La mia esistenza è intrisa di Vangelo e quindi luce e sale? È il Vangelo la bussola della mia vita o, come dice papa Francesco, la regola della mia vita? La Carità, Agape, impregna di sé tutti i miei pensieri, le mie azioni, i miei gesti, i miei desideri, anche la mia memoria? Sono consapevole che Essa, la Carità, è la via migliore, il mezzo o lo strumento per giungere alla perfezione cristiana e che senza di Essa qualsiasi carisma non giova a nulla? Vivo in questo mondo consapevole che sono pellegrino e non è qui la mia stabile dimora? Vivo la vita come un cammino verso la pienezza, verso l’incontro con Colui che mi ha amato e ha dato se stesso per me, verso Colui a cui ho promesso di donare tutto me stesso, tutta me stessa? Il comandamento dell’amore reciproco vissuto è la carta d’identità delle nostre comunità? Sento il Signore vicino nelle mie fragilità? È la Misericordia la lente con cui guardo a me stesso e gli altri? Sono cosciente che ciò che ho gratuitamente ricevuto, gratuitamente lo devo donare?

Maria, donna che ha creduto e che ha sperato, donna che ha amato e continua ad amare, sia il nostro modello, il nostro poter essere e il nostro dover essere. Tutta la sua vita era intessuta di Parola di Dio. Lei era attenta all’altro, la sua fede e la sua speranza sono state ammirevoli. Si è fidata della promessa del Figlio – «Il terzo giorno risusciterò» – anche quando tutto attorno a Lei parlava di morte. A Lei, Maria, Madre di Dio e Madre nostra, tutta bella e tutta santa, ricorriamo per chiedere la sua intercessione e il suo aiuto. Che ci aiuti a realizzare la chiamata alla santità nella nostra specifica vocazione. Che non ci faccia fermare alle nostre fragilità. Che ci aiuti a guardare alla grandezza dell’amore di Dio che diventa eccedente nella morte di Gesù Figlio di Dio, prendendo sul serio le sue parole: «Fate quello che mio Figlio vi dirà». Che la fiamma dell’amore sia sempre accesa dentro di noi e si concretizzi nel dire con la nostra esistenza che «Gesù è il mio Signore», in un amore concreto ai fratelli e alle sorelle, sulla misura dell’amore del Figlio…

…che passò beneficando e sanando tutti quelli che erano prigionieri del male – ha proseguito il nostro vescovo Gennaro nell’Omelia della S. Messa seguita all’Adorazione.

«Non temere, solo abbi fede!» … continua a credere e a fidarti di Me.

Gesù può guarirci se lasciamo che ci guarisca, chiedendo con gli Apostoli: «Signore io credo, ma aumenta la mia fede», vieni in aiuto alla mia infermità.

Il Signore opera se lo lasciamo operare. Dio – ancor più di Davide per la morte del figlio nella prima lettura – “piange” quando ci sono delle persone che si ostinano a rifiutarlo e si allontanano da Lui. Questo Padre fa di tutto, fino all’ultimo istante della vita di una persona, per salvare quella persona. Ne abbiamo esempio in Gesù che ci manifesta il Volto del Padre. Sulla croce, al ladrone, il Figlio di Dio dice: «Oggi stesso tu sarai con me nel Paradiso.» Siamo chiamati un po’ tutti ad avere un cuore di padre e un cuore di madre che «…tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (Inno alla Carità di s. Paolo). Chiediamo anche questo al Signore. Amen.

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