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commento al vangelo

Commento al Vangelo Gv14,15-16.23-26

Gesù, dopo aver aiutato i suoi amici a convertirsi alla gioia, è tornato presso il Padre per essere per sempre in mezzo a noi. Ha affidato a noi l’annuncio, e ha affidato a noi il racconto del regno, e hai affidato a noi di vivere da salvati, ma dobbiamo dirti la verità, noi non siamo in grado, non siamo capaci! Lo vedi i casini che abbiamo fatto in questi 2000 anni!

Quante volte abbiamo manipolato, abbiamo distrutto, abbiamo sbagliato; non siamo in grado di fare quello che ci chiedi, siamo sinceri, non scherziamo su queste cose. Per questa ragione il Signore ci manda lo Spirito Santo, proprio perché non siamo in grado. Shevu’ot, la festa di Pentecoste è nata all’inizio nella comunità ebraica come una festa del raccolto; poi a questa festa rurale, a questa festa agricola si aggiunse l’idea di festeggiare la consegna della Torah, quindi si festeggiava il dono della legge al popolo d’Israele.

È durante questa festa di shevu’ot, del giorno di Pentecoste, che Luca ci racconta che i discepoli e le discepole si radunano nel cenacolo, un luogo caro, il luogo che li ha visti sperimentare la cena ultima del Signore, il luogo che li ha visti radunati con paura, il luogo in cui Gesù è entrato a porte chiuse risorto, il luogo del dono del perdono e della pace, ebbene ora in quel luogo finalmente fa ingresso questa nuova legge.

Dunque è la festa della legge, di quella nuova, una legge completamente non più scritta sulle tavole ma scritta nei cuori. Come sono belli tutti i dettagli che compongono questo racconto: essi hanno a che fare con l’epifania sul Sinai. Ci sono tutti gli elementi: il fuoco, la nube, il rombo di tuono, come dire ecco adesso è la nuova legge. La legge dell’amore, l’unica legge che è rimasta e che il Signore Gesù ci ha donato.

Gesù ne aveva parlato lungamente e soprattutto a Gerusalemme, soprattutto alla fine del suo ministero: la nuova legge è vivere dipendendo da quell’amore con cui siamo stati amati. Ed è bello che questi uomini sentendosi sulle spalle quell’amore, percependo di essere amati, escono, vanno fuori. Si, fuori dalle strutture, fuori dai no, fuori da quelli che non vogliono cambiare mai niente e che amano solo loro stessi. Chi ama va fuori! Bisogna uscire, aria! La fede non può restare chiusa in un mondo suo ma c’è bisogno di aria! Meno male che lo spirito butta tutto per aria! Ed essi raccontano le grandi opere di Dio! Raccontare quello che Dio ha fatto a te! Sappiamo che non è semplice e non ce la possiamo fare, per questo Gesù ci dice chi è lo Spirito, chi hai accanto a te! Il dono del Risorto è anzitutto il consolatore. Che bello colui che sta con chi è solo, colui che sta vicino quando non ce la fai più. Se sentiamo solitudine, incomprensione, dobbiamo invocare lo Spirito che venga ad abitare nei nostri cuori. Lo Spirito è vivificatore, il “ricordatore”, lo abbiamo ancora ascoltato due domeniche fa quando Gesù ha detto che “quando verrà colui che vi manderò, vi ricorderà tutto quello che vi ho detto”.

Fare memoria, dimorare nell’amore dicevamo, cioè resettare, è possibile soltanto se lo Spirito rende vivo. Se noi non ci sintonizziamo, non possiamo ascoltare il programma Dio. Lo Spirito Santo è colui che manda sulle frequenze la sua parola d’amore, ma se non siamo in grado di metterci in sintonia, sentiamo solo del brusio. Egli non rende viva la parola come delle sagge parole di un uomo del passato ma come qualcosa di bruciante per l’uomo d’oggi. È lo Scultore, il Paraclito, l’Avvocato difensore, una figura curiosa, strana che c’è solo nel diritto giudaico. Se una persona veniva accusata e non aveva testimoni a sua discolpa, qualcuno fra i giudici poteva, convinto dell’innocenza dell’accusato, alzarsi e mettersi accanto all’accusato come a dire “io mi fido di lui”. Ecco quello è il Paraclito.

Allora se abbiamo qualcosa che ci accusa, dei sensi di colpa, delle cose non superate, una parte oscura che non riusciamo a risolvere, invece di crogiolarci, come spesso accade fra noi cattolici, nei sensi di colpa, invochiamo lo Spirito che ci liberi, che ci permetta di volare alto. Spesso rappresentiamo lo Spirito come una colomba. Quale cacciatore si vanta di aver ucciso una colomba? Sarebbe una figura meschina perché lo Spirito è mite, lo Spirito è qualcuno che non si impone, lo Spirito è colui che porta pace, che porta la pace nei cuori. Questo è lo Spirito che ci permette di vivere la nuova legge. Allora capiamo anche le immagini del racconto di Shevu’ot, della pentecoste, capiamo che lo Spirito Santo è il fuoco che illumina, che scalda, che purifica, che divora, che consuma. La fede è qualcosa che ti brucia dentro e Gesù è venuto per buttare il fuoco sulla terra e come vorrebbe che fosse già acceso. Lo dice lui, non lo dico io. Lo Spirito è vento che arriva e non sai da dove arriva.

Se però fai scendere le vele e ti fai portare allora sì. Lo Spirito è rombo di tuono, è qualcosa che ti scuote, che ti vibra quando sei seduto, quando sei convinto, quando pensi di avere capito tutto. Lo spirito però è anche nebbia e nella nebbia ti devi fidare di colui che ti accompagna, del navigatore. Lo Spirito è quello che ti conduce. Ecco chi hai accanto, ecco chi ti sta vicino. Quando lo lasci agire egli fa tutto questo! Allora Vieni Spirito, vieni su di me, vieni su te che leggi, sulle nostre comunità, sui preti che stanno leggendo questo commento per dire qualcosa alle loro comunità, vieni impetuoso, vieni, che non ti ostacoliamo, vieni perché tu sei la presenza stessa di Dio, vieni perché diventiamo capaci qui e adesso di renderti presente, di darti testimonianza; irriga ciò che è arido, sana ciò che è marcio, accendi, infiamma, fai tu così si diventiamo capaci. Raccontiamo il volto di Dio, per questo siamo resi cristiani! Amen!

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