Un altro episodio raccontato da Papa Leone XIV durante il ciclo di catechesi è quello di un paralitico; stavolta non ha un nome, quasi a voler rappresentare ogni uomo con le sue paralisi che non gli permettono di vivere serenamente: «Gesù va a Gerusalemme per una festa dei Giudei. Non si reca subito al Tempio; si ferma invece presso una porta. Vicino a questa porta, sostavano anche tanti malati, che erano esclusi dal Tempio perché considerati impuri! E allora è Gesù stesso che li raggiunge nel loro dolore.
Queste persone speravano in un prodigio che potesse cambiare la loro sorte; infatti, accanto alla porta si trovava una piscina, le cui acque erano considerate taumaturgiche, capaci cioè di guarire: in alcuni momenti l’acqua si agitava e, secondo la credenza del tempo, chi si immergeva per primo veniva guarito. Si veniva a creare così una sorta di “guerra tra poveri”: possiamo immaginare la scena triste di questi malati che si trascinavano faticosamente per entrare nella piscina.
Quella piscina si chiamava Betzatà, che significa “casa della misericordia”: potrebbe essere un’immagine della Chiesa, dove i malati e i poveri si radunano e dove il Signore viene per guarire e donare speranza. Gesù si rivolge specificamente a un uomo che è paralizzato da ben trentotto anni. Ormai è rassegnato, perché non riesce mai a immergersi nella piscina, quando l’acqua si agita. In effetti, quello che ci paralizza, molte volte, è proprio la delusione. Ci sentiamo scoraggiati e rischiamo di cadere nell’accidia. Gesù rivolge a questo paralitico una domanda che può sembrare superflua: «Vuoi guarire?».
È invece una domanda necessaria, perché, quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. È talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita. Gesù rimanda invece quest’uomo al suo desiderio più vero e profondo. Quest’uomo infatti risponde in modo più articolato alla domanda di Gesù, rivelando la sua visione della vita. Dice anzitutto che non ha nessuno che lo immerga nella piscina: la colpa quindi non è sua, ma degli altri che non si prendono cura di lui. Questo atteggiamento diventa il pretesto per evitare di assumersi le proprie responsabilità. Gesù invece lo aiuta a scoprire che la sua vita è anche nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella. …Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù!».
Con la stessa misericordia del Signore Gesù anche il santo d’Assisi, Francesco, compì prodigi simili. “Un giovane di Rivarolo Canavese, di nome Ubertino, era entrato nell’Ordine dei frati minori. Durante il noviziato, a causa di un terribile spavento, divenne pazzo e, colpito da gravissima paralisi in tutta la parte destra, perdette con il moto la sensibilità, l’udito e la parola. Con grande mestizia dei frati, egli rimase disteso nel letto in quella condizione così pietosa per molti giorni, mentre intanto si avvicinava la solennità di san Francesco.
Alla vigilia, ebbe un momento di lucido intervallo e, così come gli riusciva, si mise ad invocare con parole indistinte ma fervida fede, il padre pietoso. All’ora del mattutino, mentre tutti gli altri frati erano in coro, intenti alle divine lodi, ecco, il beato padre apparve al novizio nell’infermeria, vestito con l’abito dei frati, facendo risplendere una grande luce in quell’abitazione. E, ponendogli la mano sul fianco destro, la fece scorrere dolcemente dalla testa ai piedi; gli mise le dita nell’orecchio e gli impresse un segno particolare sulla spalla destra, dicendo: “Questo sarà per te il segno che Dio, servendosi di me, che tu hai voluto imitare entrando in Religione, ti ha ridonato perfetta salute”. Poi, mettendogli il cingolo, che, stando a letto, il novizio non aveva indosso, gli disse: “Alzati e va in chiesa a celebrare devotamente, insieme con gli altri, le prescritte lodi di Dio”. Detto questo, mentre il giovane cercava di toccarlo con le mani e di baciargli i piedi, in segno di ringraziamento, il beato padre scomparve dalla sua vista. Il giovane, riacquistata la salute e la lucidità della mente, la sensibilità e la parola, entrò in chiesa, tra lo stupore dei frati e dei secolari, presenti per la circostanza, che avevano visto il giovane quand’era paralitico e senza senno, partecipò alla recita delle lodi e poi raccontò per ordine il miracolo, infiammando tutti alla devozione per Cristo e per il beato Francesco (FF 1325)”. Papa Leone conclude: «Preghiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono vie d’uscita. Chiediamo di tornare ad abitare nel Cuore di Cristo che è la vera casa della misericordia!».