Attraverso la mortificazione e la rinuncia, il cristiano si impegna a seguire Cristo sulla via della croce
La mortificazione e la rinuncia sono due pilastri fondamentali nella vita spirituale cristiana, in particolare nella tradizione ascetica della Chiesa cattolica. Questi concetti, spesso fraintesi o banalizzati nel linguaggio comune, possiedono un significato profondo e una valenza esistenziale che tocca il cuore stesso della fede cristiana. Attraverso la mortificazione e la rinuncia, il cristiano si impegna a seguire Cristo sulla via della croce, riconoscendo che la vera vita si raggiunge solo attraverso il dono di sé e la lotta contro le inclinazioni egoistiche. La mortificazione, dal latino mortificatio (“far morire”), indica l’atto di “far morire” in sé tutto ciò che si oppone alla volontà di Dio e all’amore autentico. Essa non è fine a sé stessa, ma è finalizzata alla crescita spirituale e all’unione con Dio. La rinuncia, invece, consiste nell’abbandonare volontariamente beni, piaceri o desideri legittimi per un bene più grande, cioè per amore di Dio e del prossimo. Mentre la mortificazione riguarda soprattutto la lotta contro il peccato e le cattive inclinazioni, la rinuncia si estende anche a ciò che è lecito, ma che può ostacolare la libertà interiore e la disponibilità a Dio.
La Scrittura offre numerosi esempi di mortificazione e rinuncia. Gesù stesso invita i suoi discepoli a “rinnegare sé stessi, prendere la propria croce e seguirlo” (Mt 16,24). Questo invito non è una semplice esortazione morale, ma una chiamata radicale a conformare la propria vita a quella di Cristo, che “svuotò sé stesso” (Fil 2,7) per amore degli uomini. Anche san Paolo parla della necessità di “mortificare le opere della carne” (Gal 5,24) e di “portare nel corpo la morte di Gesù” (2Cor 4,10), sottolineando che la vita spirituale implica una lotta costante contro il peccato e una disponibilità al sacrificio. La mortificazione e la rinuncia non sono pratiche punitive o repressive, ma espressioni di libertà e di amore. Attraverso di esse, il cristiano si libera dalle catene dell’egoismo, dell’orgoglio e dell’attaccamento ai beni materiali, aprendosi alla grazia di Dio e alla comunione con gli altri. La mortificazione è soprattutto interiore: riguarda l’umiltà, la docilità, la pazienza, la capacità di perdonare e di accettare le contrarietà della vita. La rinuncia, invece, può essere anche esteriore, come il digiuno, l’astinenza, la povertà volontaria o la scelta di una vita semplice e sobria. Non è necessario essere monaci o eremiti per vivere la mortificazione e la rinuncia. Ogni cristiano è chiamato a praticarle nella vita di ogni giorno, attraverso piccoli gesti di sacrificio e di disponibilità.
Ad esempio, accettare con pazienza le difficoltà del lavoro o della famiglia, rinunciare a un piacere superfluo per amore degli altri, saper perdonare chi ci offende, sono tutte forme concrete di mortificazione e rinuncia. Queste pratiche aiutano a crescere nella libertà interiore, nella pace del cuore e nella capacità di amare. Non mancano, nella storia e nel presente, obiezioni e distorsioni riguardo alla mortificazione e alla rinuncia. Alcuni le considerano pratiche superate, inutili o addirittura dannose per la salute psicologica. Altri le vivono in modo ossessivo o legalistico, perdendo di vista il loro vero significato. La tradizione cristiana, invece, insegna che la mortificazione e la rinuncia devono essere sempre guidate dalla carità, dalla prudenza e dal discernimento spirituale. Non si tratta di distruggere la propria umanità, ma di purificarla e di elevarla alla dignità dei figli di Dio. La mortificazione e la rinuncia trovano il loro senso più profondo nell’amore di Dio e nella gratitudine per il dono della vita. Il cristiano non si mortifica e non rinuncia per dovere o per paura, ma per amore, per imitare Cristo che ha dato la sua vita per noi. Attraverso queste pratiche, il credente esprime la sua adesione a Dio e la sua disponibilità a essere strumento della sua grazia nel mondo. La mortificazione e la rinuncia sono elementi essenziali della vita spirituale cristiana.
Attraverso di esse, il credente si conforma sempre più a Cristo, impara a donarsi agli altri e a vivere nella libertà dei figli di Dio. Queste pratiche, vissute con saggezza e amore, sono una via concreta per raggiungere la santità e per testimoniare la bellezza del Vangelo nel mondo. La penitenza non è un peso, ma una grazia: ci aiuta a scoprire che la vera felicità si trova solo nell’amore autentico, che è dono di sé fino alla fine.
di Paolo Morocutti, Sir