Le Nazioni Unite chiedono «un cambiamento sistemico»: ci sono 13 milioni di tonnellate accatastate ogni anno nel suolo, 11 negli ecosistemi acquatici. I progressi della ricerca in chiave ecologica
Oggi c’è una fonte di inquinamento “fuori controllo”, che preoccupa gli scienziati, gli ambientalisti e tutte le persone che hanno a cuore l’ambiente. Èl’inquinamento da plastica: è dovunque e sta soffocando il pianeta.
La Giornata mondiale dell’Ambiente 2025, che dal 1974 si celebra ogni anno il 5 giugno, invita all’azione collettiva. Lo ricorda l’Onu che ha proclamato questa giornata nel 1972 in occasione dell’istituzione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente con lo slogan Only One Earth (solo una Terra).
Istituzioni, industria e cittadini sono chiamati a eliminare l’uso di prodotti non necessari, evitabili e problematici. «Traendo ispirazione dalla natura e presentando soluzioni concrete – spiegano gli organizzatori del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) – la campagna incoraggia individui, organizzazioni, industrie e governi ad adottare pratiche sostenibili che guidino un cambiamento sistemico».
Quest’anno la Giornata cade esattamente due mesi prima che i Paesi si incontrino di nuovo per continuare i negoziati su un trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica.
Anche l’Onu non nasconde che la plastica porta innegabili benefici, dal risparmio energetico alla conservazione dei materiali, tuttavia il crescente inquinamento minaccia il benessere sia del pianeta che dell’uomo contaminando l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo e l’aria che respiriamo. «Le scelte che facciamo possono plasmare le industrie, cambiare i mercati e ridefinire il nostro futuro collettivo» spiega l’Onu. Un’economia circolare per la plastica offre un percorso sostenibile.
Si stima che ogni anno 11 milioni di tonnellate di plastica si riversino negli ecosistemi acquatici. Circa 13 milioni di tonnellate di plastica si accumulano nel suolo ogni anno.
Secondo le stime, diffuse dall’Onu in occasione della Giornata mondiale, solo il 21% della plastica oggi è economicamente riciclabile e solo il 9% di tutta la plastica prodotta viene effettivamente riciclata a livello globale. Un approccio completo all’economia circolare potrebbe ridurre il volume di plastica che entra nei nostri oceani di oltre l’80% e far risparmiare ai governi 70 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2040. Nel 2025, si prevede che il mondo consumerà 516 milioni di tonnellate di plastica. Entro il 2060, si stima che il consumo globale annuo di plastica raggiungerà oltre 1,2 miliardi di tonnellate.
La Giornata Mondiale dell’Ambiente si concentra proprio sulle soluzioni per porre fine all’inquinamento da plastica: tra queste, come stimolare quella che gli esperti chiamano una giusta transizione verso un’economia circolare per la plastica e il ruolo che le comunità spesso emarginate, compresi i cosiddetti “raccoglitori di rifiuti” hanno in quel futuro. Se da una parte, infatti, si studiano nuove plastiche capaci di dissolversi nell’acqua in poche ore, come è il caso della start-up Relicta, in Sardegna, o lo studio, più recente, che arriva dal Giappone, dall’altra si cerca di “ripulire” il mondo, a partire dalle zone più emarginate. «I raccoglitori informali di rifiuti svolgono un ruolo cruciale nella gestione dei rifiuti di plastica, soprattutto in molti paesi in via di sviluppo», afferma Elisa Tonda, capo del ramo Risorse e mercati del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep). «Il successo della lotta globale contro l’inquinamento da plastica dipende dal nostro impegno congiunto a non lasciare indietro nessuno e a integrare i raccoglitori di rifiuti nella progettazione della soluzione per affrontare l’inquinamento da plastica».
Solo nel 2024, l’umanità ha generato circa 450 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, contribuendo a una crisi in corso che secondo gli esperti sta danneggiando ecosistemi fragili ed esponendo le persone a potenziali rischi per la propria salute con inquinanti diversi, fra cui le microplastiche.
Al mondo ci sono circa 20 milioni di persone che si guadagnano da vivere raccogliendo, smistando e vendendo rifiuti, compresa la plastica. Nei Paesi in via di sviluppo che non dispongono di sistemi formali di riutilizzo e riciclaggio, questi “raccoglitori di rifiuti” sono in prima linea per affrontare l’inquinamento da plastica. Secondo uno studio dell’Unep, i raccoglitori di rifiuti, professione riconosciuta in diverse zone del mondo sia informali che parte di una cooperativa, sono responsabili di quasi il 60% di tutti i rifiuti di plastica raccolti a livello globale. Ma queste persone spesso hanno pochi diritti, come ad esempio nessun accesso all’assicurazione sanitaria, quest’ultima particolarmente problematica in un campo in cui tagli e infezioni sono comuni. I filippini, ad esempio, generano circa 2,15 milioni di tonnellate di plastica all’anno, di cui solo il 9% viene riciclato mentre il 35% finisce in un ambiente aperto.
Intanto un team di ricercatori giapponesi ha sviluppato una plastica che si dissolve nell’acqua di mare in poche ore. I ricercatori del Riken Center for Emergent Matter Science e dell’Università di Tokyo affermano che il loro nuovo materiale si decompone molto più rapidamente di qualsiasi altra plastica biodegradabile e non lascia tracce residue. Sebbene il team non abbia ancora dettagliato alcun piano per la commercializzazione, il responsabile del progetto Takuzo Aida ha affermato che la loro ricerca ha suscitato notevole interesse, anche da parte di coloro che operano nel settore del packaging. Ma i giapponesi non sono gli unici impegnati su questo fronte. Scienziati di tutto il mondo infatti stanno gareggiando per sviluppare soluzioni innovative alla crescente crisi dei rifiuti di plastica. Secondo le previsioni del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, l’inquinamento causato dalla plastica triplicherà entro il 2040, riversando ogni anno negli oceani del mondo dai 23 ai 37 milioni di tonnellate di rifiuti. «I bambini non possono scegliere il pianeta su cui vivranno. È nostro dovere, come scienziati, garantire loro il miglior ambiente possibile» sostiene il ricercatore giapponese Ando.
di Daniela Fassini, Avvenire