I Repubblicani USA propongono una moratoria decennale sulle leggi statali sull’IA mentre l’Europa punta su regole comuni con l’AI Act
I Repubblicani della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti hanno lanciato una proposta che potrebbe rivoluzionare il panorama normativo dell’intelligenza artificiale americana: una moratoria di dieci anni che impedirebbe a Stati e amministrazioni locali di approvare o far rispettare qualsiasi legge che regolamenti i sistemi di IA. La misura, inserita nel disegno di legge di bilancio dell’amministrazione Trump soprannominato “Big Beautiful Bill”, sta già dividendo profondamente l’opinione pubblica e gli esperti del settore.
Una pausa forzata per l’innovazione
L’obiettivo dichiarato della moratoria è chiaro: evitare che un mosaico caotico di normative statali diverse possa rallentare lo sviluppo tecnologico americano. I promotori dell’iniziativa temono che ogni Stato possa creare le proprie regole sull’IA, creando un labirinto burocratico che finirebbe per soffocare l’innovazione e mettere a rischio la competitività degli Stati Uniti rispetto a concorrenti globali come la Cina.
La logica sottostante è semplice: meglio nessuna regola che troppe regole diverse. Per un decennio, nessuno Stato o città americana potrebbe quindi approvare leggi che disciplinino modelli di IA, sistemi automatizzati o processi decisionali basati su algoritmi. Questo darebbe tempo al Congresso federale di elaborare una normativa nazionale unitaria, evitando la frammentazione normativa.
Il fronte dei sostenitori
I principali colossi tecnologici dell’IA hanno accolto la proposta con entusiasmo, vedendola come una boccata d’ossigeno per i loro piani di espansione. Le grandi aziende del settore sostengono che operare con cinquanta normative statali diverse sarebbe un incubo logistico e finanziario, rallentando inevitabilmente l’adozione di tecnologie considerate cruciali per la sicurezza nazionale.
Secondo questa visione, la moratoria favorirebbe la competitività americana permettendo alle aziende di concentrarsi sull’innovazione invece che sulla conformità a regolamenti divergenti. Inoltre, garantirebbe il tempo necessario per sviluppare una strategia federale coerente, evitando soluzioni improvvisate a livello locale che potrebbero rivelarsi controproducenti.
Le voci contrapposte
Dall’altra parte dello schieramento si è formata una coalizione bipartisan particolarmente agguerrita. Procuratori generali di diversi Stati, organizzazioni per i diritti civili, università e sindacati hanno criticato duramente la proposta, definendola un regalo alle grandi corporation tecnologiche a scapito della protezione dei cittadini.
I critici sottolineano un paradosso pericoloso: proprio mentre l’IA si evolve rapidamente e presenta nuovi rischi, si propone di eliminare gli strumenti per rispondere a questi cambiamenti. Le amministrazioni locali e statali sono spesso le prime a dover affrontare problemi concreti legati a discriminazioni algoritmiche, deepfake, sistemi di sorveglianza invasivi o decisioni automatizzate che colpiscono i cittadini nella vita quotidiana.
La preoccupazione principale riguarda il vuoto normativo che si creerebbe: senza regole federali già in vigore e con il divieto per gli Stati di intervenire, molti aspetti problematici dell’IA rimarrebbero completamente deregolamentati. Questo scenario viene descritto dai detrattori come un potenziale “Far West Digitale”, dove le aziende potrebbero operare senza vincoli significativi.
L’Europa come contraltare normativo
Mentre gli Stati Uniti dibattono se fermare la regolamentazione, l’Europa procede nella direzione opposta. L’AI Act europeo, che entrerà pienamente in vigore entro agosto 2026, rappresenta il tentativo più ambizioso al mondo di creare un quadro normativo organico per l’intelligenza artificiale.
Questa divergenza di approcci potrebbe avere conseguenze geopolitiche importanti. L’assenza di una regolamentazione federale americana rafforza automaticamente la posizione dell’Unione Europea come punto di riferimento globale per la governance dell’IA. Come già successo con il GDPR per la privacy, si profila un possibile “Brussels effect”: le multinazionali, incluse quelle americane, potrebbero trovarsi costrette ad adeguarsi agli standard europei per poter operare nel nostro mercato.
Rischi e opportunità di una scelta strategica
La strategia americana presenta vantaggi e svantaggi evidenti. Da un lato, potrebbe effettivamente accelerare l’innovazione tecnologica eliminando ostacoli burocratici. Dall’altro, rischia di creare un ambiente dove i potenziali abusi dell’IA rimangono senza controllo. Senza dimenticare che dieci anni nel mondo digitale è un’era geologica, vista la velocità con cui si muove la tecnologia.
L’Europa, invece, potrebbe trovarsi temporaneamente isolata nella sua scelta regolatoria. Il rischio è che la forte regolamentazione venga percepita come un freno all’innovazione rispetto ai competitor americani e cinesi, almeno inizialmente. Tuttavia, se l’approccio europeo si dimostrerà efficace nel bilanciare innovazione e protezione dei diritti, potrebbe diventare il modello di riferimento globale. Il risultato di questo confronto influenzerà non solo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma anche il modello di società digitale che emergerà nei prossimi anni. Una partita ancora tutta da giocare, con conseguenze che andranno ben oltre i confini americani ed europei.