Omelia del Vescovo Carlo in occasione della veglia vocazionale di sabato 10 maggio, presso la Basilica di santa Restituta in Lacco Ameno
Ger 1,4-8; Lc 5,1-11
Quando si parla di vocazioni di solito si fa subito l’associazione con la chiamata al sacerdozio e si ritiene che sia esclusivo appannaggio della Chiesa. Nell’omelia che ha pronunciato in occasione della 62esima Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, il Vescovo Carlo ha invece proposto una visione diversa. Ha parlato infatti di “pluralità delle vocazioni” e per spiegare meglio ha ricordato il tema del Giubileo in corso, voluto da Papa Francesco, e il cui motto è “pellegrini di speranza”. La speranza è la dimensione alla quale siamo chiamati da Dio ogni giorno della nostra vita – ha detto – e questo è il motivo per il quale possiamo dire che ogni giorno per noi può e deve essere giubilare. La speranza – secondo il pensiero di Papa Francesco che ancora guida il giubileo – è quella di essere responsabili di fronte al dono della vita:
«Noi crediamo che la vita sia dono di Dio e se è dono di Dio non può essere sprecata, non possiamo vivere inutilmente la nostra vita, senza renderla utile. Se ogni vita tende a una speranza, noi tutti siamo chiamati nella nostra vocazione, in qualunque stato di vita, a coronare questa speranza».
La vocazione, in altri termini, non è solo quella che porta al sacerdozio o alla vita religiosa, essa stessa è speranza, è quella che Dio mette nei nostri cuori in ogni attività con la quale decidiamo di spendere la nostra vita, anche lavorativa, ma soprattutto familiare. Questa concezione allargata della vocazione è stata resa concreta durante la veglia di sabato non solo dalla testimonianza del seminarista Marco di Soccavo, ma anche e soprattutto dal racconto della giovane coppia di sposi della comunità parrocchiale di San Leonardo in Panza, i quali hanno raccontato all’assemblea il desiderio presente da subito nei loro cuori di formare una famiglia che avesse al centro, come àncora per una nave, Gesù Cristo e il Vangelo.
Il Vescovo ha aggiunto ancora che se le vocazioni sono inizialmente un processo che nasce nel privato, nei singoli cuori, esse però, per esplicitarsi e realizzarsi pienamente, hanno bisogno del supporto delle comunità. Questo vale in special modo per i seminaristi, la cui vocazione si allarga all’interno della parrocchia e si nutre del rapporto con gli altri. Tutto contribuisce al discernimento, che non deve essere mai solitario. Ogni vocazione è dunque un dono, ma esso va coltivato in comunità, affinché sbocci e diventi dono per tutti. È una circolarità sinodale, segno della presenza di Dio, il quale invita tutti a non essere ripiegati su sé stessi, ma a utilizzare i doni ricevuti – tra cui senza dubbio le vocazioni – per proiettarsi verso il mondo esterno.
Durante la Veglia per le vocazioni il Vescovo ha voluto fosse celebrato anche il rito di ammissione agli ordini sacri del diaconato e del presbiterato di due seminaristi isolani, Angelomaria Di Meglio, della parrocchia S. Maria La Porta, e Francesco Ferrandino di S. Maria delle Grazie in S. Pietro. Per questo il Vescovo nell’omelia si è così rivolto a loro:
«Siamo chiamati ad essere pellegrini di speranza e chiedo in maniera particolare a Angelomaria e Francesco: andate verso le periferie esistenziali, non vi accomodate, abbiate sempre un’ansia nel cuore che vi invita ad andare oltre, ad uscire fuori dalle porte della chiesa, ad incontrare e accogliere coloro che sono ai margini, costoro devono essere messi al centro della vita della Chiesa, guai se non fosse così!»
Dunque la vocazione è una chiamata, una tensione verso il progetto che Dio ha per noi, che ci porta, se debitamente accolta a fare ciò che San Giovanni Paolo II nel 1985 suggeriva ai giovani radunati intorno a lui a Cagliari: “Prendete la vostra vita e fatene un capolavoro!”.
Il vescovo ha così concluso:
«Carissimi fratelli e sorelle, la Chiesa ha bisogno di tutti quanti noi, siamo chiamati a essere testimoni di speranza e pellegrini, essere pellegrini significa mettersi in cammino, non possiamo rimanere qui, non possiamo fermarci, il discepolo è colui che si ferma intorno all’altare del Signore per ascoltare la parola di Dio e nutrirsi dell’Eucarestia, ma viene mandato dal Signore per guarire gli ammalati e tenere lontano il male».