Commento al Vangelo Gv 20,19-31
Non è facile crederci davvero.
Non è facile passare dalla notizia alla vita, dal “Gesù è risorto” al sentirlo vivo dentro di te. Non è facile fidarsi quando hai ancora negli occhi le immagini crude del Venerdì Santo. Non è facile credere alla vita, quando la paura ti chiude in casa e ti stringe il cuore. Eppure è proprio lì che comincia la Pasqua: in una stanza chiusa, con undici uomini impauriti. La tomba è vuota, sì, ma non basta. I teli sono lì, ma non bastano. L’assenza non basta: serve una Presenza.
Per credere che Gesù è risorto, non basta un indizio: serve un incontro. Serve sentirlo vivo, presente, reale. E ancora oggi, noi diciamo “Gesù è risorto” perché quegli uomini – sì, proprio loro! – lo hanno toccato, ascoltato, visto… hanno mangiato con lui.
I Vangeli pasquali non ci raccontano cosa sia successo a Gesù, ma cosa è successo a loro. A quei discepoli sconvolti e trasformati “il giorno dopo il sabato”. Sono racconti che ti prendono per mano e ti portano dentro un’esperienza che cambia la vita, che capovolge la storia. Sono Vangeli fatti di fuoco, di annuncio, di verità essenziale.
Per questo, nei cinquanta giorni di Pasqua, non celebriamo un ricordo, ma iniziamo un viaggio: quello che fa entrare la Risurrezione nella vita concreta. E tranquilli: se facciamo fatica, siamo in buona compagnia. Anche gli apostoli ci hanno messo un bel po’ a capire.
Giovanni, in questa domenica, ci racconta una scena potente: la sera di Pasqua, il cenacolo è chiuso, i discepoli sono barricati dalla paura. Quel luogo che prima era pieno di vita – lì avevano celebrato l’ultima Cena con Gesù – ora sembra una tomba.
E quante volte succede anche a noi? Trasformiamo momenti belli in tombe. Le paure ci bloccano, ci fanno scavare fosse dove dovremmo costruire ponti. Ci fanno rinchiudere. Ma Gesù risorto entra proprio lì, in quella stanza chiusa, nelle nostre prigioni, e si mette in mezzo. Non distrugge le paure, ma ci insegna a stare in piedi nonostante le paure.
È l’amore che ci tiene in piedi.
L’amore vero ci dà la forza per fare cose incredibili, per attraversare i sepolcri, per non mollare. Quando senti che qualcuno ti ama davvero, cammini anche con il cuore spezzato.
Ecco perché Gesù mostra le mani e il fianco: sono le ferite dell’amore, cicatrici che non fanno più male, segni eterni che ti dicono: “Io ci sono. Io ti porto sulle spalle”. Sono ferite che non parlano più di dolore, ma di fedeltà.
E poi c’è Tommaso, il nostro amico più frainteso. Non è “l’incredulo”. È uno che ci credeva sul serio, uno che cercava, forse proprio mentre gli altri si chiudevano in casa. Magari era fuori a cercare il Risorto da un’altra parte. Quando torna, gli dicono: “Abbiamo visto il Signore!”. E lui esplode: “Se non vedo, se non tocco, non crederò!”.
Ma attenzione: non è che non crede in Gesù… non crede in loro. In quei discepoli che l’hanno abbandonato sotto la croce. Tommaso non riesce a fidarsi di testimoni così fragili. E come dargli torto? Anche noi, tante volte, non riusciamo a credere perché chi parla di Dio spesso non lo testimonia con la vita. Siamo incoerenti, fragili, peccatori. Eppure…
Tommaso resta. Non se ne va. Non dice “io con questa Chiesa non ci sto più”. Rimane con quella comunità imperfetta. Rischia. E otto giorni dopo, Gesù torna. Per lui. Solo per lui.
E lo guarda con tenerezza. Non lo rimprovera. Lo invita: “Tocca. Guarda. Non essere incredulo, ma credente”. E poi pronuncia quella frase bellissima: “Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno”.
No, non è un rimprovero. È un abbraccio. È come se gli dicesse: “Tommaso, so quanto hai sofferto. So che ti è crollato il mondo addosso. Anch’io ho sofferto. Guarda le mie ferite. Le ho ancora, ma ora parlano di amore”. E in quel momento, Tommaso crolla. Si arrende. E dice la frase più grande di tutto il Vangelo: “Mio Signore e mio Dio!” Lui, proprio lui! Nessuno si era spinto così in là. Altro che incredulo: Tommaso è il più grande dei credenti! E questo messaggio oggi è per chi di noi è nel dolore, nello smarrimento, nella ricerca. Proprio lì, nelle nostre piaghe, nelle nostre notti, Gesù arriva. Non ci toglie il dolore, ma ci salva dentro il dolore. Beati noi, che ancora crediamo, che ancora speriamo, che ancora diciamo con tutto il cuore: Gesù è il Signore. Il mio Signore. Il mio Dio. Buona Domenica!
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Lasciatemi toccare… lasciatemi amare
Commento al Vangelo Gv 20,19-31
Non è facile crederci davvero.
Non è facile passare dalla notizia alla vita, dal “Gesù è risorto” al sentirlo vivo dentro di te. Non è facile fidarsi quando hai ancora negli occhi le immagini crude del Venerdì Santo. Non è facile credere alla vita, quando la paura ti chiude in casa e ti stringe il cuore. Eppure è proprio lì che comincia la Pasqua: in una stanza chiusa, con undici uomini impauriti. La tomba è vuota, sì, ma non basta. I teli sono lì, ma non bastano. L’assenza non basta: serve una Presenza.
Per credere che Gesù è risorto, non basta un indizio: serve un incontro. Serve sentirlo vivo, presente, reale. E ancora oggi, noi diciamo “Gesù è risorto” perché quegli uomini – sì, proprio loro! – lo hanno toccato, ascoltato, visto… hanno mangiato con lui.
I Vangeli pasquali non ci raccontano cosa sia successo a Gesù, ma cosa è successo a loro. A quei discepoli sconvolti e trasformati “il giorno dopo il sabato”. Sono racconti che ti prendono per mano e ti portano dentro un’esperienza che cambia la vita, che capovolge la storia. Sono Vangeli fatti di fuoco, di annuncio, di verità essenziale.
Per questo, nei cinquanta giorni di Pasqua, non celebriamo un ricordo, ma iniziamo un viaggio: quello che fa entrare la Risurrezione nella vita concreta. E tranquilli: se facciamo fatica, siamo in buona compagnia. Anche gli apostoli ci hanno messo un bel po’ a capire.
Giovanni, in questa domenica, ci racconta una scena potente: la sera di Pasqua, il cenacolo è chiuso, i discepoli sono barricati dalla paura. Quel luogo che prima era pieno di vita – lì avevano celebrato l’ultima Cena con Gesù – ora sembra una tomba.
E quante volte succede anche a noi? Trasformiamo momenti belli in tombe. Le paure ci bloccano, ci fanno scavare fosse dove dovremmo costruire ponti. Ci fanno rinchiudere. Ma Gesù risorto entra proprio lì, in quella stanza chiusa, nelle nostre prigioni, e si mette in mezzo. Non distrugge le paure, ma ci insegna a stare in piedi nonostante le paure.
È l’amore che ci tiene in piedi.
L’amore vero ci dà la forza per fare cose incredibili, per attraversare i sepolcri, per non mollare. Quando senti che qualcuno ti ama davvero, cammini anche con il cuore spezzato.
Ecco perché Gesù mostra le mani e il fianco: sono le ferite dell’amore, cicatrici che non fanno più male, segni eterni che ti dicono: “Io ci sono. Io ti porto sulle spalle”. Sono ferite che non parlano più di dolore, ma di fedeltà.
E poi c’è Tommaso, il nostro amico più frainteso. Non è “l’incredulo”. È uno che ci credeva sul serio, uno che cercava, forse proprio mentre gli altri si chiudevano in casa. Magari era fuori a cercare il Risorto da un’altra parte. Quando torna, gli dicono: “Abbiamo visto il Signore!”. E lui esplode: “Se non vedo, se non tocco, non crederò!”.
Ma attenzione: non è che non crede in Gesù… non crede in loro. In quei discepoli che l’hanno abbandonato sotto la croce. Tommaso non riesce a fidarsi di testimoni così fragili. E come dargli torto? Anche noi, tante volte, non riusciamo a credere perché chi parla di Dio spesso non lo testimonia con la vita. Siamo incoerenti, fragili, peccatori. Eppure…
Tommaso resta. Non se ne va. Non dice “io con questa Chiesa non ci sto più”. Rimane con quella comunità imperfetta. Rischia. E otto giorni dopo, Gesù torna. Per lui. Solo per lui.
E lo guarda con tenerezza. Non lo rimprovera. Lo invita: “Tocca. Guarda. Non essere incredulo, ma credente”. E poi pronuncia quella frase bellissima: “Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno”.
No, non è un rimprovero. È un abbraccio. È come se gli dicesse: “Tommaso, so quanto hai sofferto. So che ti è crollato il mondo addosso. Anch’io ho sofferto. Guarda le mie ferite. Le ho ancora, ma ora parlano di amore”. E in quel momento, Tommaso crolla. Si arrende. E dice la frase più grande di tutto il Vangelo: “Mio Signore e mio Dio!” Lui, proprio lui! Nessuno si era spinto così in là. Altro che incredulo: Tommaso è il più grande dei credenti! E questo messaggio oggi è per chi di noi è nel dolore, nello smarrimento, nella ricerca. Proprio lì, nelle nostre piaghe, nelle nostre notti, Gesù arriva. Non ci toglie il dolore, ma ci salva dentro il dolore. Beati noi, che ancora crediamo, che ancora speriamo, che ancora diciamo con tutto il cuore: Gesù è il Signore. Il mio Signore. Il mio Dio. Buona Domenica!
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Don Cristian Solmonese
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