Commento al Vangelo Lc 19,28-40; 22, 14-23.56
Prima che cambi la luna. Mi piace usare questa espressione in riferimento alla data scelta dai cristiani per celebrare la Pasqua. Sappiamo tutti che il giorno della Pasqua cambia ogni anno, ed è la prima domenica dopo la prima luna piena di primavera. L’arco lunare accompagna il nostro cammino quaresimale: si gonfia, come dovrebbe fare il nostro cuore, cioè allargarsi per accogliere il dono pasquale. Per questo mi piace lanciarvi questo messaggio: “prima che cambi la luna”, come a dire, abbiamo ancora tempo per prepararci alla Pasqua. Facciamo in modo che, prima che questa luna piena della Pasqua passi e cominci a decrescere a partire dalla Settimana in Albis, abbiamo realizzato e posto al centro della nostra vita cose importanti. Nella grande settimana ascoltiamo e riviviamo cosa fece Gesù sotto la luna piena di 2000 anni fa.
La Domenica delle Palme, quasi come uno spoiler, ci anticipa tutto il cammino di questa settimana in cui la liturgia rallenta, scandendo il tempo e le ultime ore dell’esperienza terrena di Gesù. Questa celebrazione ci offre due Vangeli: quello che commemora l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e quello della Passione. È Luca, con la sua eleganza stilistica e la sua visione, che ci narra nuovamente quanto ascolteremo. Dalla ricchezza di questa parola voglio consegnarvi alcune domande. La prima è quella che esce dalla bocca dei discepoli: “Dove vuoi che prepariamo la Pasqua?”.
Nella mente degli apostoli è solo una domanda organizzativa; per loro si trattava di individuare un luogo, la location, come negli altri anni, con disposizioni concrete. Si trattava di organizzare tutto al meglio, tutto doveva stare al suo posto: le scenografie pronte, l’effetto fuoco d’artificio, l’effetto lacrima, uscire dalla messa con un nuovo amuleto magico, acqua benedetta e rametto di ulivo (sono i talismani di oggi per molti cristiani, per molti non sarà Pasqua proprio perché non ci saranno queste cose). Purtroppo, è la fine che può fare la nostra Pasqua: preparare tutto, affannarci, preparare pranzi. Tutto diventa una Pasqua senza Gesù, dove Lui non siede a tavola con noi.
Giovanni, spesso nel suo Vangelo, utilizza questa espressione: la Pasqua dei Giudei. Quando la sento, rabbrividisco, chiedendomi: ma non è la Pasqua di Dio? Non è la Sua Pasqua? Molte feste pasquali, natalizie, dei Santi e dei Patroni non sono più le Sue feste, ma le nostre. E Lui non viene più a sedersi con noi, non viene più a mangiare con noi la Pasqua. La Pasqua va preparata, perché le grandi cose vanno sempre preparate. Non possiamo trovarci improvvisati davanti alle cose importanti della vita. Luca e gli altri evangelisti ci dicono che Gesù ha passato tutta la Sua vita a prepararsi per questa Pasqua, per la Sua Pasqua. Se noi davanti al buio o alla gioia non siamo preparati, sprechiamo questo tipo di esperienza. Che cosa significa per noi preparare la Pasqua? Preparare le cose grandi della vita.
La Pasqua è la fioritura, è sbloccarci nella nostra esistenza e prepararci a fiorire, ad abbracciare anche i grandi sogni della vita. Gesù, inoltre, chiede dove sia la Sua stanza, preparata per celebrare la Pasqua. Il Vangelo di Luca mostra attenzione alle usanze giudaiche. In origine, la cena pasquale si svolgeva nel Tempio, ma con l’afflusso di circa 360.000 pellegrini, i sacerdoti estendevano la sacralità del Tempio a tutta Gerusalemme. Durante la Pasqua, l’intera città diventava spazio sacro, e gli abitanti offrivano locali per la cena pasquale, poiché la città apparteneva a Dio. Anche Gesù e i discepoli, che alloggiavano sul Monte degli Ulivi, dovettero trovare un luogo all’interno delle mura per celebrare il pasto rituale.
Quest’immagine biblica invita a riflettere sulla disponibilità interiore a fare spazio a Gesù nella nostra vita. La domanda centrale è: “Maestro, dove è la tua stanza?” Gesù desidera entrare nel nostro cuore e celebrare con noi, ma dobbiamo chiederci se abbiamo preparato uno spazio accogliente per Lui, un luogo di preghiera, meditazione e riflessione. Spesso, però, siamo impreparati e la nostra stanza è piena di altro. Nonostante le difficoltà o le fragilità, il Signore continua a bussare, chiedendo dove sia la Sua stanza. Alla fine, la stanza è Sua, non nostra, e dobbiamo aprirla con sincerità, accogliendo la Sua presenza così com’è. Desidero darvi, infine, alcuni verbi che vi aiutino a vivere bene la prossima Pasqua.
Il primo verbo è attendere: è il verbo del desiderio, tipico degli innamorati, che aspettano con impazienza un incontro. Prepararsi alla Pasqua significa desiderare ardentemente la Parola e il Pane, e chiedersi: “Cosa mi dirà la Parola in questa Pasqua? Quale segno mi colpirà di più?”.
Il secondo verbo è guardare. Quando entrate in chiesa, vi prego di guardare. Se a tavola noi non avessimo gli occhi, il gusto da solo non ci aiuterebbe. Il gusto, innanzitutto, è il gusto di guardare. Questo è vero anche nell’amore: se non vi guardate, se non vi guardate mai, potete fare quello che volete, ma non ha nessun senso. Bisogna guardare il pane, perché se non lo guardo, non mi viene fame. Se non guardo il piatto, non mi sale la salivazione, non mi viene l’appetito; se non sento il profumo entrando in casa, dico: Chissà se si mangerà oggi! Chi guarda l’altare e com’è vestito? L’altare cambia moda: a volte ci sono i fiori, a volte no; a volte c’è una tovaglia intagliata, a volte, come adesso, un gallone viola. E perché? L’altare è un orologio, è un calendario.
L’ultimo verbo è esserci: l’augurio che mi faccio e vi faccio, allora, è di esserci. Alla fine della Sua passione Luca dice che la gente, alla vista di quello spettacolo, se ne tornò a casa percuotendosi il petto davanti a questo “spettacolo” (così il termine greco), davanti a un Dio che muore per amore. Se è possibile, siateci. Lo so che sono giorni lavorativi, che tutti pensano a Pasqua e Pasquetta, ma quel giovedì in cui ricordiamo l’Ultima Cena, quel venerdì di digiuno, di deserto, di silenzio in cui andremo ad adorare la croce, e quel lungo sabato spoglio fino all’esplosione della notte di Pasqua, notte in cui Gesù è risorto, quei giorni valgono la pena di essere vissuti con intensità. Siateci, allora; è l’augurio che vi faccio: avviciniamoci anche noi alla croce, al grande mistero di Dio morto per amore, perché davvero possiamo vivere ancora una volta questa passione, questa domenica delle Palme con un cuore che sa stupirsi ancora di quanto siamo amati. Io sono amato, tu sei amato.
Buona settimana Santa a tutti!
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La Domenica delle Palme, quasi come uno spoiler, ci anticipa tutto il cammino di questa settimana in cui la liturgia rallenta, scandendo il tempo e le ultime ore dell’esperienza terrena di Gesù. Questa celebrazione ci offre due Vangeli: quello che commemora l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e quello della Passione. È Luca, con la sua eleganza stilistica e la sua visione, che ci narra nuovamente quanto ascolteremo. Dalla ricchezza di questa parola voglio consegnarvi alcune domande. La prima è quella che esce dalla bocca dei discepoli: “Dove vuoi che prepariamo la Pasqua?”.
Nella mente degli apostoli è solo una domanda organizzativa; per loro si trattava di individuare un luogo, la location, come negli altri anni, con disposizioni concrete. Si trattava di organizzare tutto al meglio, tutto doveva stare al suo posto: le scenografie pronte, l’effetto fuoco d’artificio, l’effetto lacrima, uscire dalla messa con un nuovo amuleto magico, acqua benedetta e rametto di ulivo (sono i talismani di oggi per molti cristiani, per molti non sarà Pasqua proprio perché non ci saranno queste cose). Purtroppo, è la fine che può fare la nostra Pasqua: preparare tutto, affannarci, preparare pranzi. Tutto diventa una Pasqua senza Gesù, dove Lui non siede a tavola con noi.
Giovanni, spesso nel suo Vangelo, utilizza questa espressione: la Pasqua dei Giudei. Quando la sento, rabbrividisco, chiedendomi: ma non è la Pasqua di Dio? Non è la Sua Pasqua? Molte feste pasquali, natalizie, dei Santi e dei Patroni non sono più le Sue feste, ma le nostre. E Lui non viene più a sedersi con noi, non viene più a mangiare con noi la Pasqua. La Pasqua va preparata, perché le grandi cose vanno sempre preparate. Non possiamo trovarci improvvisati davanti alle cose importanti della vita. Luca e gli altri evangelisti ci dicono che Gesù ha passato tutta la Sua vita a prepararsi per questa Pasqua, per la Sua Pasqua. Se noi davanti al buio o alla gioia non siamo preparati, sprechiamo questo tipo di esperienza. Che cosa significa per noi preparare la Pasqua? Preparare le cose grandi della vita.
La Pasqua è la fioritura, è sbloccarci nella nostra esistenza e prepararci a fiorire, ad abbracciare anche i grandi sogni della vita. Gesù, inoltre, chiede dove sia la Sua stanza, preparata per celebrare la Pasqua. Il Vangelo di Luca mostra attenzione alle usanze giudaiche. In origine, la cena pasquale si svolgeva nel Tempio, ma con l’afflusso di circa 360.000 pellegrini, i sacerdoti estendevano la sacralità del Tempio a tutta Gerusalemme. Durante la Pasqua, l’intera città diventava spazio sacro, e gli abitanti offrivano locali per la cena pasquale, poiché la città apparteneva a Dio. Anche Gesù e i discepoli, che alloggiavano sul Monte degli Ulivi, dovettero trovare un luogo all’interno delle mura per celebrare il pasto rituale.
Quest’immagine biblica invita a riflettere sulla disponibilità interiore a fare spazio a Gesù nella nostra vita. La domanda centrale è: “Maestro, dove è la tua stanza?” Gesù desidera entrare nel nostro cuore e celebrare con noi, ma dobbiamo chiederci se abbiamo preparato uno spazio accogliente per Lui, un luogo di preghiera, meditazione e riflessione. Spesso, però, siamo impreparati e la nostra stanza è piena di altro. Nonostante le difficoltà o le fragilità, il Signore continua a bussare, chiedendo dove sia la Sua stanza. Alla fine, la stanza è Sua, non nostra, e dobbiamo aprirla con sincerità, accogliendo la Sua presenza così com’è. Desidero darvi, infine, alcuni verbi che vi aiutino a vivere bene la prossima Pasqua.
Il primo verbo è attendere: è il verbo del desiderio, tipico degli innamorati, che aspettano con impazienza un incontro. Prepararsi alla Pasqua significa desiderare ardentemente la Parola e il Pane, e chiedersi: “Cosa mi dirà la Parola in questa Pasqua? Quale segno mi colpirà di più?”.
Il secondo verbo è guardare. Quando entrate in chiesa, vi prego di guardare. Se a tavola noi non avessimo gli occhi, il gusto da solo non ci aiuterebbe. Il gusto, innanzitutto, è il gusto di guardare. Questo è vero anche nell’amore: se non vi guardate, se non vi guardate mai, potete fare quello che volete, ma non ha nessun senso. Bisogna guardare il pane, perché se non lo guardo, non mi viene fame. Se non guardo il piatto, non mi sale la salivazione, non mi viene l’appetito; se non sento il profumo entrando in casa, dico: Chissà se si mangerà oggi! Chi guarda l’altare e com’è vestito? L’altare cambia moda: a volte ci sono i fiori, a volte no; a volte c’è una tovaglia intagliata, a volte, come adesso, un gallone viola. E perché? L’altare è un orologio, è un calendario.
L’ultimo verbo è esserci: l’augurio che mi faccio e vi faccio, allora, è di esserci. Alla fine della Sua passione Luca dice che la gente, alla vista di quello spettacolo, se ne tornò a casa percuotendosi il petto davanti a questo “spettacolo” (così il termine greco), davanti a un Dio che muore per amore. Se è possibile, siateci. Lo so che sono giorni lavorativi, che tutti pensano a Pasqua e Pasquetta, ma quel giovedì in cui ricordiamo l’Ultima Cena, quel venerdì di digiuno, di deserto, di silenzio in cui andremo ad adorare la croce, e quel lungo sabato spoglio fino all’esplosione della notte di Pasqua, notte in cui Gesù è risorto, quei giorni valgono la pena di essere vissuti con intensità. Siateci, allora; è l’augurio che vi faccio: avviciniamoci anche noi alla croce, al grande mistero di Dio morto per amore, perché davvero possiamo vivere ancora una volta questa passione, questa domenica delle Palme con un cuore che sa stupirsi ancora di quanto siamo amati. Io sono amato, tu sei amato.
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Don Cristian Solmonese
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