Laboratori di approfondimento liturgico – pastorale per laici
27-29 marzo presso il palazzo del Seminario
L’anno giubilare che stiamo percorrendo offre innumerevoli occasioni di preghiera e incontri comunitari, ma si profila punteggiato anche di appuntamenti formativi di ottima qualità, che il Vescovo mette a disposizione sulla scorta delle sollecitazioni di Papa Francesco. Negli ultimi anni, il pontefice ha posto più volte l’attenzione sull’importanza della Liturgia, specialmente attraverso la Lettera apostolica Desiderio Desideravi. Sono ancora in corso gli incontri formativi su tale scritto a cura del prof. Magnani, che ci ha fatto comprendere bene che la Liturgia è azione, ha forza evangelizzatrice, contribuisce alla manifestazione del mistero di Cristo, e rivela la natura e lo scopo della Chiesa. Per continuare questo percorso, la Diocesi ha proposto tre laboratori, di approfondimento, condotti in modo sapiente dal Prof. Pierangelo Muroni, decano della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Urbiniana. Indirizzati essenzialmente agli animatori della liturgia e agli operatori pastorali, sono stati una occasione preziosa anche per tutti i laici che non svolgono ruoli precisi nelle rispettive parrocchie, ma hanno desiderio di partecipare alle celebrazioni con maggiore consapevolezza. I laboratori si sono tutti articolati in una prima parte teorica, tenuta dal prof. Muroni, e da una parte laboratoriale, con presbiteri diocesani esperti.
Laboratorio sulla Parola di Dio: leggere per rivelare
Fare Liturgia non è qualcosa di trascendentale, che ci trasporta in un universo di eventi misteriosi e incomprensibili, né tantomeno un libretto di istruzioni pratiche per celebrare la Messa senza commettere errori. Mistero e praticismo sono i due maggiori difetti che Papa Francesco ci invita a correggere in Desiderio Desideravi, ricordando quanto già espresso nella Sacrosantum Concilium: Dio vuole che tutti si salvino e arrivino alla conoscenza della verità e, per arrivare a questo, Cristo è sempre presente nelle azioni liturgiche. Egli non è scomparso dopo la resurrezione, è presente nella Liturgia. Per tale motivo la Liturgia non è una rappresentazione simbolica, ma è Cristo stesso che si manifesta a noi.
«Nella Liturgia l’azione non è nostra, ma è prima di tutto di Cristo e suo è il desiderio di incontrare l’uomo, e lo fa nella Liturgia: dunque la Liturgia è opera di Dio e in essa Cristo si presenta nella persona del ministro, nelle specie eucaristiche, nei sacramenti».
La presenza di Dio si fa forte durante la Liturgia anche attraverso la Parola. A tal riguardo il Prof. Muroni ci ha ricordato che la Sacrosantum Concilium è innovativa rispetto a documenti precedenti nei quali la Parola di Dio non era ancora qualificata come portatrice di tale presenza. Prima non si dava importanza alle letture, infatti gli uomini entravano in chiesa solo per la liturgia eucaristica, mentre la parte precedente era lasciata alle sole donne, quasi come una parte poco rilevante. Il Concilio ha invece voluto insegnarci che la Parola di Dio nella Messa non è un racconto, ma annuncio della presenza di Cristo. La Parola illumina il rito e conferisce ad esso forza e contenuti. In ogni celebrazione esiste un preciso messaggio che la Chiesa vuole arrivi al popolo di Dio, contenuto nelle Letture e perfettamente adattato ai diversi momenti dell’Anno Liturgico. Lo stesso brano, letto in contesti temporali o eventi diversi, assume significati diversi. Per questo non bisogna mai stancarsi di ascoltare le Letture che presumiamo di conoscere già, perché l’annuncio varia sempre rispetto ai contesti nei quali è inserito.
Si capisce, da tali premesse, quanto sia delicato e importante il ruolo del lettore all’interno della celebrazione. Se la Parola non è un semplice racconto, la sua lettura in pubblico non è informativa, non fa parte di un percorso di interpretazione e conoscenza. La Sacra Scrittura non è una disciplina accademica da studiare, è presenza di Dio in mezzo a noi e non va letta, ma proclamata. Per proclamarla correttamente è certamente necessario prepararsi e allenarsi per non fare errori e avere la corretta dizione e intonazione, ma prima di tutto bisogna ascoltare e assumere un atteggiamento di preghiera. La Parola va portata nella preghiera, perché poi esca non dalla bocca, ma dal cuore. Essa “aspetta una risposta” che corrisponde alla sua efficacia nella nostra vita quotidiana. Per questo sono preziose le pause di silenzio dopo ogni lettura e soprattutto – ha sottolineato Muroni – non bisogna avere fretta, per accorciare i tempi della celebrazione e arrivare prima possibile alla benedizione finale.
Allo stesso modo non è necessario, durante la lettura, declamare o assumere atteggiamenti teatrali per attirare l’attenzione su noi stessi. Il nostro modo di leggere deve rivelare, non nascondere e chi proclama è un araldo e un credente. Anche chi ascolta non deve assumere l’atteggiamento dello studioso che ripassa un racconto, leggendolo dal foglietto, magari per andare a caccia di errori nella lettura, ma deve accogliere la Parola con spirito attento e senza distrazioni: solo in tal modo l’ascolto potrà fruttificare.
Molto interessante, dopo l’intervento del prof. Muroni, il laboratorio pratico con don Cristian Solmonese, che, con un pizzico di umorismo (che non guasta mai), ci ha condotti a riconoscere i più diffusi errori durante la proclamazione, aiutandoci a capire come migliorare.
Laboratorio Liturgico – Musicale: canto e musica al servizio del mistero celebrato
Anche la musica è parte integrante della celebrazione, essa non serve per abbellirla, ci ha ricordato il diacono Giuseppe Iacono, musicista esperto, che nel secondo incontro ha introdotto l’intervento del prof. Muroni e ha poi curato il laboratorio pratico.
La musica e il canto nella celebrazione non sono colonne sonore che nascono per sottolineare la bravura di chi esegue, non sono svago, ma strumenti al servizio della celebrazione che servono per svelare il mistero. Ogni celebrazione ha un solo scopo: portarci all’incontro con Cristo e il canto liturgico deve contribuire a tale scopo. In particolare è necessario distinguere tra musica sacra, la quale può anche essere eseguita in concerti e fuori dalle chiese, e musica liturgica, inserita nei contesti celebrativi e ad essi strettamente legata. Quest’ultima deve, come già detto, aiutare a svelare il mistero di Dio e per tale motivo deve essere eseguita da tutta l’assemblea e non solo dal coro. Il canto deve illuminare il mistero e per tale motivo deve esserci una profonda connessione con il tema centrale della singola celebrazione e del messaggio che essa vuole far arrivare al popolo di Dio. Pertanto i canti non possono essere improvvisati o scelti a caso, tra quelli – spesso di numero davvero ridotto – che la parrocchia conosce e ripete da sempre per comodità. Il canto deve avere origine da ciò che si celebra, è azione liturgica e ponte per arrivare al mistero. Il fine non deve essere il canto: esso deve creare stupore e coinvolgimento e il coro ha la funzione non di cantare da solo per mostrare la propria perizia, ma essere in grado di aiutare l’assemblea a cantare, perché essa non deve essere mai muta, ma partecipe, in grado di mostrare, cioè, la forza e la potenza della comunità unita. I cantori, quindi, non sono esperti privilegiati, ma servi della celebrazione. Il prof. Muroni ha più volte ricordato come tutte queste indicazioni sono contenute nell’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR) pubblicato dalla CEI e a disposizione di tutti quanti vogliano tenersi informati (è facilmente reperibile in pdf).
Laboratorio floreale: la via della bellezza
Il terzo laboratorio, con il contributo anche di don Antonio Mazzella, non è stato, come qualcuno poteva aspettarsi, un corso per imparare ad addobbare le chiese con i fiori, ma una occasione per riflettere sulla funzione dei luoghi della celebrazione. Per luoghi non si intende – ci ha spiegato il prof. Muroni – la struttura della chiesa, ma gli spazi occupati per le diverse parti della celebrazione: altare, ambone, fonte battesimale.
Al n. 24 della Desiderio Desideravi Papa Francesco ci ricorda che la Chiesa evangelizza e lo fa anche con la bellezza della liturgia. Non solo, la Chiesa evangelizza anche attraverso il linguaggio artistico, le opere d’arte, che anticamente diffondevano il messaggio cristiano in forma figurativa, il canto, come si è già detto, e i fiori. È la via della bellezza, espressa nei diversi linguaggi, la via dell’arte che aiuta ad incontrarsi con Cristo. Papa Paolo VI lo aveva ben compreso e in un suo famoso discorso del maggio del 1964, rivolto agli artisti, ha espresso la sua gratitudine a quanti, con la loro arte, contribuiscono a rendere accessibile a tutti il mondo ineffabile di Dio.
L’arte entra dunque anche nelle chiese e contribuisce con la sua bellezza a indicare la via per incontrare Cristo. Essa è presente nelle architetture interne e nella sistemazione dei luoghi celebrativi. Questi ultimi vanno intesi nel loro corretto significato ed è a partire da loro e intorno a loro che le chiese devono essere costruite.
Il fonte battesimale si pone vicino all’entrata della chiesa: esso rappresenta l’ingresso alla vita eterna.
L’ambone non è un oggetto, ma un luogo, e non è, e non può essere, un leggio mobile. Deve essere uno spazio nel quale si entra, o si sale, poiché rappresenta la tomba vuota lasciata da Cristo dopo la resurrezione. Il lettore – e si comprende ancora meglio l’importanza e il peso di questo ministero – è l’angelo che, scoperta la tomba vuota, annuncia il Cristo risorto. Per tale motivo tutta l’assemblea, come Cristo risorto, ascolta la lettura del Vangelo in piedi. E per questo in alcune chiese esistono due amboni, uno per la lettura dell’Antico Testamento e uno, un po’ più sopraelevato, per la lettura del Vangelo.
L’altare è il luogo sul quale celebriamo il sacrificio di Cristo, da esso, tavola di forma quadrangolare, Dio, attraverso la Chiesa, sfama tutta l’umanità nei quattro angoli della terra. Anche il candelabro che regge il cero, ha funzione evangelizzatrice e può essere oggetto artisticamente decorato e ornato con i fiori: esso regge il cero che porta la luce che è Cristo stesso. Si combina bene con tutto questo l’arte floreale. I fiori comunicano cosa stiamo celebrando, sono indicatori del messaggio e si aggiungono al complesso linguaggio che assume la liturgia. Non possono pertanto essere ammirati solo per la loro bellezza o per la bravura di chi compone, né tantomeno offuscare o coprire l’altare. Poiché i fiori sono portatori di messaggio e svolgono quindi una funzione evangelizzatrice, è necessario che anche chi si occupa dei fiori in chiesa abbia una adeguata formazione liturgica e sia in grado di comprender il messaggio che nelle diverse celebrazioni si vuole veicolare. Al termine dei suoi interventi il prof. Muroni si è sempre raccomandato di seguire quanto più possibile le indicazioni che con grande chiarezza sono espresse dalla Chiesa attraverso i sussidi disponibili al servizio delle celebrazioni e che con grande sollecitudine Papa Francesco ricorda sempre.












