Lectio Divina a cura del Vescovo Carlo per la Quaresima Presso la chiesa Collegiata dello Spirito Santo in Ischia Ponte
“La Parola di Dio è viva, la Parola di Dio è Dio stesso, è la sua stessa promessa”. Il Vescovo Carlo cita la Lettera agli Ebrei al capitolo 4 per introdurci alla Lectio tenuta il 18 marzo scorso, incentrata sulla preghiera e, in particolare, sul Padre Nostro.
Il padre Nostro è una preghiera che tutti noi conosciamo a memoria e sappiamo perfettamente recitare. Recitare e sapere a memoria, sembra un traguardo da raggiugere, ma non è lo scopo della preghiera. Il Vescovo ci ha trasportati nel Vangelo di Luca, al capitolo 11, quando i discepoli, affascinati dalla visione di Gesù ritiratosi a pregare, chiedono che sia svelato loro il mistero della preghiera; in quella occasione Gesù dona loro il Padre Nostro; nel Vangelo di Matteo, al capitolo 6, Gesù raccomanda ai discepoli, tra le altre cose, di “non sprecare parole come i gentili, i quali credono di essere esauditi per la loro verbosità”. Pregare non è recitare a memoria.
Papa Benedetto – ha ricordato il Vescovo – diceva che la Parola di Dio è performativa, ci muove all’azione e non ci può lasciare indifferenti. Lo diceva anche il profeta Isaia al Capitolo 55 con l’immagine della pioggia e della neve che non ritornano al cielo senza aver irrigato, fecondato e fatto germogliare la terra. La Parola ci trasforma, ma solo se noi non opponiamo resistenza, solo se ci allineiamo con il pensiero di Dio e facciamo la sua volontà. Nella preghiera siamo spesso sterili, perché pronunciamo solo parole e formule vuote, non dette con il cuore, parole che non sono in grado di trasformare la nostra vita. Allo stesso modo le nostre celebrazioni sono a volte vuoti contenitori di riti che recitiamo per abitudine, senza sentirli nel nostro cuore. Rischiamo dunque che anche quella preghiera che Gesù ci ha lasciato diventi una parola vuota e inutile, come le parole vuote pronunciate dai gentili, o – ancora peggio – che la preghiera diventi uno strumento per assoggettare ai nostri desideri e bisogni la volontà di Dio, come quando chiediamo riparo dal terremoto, ma anche che il Napoli vinca lo scudetto!
La questione è che la preghiera – come già detto – non è una recita, ma espressione di una relazione con Dio rispetto alla quale non siamo noi a dettare le condizioni, ma siamo invece chiamati noi ad entrare nella volontà di Dio, siamo noi a dovere essere sottomessi alla Parola di Dio per farla entrare nel nostro vissuto quotidiano. La preghiera è dunque prima di tutto relazione con Dio, ma la sua efficacia dipende anche da altri fattori, soprattutto dalla dimensione del perdono:
«La preghiera non può essere separata dal perdono, se io prego non posso stare in lite con mio fratello: pregare Dio e stare separato dai fratelli; non è possibile portare all’altare la propria offerta se io so che mio fratello ha qualcosa contro di me. Se voglio stare con il Signore non posso essere separato dai miei fratelli».
Lo ha ricordato anche Papa Francesco nell’omelia della notte di Natale in occasione dell’apertura della Porta Santa: Dio perdona tutto e tutti, ma noi, quando preghiamo, dobbiamo parlare al plurale, come ci ha insegnato Gesù nel padre Nostro, dove diciamo “rimetti a noi i nostri peccati”. È una preghiera espressa tutta al plurale che ci ricorda il sacrificio gratuito di Gesù che persino sulla croce riesce non solo a perdonare i suoi carnefici, ma chiede persino al Padre di giustificarli:
«L’amore di Dio è talmente grande che non solo perdona, ma giustifica. A noi forse non è chiesto tanto, non ce la faremmo, ma ci viene chiesto di perdonare».
Dunque, per evitare di trasformare il Padre Nostro in una formula vuota, il Vescovo ha proposto una piccola guida, una linea da seguire in questo tempo di Quaresima in cui siamo chiamati ad allenarci per imparare in modo efficace a fare della nostra vita un modello santo.
Padre Nostro: per prima cosa Gesù ci dice che nel pregare dobbiamo rivolgerci a Dio come nostro padre, egli vuole che abbiamo la stessa sua dignità di figlio e che ci consideriamo per tale motivo fratelli.
Sia santificato il tuo nome: il nome di Dio è già santo, ma noi con questa formula chiediamo a Dio che la nostra vita sia riflesso del suo cuore.
Venga il tuo regno: non è la speranza di un regno futuro, ma un invito alla realizzazione del regno già ora.
Sia fatta la tua volontà: è un invito a mettere da parte la nostra volontà per dare spazio alla volontà del Signore.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano: il pane ci sostiene, ma sia il nostro pane quotidiano anche l’alimento della nostra anima, la Parola di Dio.
Rimetti a noi i nostri debiti: perdona i nostri peccati come noi perdoniamo agli altri. Noi siamo tutti perdonati, ma dobbiamo essere consapevoli dei nostri limiti e delle nostre miserie, per questo è fondamentale l’esperienza della confessione e della assoluzione, dove riconosciamo i nostri peccati e sperimentiamo la misericordia di Dio che ci perdona. Sentirsi amati e perdonati, inoltre, ci dà la forza di amare e perdonare a nostra volta.
Non ci abbandonare alla tentazione, ma liberaci dal male: la tentazione ci allontana dalla capacità di comprendere la volontà di Dio, per resistere abbiamo bisogno delle sue braccia.
La preghiera, dunque, ha concluso il Vescovo, ci rende capaci di conformarci al cuore misericordioso di Dio, non può per nessun motivo essere “una recita”:
«La preghiera ci aiuta ad essere come Dio vuole, non a forza di parole, ma per decisioni che nascono da una volontà che è il mio rapporto con il Signore, la preghiera ci prepara ad accogliere la misericordia di Dio, è il luogo dell’incontro con Dio, in cui diventiamo sempre più capaci di amare e perdonare».