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Un anno prezioso in più

lettura della bibbia in penombra

Commento al Vangelo Lc 13,1-9

In questa terza domenica di Quaresima, la liturgia ci propone un tema particolarmente spinoso: la sofferenza e il dolore. Un argomento che riguarda tutti, perché, anche seguendo Gesù, possiamo trovarci improvvisamente di fronte a una malattia, a un licenziamento, a una crisi affettiva o a qualsiasi altra prova difficile. E allora ci viene spontaneo domandarci: “Signore, proprio adesso che ho deciso di prendermi cura della mia vita interiore e spirituale, perché mi accade tutto questo?”. Perché il dolore? Perché la sofferenza? È un interrogativo che inevitabilmente bussa alla nostra esistenza.

Anche ai tempi di Gesù si discuteva di sciagure avvenute a Gerusalemme: il crollo della torre presso la piscina di Siloe, che aveva causato la morte di alcune persone, e la brutale repressione attuata dai soldati romani, che, per ragioni sconosciute, erano scesi dalla fortezza Antonia e avevano ucciso alcuni pellegrini intenti a pregare nel tempio. Il dibattito era acceso: “Che cosa avevano fatto di male queste persone per meritare una simile sorte?”.

La risposta di Gesù è straordinaria e spiazzante: quelle vittime non erano più peccatrici di chiunque altro. La loro morte non era un castigo divino, ma piuttosto la conseguenza di fattori umani: forse l’imperizia di un architetto o dei muratori nel caso della torre di Siloe; oppure, nel caso della repressione romana, la logica del potere che mantiene il controllo anche con la violenza. Gesù ci mette in guardia dal dare la colpa a Dio per tutto ciò che accade: se percorriamo una strada a più di 120 km/h e ci schiantiamo, non è Dio che ce l’ha con noi; se seminiamo zizzania nella nostra vita e alla fine ci ritroviamo soli, non è Dio a punirci. Esistono semplicemente le conseguenze delle nostre azioni. Ma Gesù aggiunge qualcosa di ancora più importante: se non ci convertiamo, periremo tutti allo stesso modo. Non perché Dio ci punirà, ma perché arriveremo alla fine della nostra vita con un’immagine falsa di Dio, senza averlo mai davvero conosciuto.

Noi, che ci fidiamo di un Dio buono, anche senza comprendere fino in fondo la Sua logica, possiamo cogliere questi eventi come un’opportunità per misurare la nostra vita. Quando scampiamo a una grave malattia, quando ci rendiamo conto di quanto la nostra esistenza sia fragile, quando ci interroghiamo sul senso di ciò che viviamo, possiamo trasformare queste situazioni in occasioni per riscoprire ciò che davvero conta. Il richiamo di Gesù, dunque, è alla conversione, ovvero lasciarsi coinvolgere ma affrontando le situazioni in maniera diversa. Davanti ai problemi della vita possiamo rispondere con sentimenti di violenza, vendetta, rancore oppure cercando di intervenire alla radice del male. Non dobbiamo illuderci che possiamo cambiare qualcosa semplicemente rimpiazzando gli eventi con altri. Gesù non aderisce alla vendetta dei giudei che vogliono rimpiazzare Pilato con un altro potere, oppure mettendo altri che meritavano di morire sotto la torre.

Gesù propone un coinvolgimento diverso di persone divenute diverse, di gente con un cuore nuovo, come fa Dio che interviene non rovesciando il faraone ma prendendosi cura del popolo. Dio è bellissimo proprio come il roveto ardente della prima lettura: brucia dentro di noi, soprattutto nei momenti più difficili. Nell’Esodo, Israele sperimenta un Dio che vede, che si prende cura, che agisce: “Ho visto la sofferenza del mio popolo, ho ascoltato il suo grido, conosco ciò che sta vivendo”. Sì, il nostro dolore non è ignorato da Dio. E se possiamo eliminare gran parte delle nostre sofferenze con un atteggiamento corretto, senza cadere nel vittimismo, resta comunque una parte di dolore che ci tocca inevitabilmente. È quel mistero che nel libro di Giobbe non trova risposta e che ci invita a purificare la nostra idea di Dio.

Nel Vangelo, Luca ci parla di un albero di fichi che non porta frutto: il padrone vuole abbatterlo, ma il contadino chiede di dargli ancora un po’ di tempo, di lavorare la terra attorno a esso e concimarlo. Allo stesso modo, anche le prove della vita possono essere occasioni di crescita, strumenti con cui il Signore ci lavora il cuore, ci purifica e ci aiuta a portare frutto. Non tutto il male viene per nuocere: spesso gli eventi dolorosi sono segnali chiari che ci invitano ad andare all’essenziale.

La Quaresima allora è un tempo di grazia, è un nuovo anno prezioso concesso al fico che rappresenta ciascuno di noi per dare frutti: se ci sono aspetti della vita da mortificare, facciamolo, ma soprattutto vivifichiamo ciò che resta, guardando con occhi nuovi gli eventi, anche quelli dolorosi e incomprensibili: sono opportunità per riscoprire ciò che conta davvero. Buona domenica!

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