L’Enciclica Dilexit nos sull’amore umano e divino: seconda catechesi giubilare a cura di padre Renato Colizzi sj, presso la Basilica di Santa Maria Maddalena in Casamicciola, 3 marzo
Nella sua seconda catechesi diocesana padre Renato Colizzi ha voluto offrirci una attenta e preziosa analisi della recente Enciclica di Papa Francesco, Dilexit nos, una enciclica “sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo”. Essa si pone – a detta di molti – come vera chiave di lettura di tutto quanto finora scritto da Papa Francesco e sembra essere nata dalla esigenza della Chiesa di riaffermare la questione fondamentale del cristianesimo. “La questione più essenziale di tutto il cristianesimo non è la semplice affermazione dell’esistenza di Dio, ma è la convinzione profonda di essere amati da Lui con un Amore che è molto più di un semplice sentimento. Un Amore che essenzialmente Qualcuno: Gesù Cristo”, cosi scrive L. M. Epicoco nella Guida alla lettura dell’Enciclica (ed. San Paolo). La rilettura e la riaffermazione di questo amore è il filo conduttore di questa Enciclica, che affonda le radici soprattutto e anche nella devozione al Sacro Cuore di Gesù. Quest’ultima nasce nel tardo Medioevo e conosce una grande fioritura grazie a santa Margherita Maria Alacoque, che per 17 anni, fino alla sua morte, ha riferito delle apparizioni di Gesù che le raccomandava di diffondere la devozione al suo Sacro Cuore. La sua maggiore diffusione si ebbe anche grazie a Claude de la Colombière, gesuita, scrittore e padre spirituale di Margherita M. Alacoque. A lui si deve dunque il legame tra tale devozione e la Compagnia del Gesù, che nel 1871 fu consacrata al Sacro Cuore.
Da allora quel legame ha attraversato i decenni, intrecciandosi anche con l’Apostolato della Preghiera, opera pontificia nata nel 1844 con lo scopo di mobilitare i cattolici alla preghiera e all’azione di fronte alle sfide dell’uomo, oggi meglio noto con il nome di Rete Mondiale di Preghiera del Papa. E arriviamo a questo punto a padre Roberto Colizzi, gesuita e direttore nazionale della Rete e alla scelta della Basilica di santa Maria Maddalena per la sua seconda catechesi giubilare. Essa è infatti l’unica chiesa sul territorio diocesano dedicata al Sacro Cuore di Gesù, come ci ha ben spiegato il parroco don Gino Ballirano nella sua introduzione: “Il venerabile Morgera, qui seppellito, aveva compreso, nei difficili anni dopo il disastroso terremoto di Casamicciola del 1883, che solo partendo dal sacro Cuore di Gesù era possibile ricostruire ciò che il terribile terremoto aveva distrutto”. Don Gino ha anche ricordato che le due statue che sovrastano l’altare, inizialmente separate, furono messe insieme proprio dal parroco Morgera che volle in tal modo ricordare quanto le preghiere di Maria di Magdala furono importanti perché Lazzaro fosse riportato in vita, allo stesso modo, attraverso le preghiere al Cuore di Gesù, sarebbe risorta Casamicciola.


Dunque, un legame forte tra la parrocchia di Casamicciola e la devozione al Cuore di Gesù, tesoro prezioso da riscoprire. L’Enciclica ci indica allo stesso modo che la via che porta al cuore, quello umano e quello prezioso di Cristo, è ciò che bisogna recuperare, perché “l’uomo del Duemila ha bisogno del cuore di Cristo per conoscere Dio e per conoscere sé stesso, ne ha bisogno per costruire la civiltà dell’amore” (n.80).
Nella sua sintesi padre Colizzi ha illustrato tutto il testo della Dilexit nos e il percorso che porta a conoscere il cuore umano e il cuore di Dio. Egli ha suddiviso l’Enciclica in tre parti che – ha detto – ripercorrono tre delle nove tappe del Cammino del Cuore, l’itinerario formativo della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, un percorso spirituale che aiuta ad avere un cuore più simile a Cristo.
Prima parte
Corrisponde ai primi tre capitoli dell’Enciclica, nei quali il Papa descrive il cuore umano. Esso è un centro unificatore (n.3), il luogo della sincerità, dove non si può ingannare, né dissimulare (n.5), ma questo luogo prezioso è minacciato da una serie di assalti esterni, originati dalla società intorno a noi, che tende a farci uscire da noi stessi per asservirci a logiche economiche consumistiche e per renderci schiavi degli ingranaggi di un mercato che non ha interesse per la nostra esistenza (n.1). Attraverso questi meccanismi l’uomo perde il contatto con il centro di sé stesso, vive come frastornato, disperso nella esaltazione della dimensione tecnologica e razionale, diventa rotella degli ingranaggi del consumismo, mentre il cuore perde spazio e noi con esso perdiamo il centro di noi stessi. Con la svalutazione del cuore “perdiamo le risposte che l’intelligenza da sola non può dare, perdiamo l’incontro con gli altri, perdiamo la poesia (…) perché la vera avventura personale è quella che si costruisce a partire dal cuore. Alla fine della vita conterà solo questo” (n.11). Il cuore è una stanza in cui io entro e ho uno sguardo armonico sulla mia vita, una stanza nella quale c’è il deposito più intimo delle mie esperienze formative, che sono uniche e inimitabili, alle quali attingo per ritrovare i miei veri valori.
Seconda parte
Corrisponde a parte del quarto capitolo. Papa Francesco in questa sezione apre lo sguardo sui tratti storici della devozione al Sacro Cuore di Gesù e alla sua risonanza attraverso le epoche, citando san Francesco di Sales, san Claude de la Colombière, san Charles de Foucauld, fino ad arrivare alla Compagnia del Gesù.
Terza parte
Fin qui, ci ha spiegato padre Colizzi, Papa Francesco non ci comunica grandi novità, la Dilexit nos si mantiene nel solco della spiritualità classica del Sacro Cuore. Invece nella terza parte, la parte finale del capitolo quarto e il capitolo quinto, Papa Francesco introduce due novità: consolazione e riparazione.
Dopo aver raccomandato la necessità di dare nuovo vigore alla devozione al Sacro Cuore, Papa Francesco recupera e rinforza una pratica antica che di recente appare messa da parte, la devozione della consolazione di Cristo. Essa ha origine dalla contemplazione della ferita al costato di Cristo sulla croce: “Questa grande ferita, da cui sgorga l’acqua viva, rimane aperta nel Risorto. Questa grande ferita prodotta dalla lancia e le piaghe della corona di spine, che spesso appaiono nelle rappresentazioni del Sacro Cuore, sono inseparabili da questa devozione. In essa, infatti, contempliamo l’amore di Gesù che è stato capace di donarsi fino alla fine” (n. 151). Da qui nasce, in epoche passate, l’insopprimibile desiderio di consolare Cristo sofferente sulla croce, di contemplare la sua condizione, la quale non appartiene al passato, ma è eterno presente per tutti i cristiani, poiché Gesù soffre ancora oggi nella carne di tanti cristiani sofferenti. Nessuno, precisa il Papa può “farsi beffe di questa devozione del santo popolo di Dio” (n.160), rivolgendosi con queste parole a coloro che dichiarano che Cristo è stato glorificato, siede alla destra di Dio e per tale motivo non ha bisogno di essere consolato. “Nella contemplazione del Cuore di Cristo donatosi fino all’estremo noi veniamo consolati (…), desiderosi di consolarlo, veniamo consolati (n. 161).
Francesco va ancora oltre e parla di riparazione, forse il concetto più complesso, forse ciò a cui tutta l’Enciclica punta. Questa pratica, come quella della consolazione di Cristo, è stata largamente screditata, sulla scorta dell’idea che solo il Signore ripara.
Nella pratica del Sacro Cuore la riparazione era una questione intimistica, preziosa e necessaria, ma riservata alla sfera personale. Padre Colizzi ha così precisato:
«Per Papa Francesco la riparazione è invece un atto sociale, essa deve uscire dall’ambito intimistico per entrare nella pratica delle nostre relazioni sociali, le quali spesso producono odio, violenza, oppressione. È necessario ricostruire a partire dalle rovine».
Citando un discorso di san Giovanni Paolo II, il Papa ricorda che la civiltà dell’amore deve e può essere ricostruita proprio sulle macerie generate dal male, questo vuol dire riparare il Cuore di Cristo: “In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza” (n. 182). La riparazione cristiana implica però due atteggiamenti impegnativi: riconoscersi colpevoli e chiedere perdono, senza vergognarsi di apparire umiliati davanti agli altri. “Un cuore capace di compunzione può crescere nella fraternità e nella solidarietà, chi non piange regredisce e invecchia dentro. La compunzione che genera solidarietà rende possibile la riconciliazione e la riparazione, che è un prolungamento per il Cuore di Cristo (n.190).
Padre Colizzi ha concluso con una sua riflessione personale, nata dalla lettura dell’Enciclica: Quale Chiesa è in grado di operare questa riparazione?
1. Una Chiesa che non mente, non nasconde, non vive di apparenze, che è in grado di riconoscere i propri difetti.
2. Una Chiesa che impara a piangere, il pianto ci permette di riparare, dà inizio ad un cammino di autenticità e superamento delle apparenze.
3. Una Chiesa che non sia una macchina che si auto-organizza, che non scommette solo sui progetti.
Si tratta di una Chiesa – ha proseguito – che getta via le maschere, che si presenta con un volto sincero, senza cercare soddisfazioni superficiali, in grado di costruire relazioni autentiche, le quali si fondano sulla autenticità del cuore. Il cuore costruisce legami autentici in grado di trasformare le persone da monadi individualistiche a comunità vive. Così dovrebbero essere gli uomini, così dovrebbe essere la Chiesa. La riparazione serve a costruire legami di questo genere:
«Imparare a chieder perdono, è un modo di guarire le relazioni, perché manifesta la volontà di ristabilire i legami della carità fraterna tocca il cuore del fratello, lo consola e suscita in lui l’accoglienza del perdono richiesto».
Il Papa vuole in sostanza sottolineare che non solo il Signore consola e ripara, ma anche l’uomo attraverso la costruzione di buone e corrette relazioni, all’interno delle quali mostrare un cuore capace di compunzione e perdono.
Così ha concluso, citando il n. 198: “È importante notare che non si tratta solo di permettere al Cuore di Cristo di diffondere la bellezza del suo amore nel nostro cuore, attraverso una fiducia totale, ma anche che attraverso la propria vita raggiunga gli altri e trasformi il mondo”.
