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Una Chiesa chiamata a tirare fuori

Commento al Vangelo Lc 5,1-11

Dopo il battesimo, Gesù comincia la sua missione, dirigendosi, dopo la morte del Battista, nella Galilea, a nord di quello che era stato il regno di Davide. Presso il mare di Galilea (o Kinneret) comincia la sua predicazione. Marco ci descrive come la folla inizia ad accalcarsi, stuzzicata dalla novità dalle parole e dai gesti di questo nuovo predicatore che sembra essere diverso dagli altri. In quell’occasione si instaura l’amicizia con i primi compagni che da quel giorno non faranno più ritorno alla solita vita. Il tema della chiamata, infatti, attraversa il Vangelo e le letture di questa domenica.

Troverete personaggi che sono chiamati a diventare annunciatori della parola. Le vocazioni descritte, tuttavia, hanno una sostanziale differenza: a quella maestosa di Isaia che nel tempio sente la grandezza della santità di Dio, si contrappone la semplice chiamata sul posto di lavoro dei primi discepoli, fino ad arrivare a Paolo, “l’ultimo chiamato”, come ad un aborto. L’esigenza del raccontare la propria chiamata è necessaria per i profeti di Israele al fine di mostrare l’autenticità del loro annuncio.

Così sembra essere per Paolo, ma con Gesù troviamo una dimensione completamente nuova di questa elezione. Era usanza, al tempo di Gesù, che i discepoli scegliessero il maestro da seguire, come accade per i discepoli del Battista: la prima novità sta nel fatto che Gesù intercetta la loro vita e li chiama a seguirli. La chiamata del Signore incontra qualcosa che tutti noi sperimentiamo nella vita: il fallimento, la delusione, il vuoto che raccogliamo ogni giorno. A quella indegnità mostrata da Isaia e da Pietro egli risponde chiedendola per sè. Nel testo del vangelo ciò è rappresentato da tre elementi: il mare, la barca e le reti. Sono tre immagini che parlano della paura, della vita e delle prigioni in cui spesso cadiamo. Il mare per un ebreo evoca brutti ricordi: la schiavitù dell’Egitto, il mostro Leviatàn che abita le acque.

Inoltre, il mare di Galilea, o lago di Tiberiade, segna il confine geografico di Israele perché dall’altro lato c’è la Giordania, la Decapoli, luogo promiscuo dove nessun ebreo sognava di andare. Gli ebrei non sono naviganti e nella Bibbia il mare ha a che fare con ciò che è oscuro, non conoscibile, che fa paura. Gesù cammina lungo il mare, sui confini, sul luogo di pericolo, del Leviatano. È sempre al di sopra delle nostre paure, delle nostre ristrettezze, dei confini che abbiamo creato. Gesù si avvicina e chiede loro una barca, una barca per discostarsi dalla riva e poter parlare facendosi udire maggiormente.

Trovo bellissimo questo dettaglio perché è come se il Signore chiedesse a noi una barca, è come se chiedesse la nostra collaborazione; Dio viene a visitare quelle parti della nostra vita che sono nelle tenebre! È come se mi chiedesse di portarlo con sé in quell’esperienza di fallimento, in quell’arrabbiatura, nel disincanto della vita, nella notte personale di pesca infruttuosa. Nessuno chiederebbe queste cose, perché, come noi, nessuno le vuole! Ma lui sì, Gesù le vuole! Per fare cosa? Gesù chiede quella barca per farsi udire meglio. Il testo dice per «parlare facendosi udire maggiormente».

Per mettere una parola, per donarci una parola, non miracoli ma una parola che fa miracoli! Quando arriva Gesù con la sua parola, con la sua luce, tutto arretra, le tenebre fanno passi indietro. Questo arretramento, questo cacciare i demoni è molto di più degli esorcismi. Ho visto vite tutte attorcigliate, complesse, piene di divisioni, piene di problemi, appena si sono sentite amate sono fiorite! Le reti, infine, in ambito biblico hanno una reminiscenza con qualcosa che lega, che impedisce di seguire. Pensiamo alle nostre reti, ai nostri fallimenti, all’insuccesso.

Molti hanno negli occhi la disillusione (oramai, non cambierà nulla), il fallimento di quella relazione, di quell’amore, di quella pesca, di quell’amicizia; molti hanno fallito con i genitori, con la moglie, con il marito, con il papà, con la mamma, con l’università, con il lavoro, con il proprio corpo; molti si portano dietro dalla propria infanzia dei vuoti e non riescono ad amare perché hanno ricevuto del male da piccoli. Sono le nostre reti! È quella giornata di lavoro che abbiamo fallito! Siamo qui perché tutti abbiamo fallito in qualcosa. Il vangelo rincara la dose, dicendo che Giacomo e Giovanni stanno riparando le reti; invece di liberarsi dalla rete ripariamo ciò che ci sta tenendo imprigionati. Quante volte abbiamo perso tempo a riparare le cose che legano? Gesù chiede di lasciarle per cominciare un nuovo cammino, non da soli ma con la sua presenza.

È proprio l’amore di qualcuno che ti dà la forza di liberarti dalle reti; è proprio il sentir pronunciare il proprio nome in maniera diversa che può far nascere in noi la possibilità di cammini nuovi e di una nuova speranza. Gesù passa per questo. Oggi chiede a noi di essere pescatori di umanità e cioè esperti nell’arte di essere uomini e donne capaci di tirare fuori dal mare, dalle reti, coloro che non riescono a farlo! È una vita, questa, che cambia completamente le nostre giornate pur continuando a fare le stesse cose di ogni giorno. Non perdiamo questa occasione e lasciamoci tirare fuori da quello sguardo e da quella parola! Buona domenica!

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