Catechesi giubilare diocesana di padre Renato Colizzi sj
Nel suo pontificato Papa Francesco ci ha abituati da tempo ad accogliere i capovolgimenti di prospettiva. Nella esortazione Evangelii Gaudium, considerata ormai il manifesto programmatico di tutto il suo magistero, si nota chiaramente come sia stata adottata dal pontefice una prospettiva di cambiamento rispetto ad alcune posizioni che sembravano acquisite per sempre: si pensi alla chiamata universale alla santità, all’uguaglianza di dignità di tutti i battezzati e alla più volte sottolineata importanza della funzione dei laici alla missione della Chiesa. Nella stessa esortazione emerge chiaramente una ridefinizione del rapporto tra il sacerdozio ministeriale e quello comune dei fedeli.Il Sinodo appena concluso è poi, in ordine temporale, esso stesso tutta una miniera di riflessioni che confermano queste novità. In altri termini in Evangelii Gaudium, e poi nel Sinodo, si ripropone la tematica della ecclesiologia del popolo di Dio, che non è invenzione di Papa Francesco, ma uno dei frutti più preziosi del Concilio Vaticano II.
Parte da questo presupposto anche padre Renato Colizzi sj, direttore nazionale della Rete Mondiale di preghiera del Papa, che è stato ospite della Diocesi di Ischia nell’ultima settimana di gennaio per offrire il proprio contributo al percorso giubilare della Chiesa di Ischia.
Nella prima delle due catechesi (la seconda si svolgerà nel mese di marzo), tenuta in entrambe le chiese giubilari – Collegiata dello Spirito Santo e Basilica di santa Restituta – dal titolo “Risvegliare la speranza, dono dello Spirito Santo (GS 93). Una rilettura pastorale della Gaudium et Spes” – ha proposto una lettura di alcune parti della Gaudium et Spes, una delle quattro Costituzioni prodotte dal Concilio Vaticano II, indetto da Papa Giovanni XXIII nel 1962 e portato a termine dal Papa Paolo VI.
Con questo Concilio Papa Giovanni XXIII intendeva indicare alla Chiesa cattolica la necessità di ritenere chiusa l’era tridentina, per avviare una serie di innovazioni che avrebbero poi traghettato la Chiesa oltre l’immobilità delle forme nella quale ristagnava da troppo tempo. Era giunto il tempo di rivedere il rapporto tra Chiesa e il mondo e di riformare la sua coscienza missionaria.
Ma cosa muove Papa Giovanni XXIII a questa decisione? È esattamente quanto ci ha spiegato padre Colizzi. Per comprendere la posizione assunta dal Papa – ha spiegato – è necessario tornare indietro di circa un secolo. Nel 1864, pochi anni dopo la proclamazione del Regno d’Italia, Pio IX pubblicava un documento molto importante nella storia della Chiesa che si chiamava Sillabo. Esso conteneva una lista di 67 eresieche dovevano essere condannate. Siamo in un periodo in cui si stava consolidando il regno d’Italia, qualche anno dopo, nel 1870, ci sarebbe stato un vero atto di guerra contro lo Stato Pontificio con la Breccia di Porta Pia. Il Papa è di fatto preso prigioniero e la Chiesa in quel momento si concepiva assediata dai regni moderni, dagli stati anticattolici che sorgevano nell’Europa dell’’800, assediata non solo dal punto di vista militare, ma soprattutto da un punto di vista ideologico. Il Sillabo fu un modo per affermare la propria autorità e rivendicare la propria egemonia sulle coscienze dei cristiani, che dovevano essere difesi dai modernismi della società civile.
Era un atteggiamento che provocò, pur avendo intenzioni buone, una profonda frattura tra cattolici e società civile, essendo chiaro che nessun buon cristiano poteva sporcarsi le mani nella amministrazione dei beni terreni, né poteva avere voce propositiva in capitolo nella vita politica. Solo successivamente, con i Patti Lateranensi del 1929, si comprese che il cristiano era anche cittadino. Ma per la Chiesa era ancora tempo di combattere per la difesa dei regimi atei che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e l’affermarsi del regime sovietico, dilagavano nel vecchio continente.
In questo contesto storico si inserisce il futuro Papa Giovanni XXIII, che da Nunzio apostolico in Bulgaria – stato sottoposto al regime sovietico – ebbe modo di conoscere dall’interno alcune logiche politiche e di comprender in che modo la Chiesa potesse relazionarsi con il mondo esterno e la storia in modo più proficuo.
Quando indice il Concilio, Papa Giovanni aveva abbondantemente riflettuto, e all’apertura dei lavori, l’11 ottobre del 1962, legge un discorso che è tutt’oggi sorprendente per la sua attualità e rivela in controluce un pensiero, rivoluzionario per l’epoca, e programmatico per il magistero di Papa Francesco.
Padre Colizzi ci ha condotti all’interno del testo, che merita di essere riletto più e più volte, mostrandoci come la Chiesa, attraverso quel discorso con Papa Giovanni XXIII, e poi con tutto il Concilio, sotto la guida di Papa Paolo VI, si avviasse verso un cambiamento di visione di se stessa e verso un ribaltamento della sua posizione nella storia e nella relazione con la società civile.
In particolare, nel discorso di apertura il Papa non nega le difficoltà che la Chiesa stava affrontando a causa delle persecuzioni di cui era vittima in alcuni paesi – prova ne era l’assenza di tanti vescovi impossibilitati al partecipare all’assemblea conciliare – e non nega il pericolo di una deriva troppo modernista e secolarizzante; tuttavia egli afferma la necessità di un cambiamento di prospettiva, come in un “secondo Cenacolo – dice il Papa – gli apostoli possono e devono uscire per annunciare il Vangelo”.
Anche se la Chiesa non possiede più le ricchezze dello Stato Pontificio, è in grado di operare secondo la volontà di Cristo, così come dice Pietro al povero negli Atti degli Apostoli: “Non possiedo né oro, né argento, ma quello che ho te lo do”. Ma la Chiesa possiede l’oro più prezioso: la misericordia! Non può più schiacciare l’individuo sotto una selva di divieti e condanne, ma deve aiutare l’uomo a capire chi realmente egli sia nel mondo. Il Concilio – ha concluso padre Colizzi – con queste premesse non contraddice la dottrina e le verità fino ad allora acquisite, ma propone un cambio di visione, la stessa visione che oggi porta avanti con passione Papa Francesco in ogni suo pensiero, dunque un ritorno alle origini del Concilio, ma, come si vede bene anche in Evangelii Gaudium e nello stesso Sinodo, a quella Chiesa delle origini, fondata da Cristo oltre duemila anni fa.
