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Gioia nell’apparizione del Serafino

Il mercoledì è iniziato un nuovo ciclo di catechesi: Giubileo 2025, “Gesù Cristo nostra speranza”. Papa Francesco parla dell’annunciazione: «All’inizio del suo Vangelo, Luca mostra gli effetti della potenza trasformante della Parola di Dio che giunge non solo tra gli atrii del Tempio, ma anche nella povera abitazione di una giovane, Maria, che, promessa sposa di Giuseppe, vive ancora in famiglia. Dopo Gerusalemme, il messaggero dei grandi annunci divini, Gabriele, che nel suo nome celebra la forza di Dio, è inviato in un villaggio mai menzionato nella Bibbia ebraica: Nazaret. A quel tempo era un paesino della Galilea, alla periferia di Israele, zona di confine con i pagani e le loro contaminazioni. Proprio lì l’angelo reca un messaggio dalla forma e dal contenuto del tutto inauditi, tanto che il cuore di Maria ne viene scosso, turbato. Al posto del classico saluto “pace a te”, Gabriele si rivolge alla Vergine con l’invito “rallegrati!”, “gioisci!”, un appello caro alla storia sacra, perché i profeti lo usano quando annunciano la venuta del Messia (cfr Sof 3,14; Gl 2,21-23; Zc 9,9). È l’invito alla gioia che Dio rivolge al suo popolo quando finisce l’esilio e il Signore fa sentire la sua presenza viva e operante. … Maria accoglie il Verbo nella propria carne e si lancia così nella missione più grande che sia stata mai affidata a una donna, a una creatura umana».

Chi ha incarnato perfettamente il Cristo nella sua vita ascetica è stato San Francesco d’Assisi. Due anni prima della sua morte, sul Monte Verna, in un periodo di grande tribolazione interiore, il Poverello pregò il Signore così intensamente che gli apparve in forma di Serafino alato, con le stimmate della passione sul corpo piagato e glorioso allo stesso tempo. Dai fori delle mani e dei piedi, incluso il costato uscirono raggi di fuoco che colpirono allo stesso modo le sue membra, tanto da essere simile a Lui. Nella “Vita prima” di Tommaso da Celano questo episodio viene raccontato con molta semplicità ed enfasi, quasi come Luca racconta l’annunciazione nel suo Vangelo. “Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato «Verna», due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo.

A quell’apparizione il beato servo dell’Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell’acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato. Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso. … con ogni cura teneva nascosto il prodigio agli estranei, ma anche agli amici e ai confratelli, tanto che non ne seppero nulla per lungo tempo perfino i suoi seguaci più intimi e devoti.

Questo fedelissimo discepolo del Signore, pur vedendosi ornato con tali meravigliosi segni, quasi perle preziosissime del Cielo e coperto di gloria e onore più d’ogni altro uomo, non se ne gonfiò mai in cuor suo, né mai cercò di vantarsene con alcuno per desiderio di gloria vana, al contrario, temendo sempre che la stima degli uomini gli potesse rubare la grazia divina, si industriava il più possibile di tenerla celata agli occhi di tutti (FF 484). Papa Francesco conclude: «Sorelle, fratelli, impariamo da Maria, Madre del Salvatore e Madre nostra, a lasciarci aprire l’orecchio dalla divina Parola e ad accoglierla e custodirla, perché trasformi i nostri cuori in tabernacoli della sua presenza, in case ospitali dove accrescere la speranza. Grazie!».

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