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L’Intelligenza Artificiale è assetata di conoscenza

Il paradosso dell’IA: la tecnologia diventa sempre più veloce, ma presto potrebbe essere a corto di informazioni.

È quasi un anno ormai che vi aggiorno su queste pagine, dei progressi e delle sfide che presenta il mondo dell’intelligenza artificiale.

Sebbene un anno possa sembrare poco tempo, nell’era informatica un anno può rappresentare davvero un lasso di tempo lungo. Nel caso dell’intelligenza artificiale soli dodici mesi sono bastati per letteralmente assorbire l’intero patrimonio di conoscenze umane disponibili online, giungendo a un punto di svolta critico.

Dallo scandalo Cambridge Analytica del 2018 (scandalo connesso alla gestione dei dati, da parte di una società di consulenza britannica, per influenzare le campagne elettorali), è chiaro che i dati sono diventati il nuovo petrolio. Tuttavia, questa abbondanza di informazioni ha solo avviato l’industria dell’IA, che in un anno ha esaurito il suo carburante primario. I provider, però, necessitano ancora di una grande quantità di dati per migliorare ulteriormente le prestazioni e l’efficienza dei loro sistemi.

Infatti, a differenza degli esseri umani che possono imparare concetti complessi da pochi esempi, le attuali IA hanno bisogno di tantissimi dati per comprendere nozioni e situazioni. Facendo un esempio: per un umano applicare una nozione in svariate circostanze è più semplice grazie alla propria esperienza, mentre per un algoritmo è necessario avere circostanze ben precise per ogni applicazione della nozione.

La guerra dei dati

È stata chiamata “Web Scraping War” ossia la guerra del raschiamento del web, la manovra adottata dalle compagnie di IA per rastrellare ogni singolo dato presente sul web, esponendo le stesse anche a contenziosi e contestazioni da parte delle autorità, specie in Europa. OpenAI ha ammesso pubblicamente che il funzionamento di ChatGPT è dovuto in gran parte a materiale presente nel web coperto da copyright.

Uno studio del 2022 condotto dalla Cornell University di New York, affermava che l’esaurimento dei dati di addestramento sarebbe stato previsto per il 2026, ma l’accelerazione nel campo dell’IA e l’aumento delle prestazioni di calcolo delle macchine, ha fatto sì che questo limite sia stato già raggiunto.

Quale soluzione?

Le soluzioni proposte sono tutte ancora sperimentali. Si sta valutando l’utilizzo di dati sintetici, ovvero informazioni generate dalle stesse intelligenze artificiali, con il rischio però di innescare un circolo vizioso che potrebbe compromettere la qualità degli algoritmi, elevando esponenzialmente l’effetto delle “allucinazioni”.

Un’altra strada percorribile potrebbe essere quella di utilizzare dati non pubblici come quelli dei social media, ma questa pratica necessita di complesse negoziazioni per l’ottenimento di licenze e consensi dai titolari dei diritti.

Conclusione

Se nel giro di un anno tutto lo scibile umano è stato già dato in pasto all’IA, quanto tempo ancora prima che i nostri dati personali vengano “fagocitati” da questi voraci cervelli elettronici? E quali conseguenze avrà questa corsa all’accumulazione indiscriminata di informazioni?

La cosa che desta più preoccupazione è che potremmo essere proprio noi stessi a fornire i dati alle IA involontariamente. Magari passando proprio dalle mani di qualche funzionario in qualche piccola amministrazione pubblica, che usa ChatGPT per rispondere ai cittadini, inviando informazioni sensibili.

Sebbene sia favorevole all’utilizzo di questa tecnologia nell’uso quotidiano, questa particolare evoluzione sta procedendo a ritmi forsennati, lasciando poco spazio alla riflessione etica e giuridica da parte dei principali attori.

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