Il Papa utilizza delle simpatiche ed efficaci metafore culinarie nella sua enciclica Dilexit nos, il documento sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo. Non è la prima volta: in occasione dell’Angelus del 4 giugno 2023 ha raccontato che possiamo pensare a Dio come una famiglia riunita a tavola, ha dedicato tanto spazio nelle sue catechesi al valore della convivialità in famiglia, con l’invito a spegnere i telefonini per favorire il dialogo a tavola; spiegando il vizio della gola e la virtù della temperanza ha utilizzato l’aforisma “Dimmi come mangi e ti dirò che anima possiedi”; ha citato il film “Il Pranzo di Babette” nel documento sull’amore nella famiglia Amoris laetititia e ho perso il conto delle volte che ha fatto riferimento a quel film nelle sue catechesi (è decisamente il suo cult movie).
Nell’enciclica Dilexit nos stupisce il lettore fin dall’inizio con queste parole profonde, quasi commoventi: «Nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore. Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che, malgrado il passare degli anni, continua a succedere in ogni angolo del pianeta. Penso all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne. È quel momento di apprendistato culinario, a metà strada tra il gioco e l’età adulta, in cui si assume la responsabilità del lavoro per aiutare l’altro.» Possono sembrare dettagli, ma sono piccoli gesti ordinari che diventano straordinari quando «si appoggiano sulla tenerezza che si conserva nei ricordi del cuore.» Il Papa ci ricorda ancora una volta che il cibo è sempre relazione, legame sociale, scambio di affetti, di parole, di esperienze, tradizioni, saperi, non solo sapori, e attraverso questa metafora ci conduce a cogliere il significato del cuore, dell’amore, di quel legame autentico che mai potrà essere realizzato dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale.
A queste parole Salvatore Turturo, presidente dell’Unione Cuochi Regione Puglia e dell’Associazione Cuochi Baresi, ha esultato, facendosi portavoce dell’entusiasmo di tutti i suoi colleghi: «Siamo orgogliosi e felici. Sapere che il Papa conosce i panzerotti e addirittura li citi nella sua ultima enciclica, ci rende fieri» e auspicando di essere ricevuti in udienza pensa già ad un panzerotto fatto apposta per l’occasione: «Per il Papa preparerei un panzerotto ripieno di stracciatella e pomodorini gialli, così si riprendono anche i colori della bandiera vaticana».
Ma non finiscono qui i riferimenti culinari: nel documento si parla anche delle frittelle di carnevale: «Come metafora, permettetemi di ricordare una cosa che ho già raccontato in un’altra occasione [ndr: un’omelia a Santa Marta]: per carnevale, quando eravamo bambini, la nonna ci faceva delle frittelle, ed era una pasta molto sottile quella che faceva. Poi la buttava nell’olio e quella pasta si gonfiava, si gonfiava… E quando noi incominciavamo a mangiarla, era vuota. Quelle frittelle in dialetto si chiamavano “bugie”. Ed era proprio la nonna che ci spiegava il motivo: “Queste frittelle sono come le bugie, sembrano grandi, ma non hanno niente dentro, non c’è niente di vero, non c’è niente di sostanza”». Attraverso questa immagine, il Papa ci vuole mettere in guardia dal tentativo di coprire la verità delle persone, delle cose: «La mera apparenza, la dissimulazione e l’inganno danneggiano e pervertono il cuore. Invece di cercare soddisfazioni superficiali e di recitare una parte davanti agli altri, la cosa migliore è lasciar emergere domande che contano: chi sono veramente, che cosa cerco, che senso voglio che abbiano la mia vita, le mie scelte o le mie azioni, perché e per quale scopo sono in questo mondo, come valuterò la mia esistenza quando arriverà alla fine, che significato vorrei che avesse tutto ciò che vivo, chi voglio essere davanti agli altri, chi sono davanti a Dio. Queste domande mi portano al mio cuore.»
Cucinare è sempre un’attività educativa e formativa perché mentre si lavora ai fornelli si possono fare delle riflessioni molto interessanti da un punto di vista antropologico e teologico, cogliendo verità che ci aiutano ad andare al cuore delle cose, come dimostra il Papa in questi passi della sua ultima enciclica. Anche una suora messicana del XVII secolo, suor Juana Inès de la Cruz, di grande fama come scrittrice, poetessa, intellettuale raffinata, utilizzava spesso immagini culinarie nei suoi scritti, come metafora del pensiero filosofico. Per lei il lavoro in cucina era propedeutico alla scoperta dei segreti dell’universo, stando tra le pentole aveva belle intuizioni. Ecco cosa scriveva ad una sua consorella: «E che cosa non potrei raccontarvi, Signora, dei segreti naturali che ho scoperto mentre cucinavo? Aveva ragione Lupercio Leonardo, secondo cui si può benissimo filosofare e preparare la cena. E io dico spesso pensando a tali bagatelle: se Aristotele avesse cucinato, avrebbe scritto molto di più.»
di Susanna Manzin – Pane & Focolare