Incontro per collaboratori pastorali con il dott. Andrew Spiteri, facilitatore ai tavoli sinodali nelle Assemblee sinodali di Roma
No, il Sinodo non è finito, anzi, il Sinodo è appena iniziato. Potremmo sintetizzare in questo modo quanto ci ha detto, lunedì 20 gennaio scorso presso la Sala Giovanni Paolo II in Episcopio, Andrew Spiteri, facilitatore nei gruppi di lavoro delle assemblee sinodali che si sono tenute a Roma nella fase conclusiva del Sinodo. Spiteri è un vero esperto nel settore, la sua presenza a Ischia è stata una preziosa opportunità per tutti gli operatori pastorali invitati, ma anche per tutti coloro che hanno a cuore la Chiesa e che hanno potuto partecipare, grazie anche alla lungimiranza del Vescovo Carlo, che, con spirito sinodale e di comunione, ha voluto – come già avvenuto in altre occasioni – estendere anche ai laici impegnati nelle diverse realtà pastorali della Diocesi gli incontri formativi che normalmente sono destinati ai presbiteri.
Spiteri ci ha sintetizzato, con linguaggio semplice e preciso lo spirito e le motivazioni che sono state alle base del quadriennio di lavori che il Papa ha voluto dedicare al Sinodo, lo ha fatto per ricordarci che questo Sinodo è stato un evento unico e senza precedenti nella storia della Chiesa, innovativo al punto che non si è concluso, ma intende aprire una nuova modalità ecclesiale e pastorale, dove la metodologia sinodale si incarna nella vita quotidiana di ogni comunità e di ogni cristiano.
Per questo ha aperto l’incontro chiedendo ai presenti: “Cosa ha a che fare il Sinodo sulla sinodalità 2021/24 con gli operatori pastorali e con la propria comunità ecclesiale?”.
Su questa domanda Spiteri ha innestato una serie di riflessioni, anche di carattere storico, sul significato e sul valore del Sinodo per la Chiesa e per il popolo di Dio.
Prima del Sinodo del 2021/24 i Sinodi – che hanno cadenza periodica sin da quando la Chiesa è nata – si svolgevano con una modalità molti diversa. La scena tipica, come nelle foto, vedeva i cardinali in prima fila, seguiti dai vescovi e poi dai religiosi, tutti disposti ad emiciclo intorno al Papa che dirigeva i lavori.
Inoltre, fino al 2021 i sinodi si svolgevano intorno ad una tematica, scelta dal Papa. Invece, Papa Francesco ha scelto come tema, per l’ultimo sinodo, la sinodalità stessa, cioè, ha trasformato il sinodo in palestra per allenare il popolo di Dio a essere in comunione, a imparare a essere sinodale. Non si è trattato di uno studio su un argomento, come di solito: il Sinodo andava “vissuto” e per questo il Papa ha rivoluzionato anche la modalità della relazione tra i partecipanti, tradotta praticamente nei tavoli sinodali di lavoro.
Come si vede dalle foto, si tratta di gruppi piccoli, gestiti da un facilitatore (tra loro anche Spiteri), nei quali compaiono – altra grande novità – rappresentanti di altre confessioni, laici, donne. Si capisce bene che la famosa gerarchia ecclesiastica è sparita, la discussione è facilitata, la possibilità di esprimersi è aperta a tutti.
Su queste osservazioni, che in parte erano già note, ma che abbiamo potuto ascoltare dalla testimonianza viva di un facilitatore, Spiteri ha inserito il messaggio che egli voleva rimanesse a chi lo stava ascoltando: lo Spirito, il metodo, l’atteggiamento che ha animato quei tavoli, che ha prodotto documenti immediatamente accettati dal Papa come voce del popolo di Dio e voce di Dio, deve entrare nelle nostre pratiche quotidiane, dei presbiteri senza dubbio, ma anche di tutti gli operatori pastorali; non basta, deve essere operativo in ogni cristiano ogni giorno. È questa la risposta alla domanda che Spiteri aveva posto all’inizio dell’incontro, è questo che resta ed è ciò che dobbiamo adottare.
Ci aiuta lo Spirito Santo, senza dubbio, ma noi non possiamo restare passivi ad attenderlo. È necessario allenarci nello spirito sinodale anche noi nel quotidiano, entrando in relazione con il nostro prossimo, con gli altri, con atteggiamento generativo. La nostra missione non deve essere una crociata di convincimento condotta a tutti i costi:
«È un ritorno alle radici, capiamo che la nostra missione è essenzialmente testimonianza di noi insieme, con i nostri difetti e i nostri limiti, comprendendo le diversità, ascoltando l’altro con attenzione».
La Chiesa – ha precisato Spiteri – non è una azienda che deve produrre, è una assemblea, è famiglia di Dio e in essa Dio deve essere presente, al di là dell’operato concreto, delle azioni concrete. Nel rapporto con gli altri non si può avere un atteggiamento utilitaristico, non si può essere gentili e amare solo per guadagnarsi un posto in paradiso, è necessario ipotizzare qualcosa di diverso:
«E se l’amore per il prossimo non fosse solo un servizio dato per amore di Dio, ma il luogo stesso dove Dio si rende presente e si lascia contemplare? Anche con quelli che non sopportiamo?».
Il Sinodo ci ha insegnato l’ascolto aperto e vulnerabile, intenzionale, non superficiale, un empatizzare profondo che non è sempre facile, una “conversazione nello Spirito”, che mette a dura prova la nostra pazienza:
«Questo corrisponde a un atteggiamento di ascolto aperto e vulnerabile, permettiamo allo Spirito di muoversi e di farci cambiare, portandoci a decisioni concrete. Bisogna essere veritieri e reali, non parlare solamente, agire diversamente e poi compensare con un po’ d’amore, no! Bisogna mettersi in croce!». La conversazione nello Spirito – ha concluso Spiteri – è fare esperienza di Dio in mezzo a noi e questo va applicato in ogni occasione, nel consiglio pastorale, tra laici e presbiteri, vescovi e tutto il popolo di Dio. Questo è l’oggi della Chiesa!











