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La speranza è Dio, non è solo un sentimento

L’augurio del cardinale vicario Reina all’inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025 dell’Istituto superiore di scienze religiose Ecclesia Mater

Un augurio all’Ecclesia Mater, “che è un istituto al quale teniamo molto”, affinché “possa rendere un servizio alla verità all’altezza della vocazione che è chiamata a osservare, ad avere, all’interno della diocesi di Roma sia per gli studenti che per i docenti”. Lo ha espresso il cardinale vicario del Papa per la diocesi di Roma, Baldassarre Reina, intervenuto il 13 gennaio all’inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025 dell’Istituto superiore di scienze religiose.

Uno strumento prezioso

L’argomento scelto per l’evento, svoltosi nella sede della Pontificia Università Lateranense, è stato “La speranza non delude”, in linea anche con quello dell’Anno Santo appena aperto. “Il tema del Giubileo, Pellegrini di Speranza – ha spiegato il cardinale vicario ai media vaticani – è un tema che a mio avviso merita di essere approfondito perché la speranza non può essere decifrata come un semplice sentimento, ‘speriamo che tutto vada bene’. La speranza ha bisogno di essere sostanziata, è Dio la nostra speranza. Allora un istituto superiore di scienze religiose che offre la possibilità ai propri studenti di approfondire le verità rivelate, certamente si offre come uno strumento prezioso perché bisogna portare in profondità il ragionamento su Dio”. Questo polo educativo si propone così di supportare “coloro che davvero oggi si affacciano al tema della verità, dell’annuncio della verità a un livello molto alto”.

Un’identità aperta al dialogo

L’istituto, sorto per provvedere alla formazione teologica culturale e pastorale dei fedeli laici attivi nella catechesi, nell’animazione dei gruppi ecclesiali e nell’insegnamento della Religione cattolica, ha dunque voluto inaugurare l’anno accademico con uno sguardo di fiducia verso Dio e verso il domani. “Per noi – ha dichiarato la preside dell’Ecclesia Mater, Claudia Caneva – era importante mettere l’accento sulla speranza, che non è appunto un depotenziamento della realtà, ma è una palpitazione interiore, è un fermento attivo che ci proietta verso il futuro”. A questo proposito la docente ha citato le parole del filosofo Ernst Bloch: “La speranza è un atto orientativo di specie cognitiva”. “Potrebbe sembrare una frase un po’ complicata – ha spiegato – però ce la dice tutta sul fatto che è orientamento verso un futuro, ma che ha delle basi di memoria e quindi è quel nostro “già e non ancora”, che noi portiamo avanti. Su questo si vorrebbe radicare appunto il nostro percorso accademico di quest’anno, su questa identità, che non è esclusivismo ma è un’identità aperta, aperta al riconoscere l’altro come appunto parte di noi e l’importanza del dialogo con gli altri, ma anche con le altre discipline, quindi l’interdisciplinarietà che diventa fondamentale in un contesto così complesso come quello attuale”.

La musica che unisce

All’evento ha portato i propri saluti il decano della facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, Angelo Lameri, che ha sottolineato il legame tra le diverse istituzioni pontificie, per sostenere una “circolarità ermeneutica tra filosofia, teologia, scienza dell’educazione e arte, in relazione all’elaborazione di una sintesi culturale che favorisca una presenza significativa del credente nella realtà di oggi”. Una presenza che sappia portare la luce di Cristo, secondo il proprio carisma, così come dimostrato dall’istituto Magnificat, scuola di musica della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, presente all’evento di Roma. Gli interventi accademici sono stati, infatti, intermezzati da brani eseguiti da un ensemble di quattro musicisti della scuola (Lucia d’Anna, Tamar Elaiyan, Johnny Jallouf, Luca Franzetti). “Il Magnificat – ha spiegato fra Alberto Joan Pari, direttore dell’Istituto, a capo anche dell’ensemble – è nato da un po’ di disillusione 30 anni fa, perché un francescano è arrivato in Terra Santa, a Gerusalemme, si è accorto che non c’era musica e non c’era bellezza e quindi la sua speranza era che nascesse qualcosa. A 30 anni di distanza adesso è un albero che comincia a dare i frutti: lui ha piantato e adesso noi stiamo cominciando a raccogliere”. La scuola raccoglie, infatti, più di 220 studenti, a maggioranza cristiani di tutte le confessioni, oltre a un buon numero di musulmani e alcuni ebrei. Tra gli insegnanti, invece, la maggioranza sono ebrei israeliani, una musulmana e alcuni cristiani. “La speranza – ha continuato Pari – è quella di dare al mondo, soprattutto e alla città e alla Terra Santa, l’idea che qualcosa di bello è possibile. Noi creiamo generazioni future che speriamo siano i cittadini di Gerusalemme della Terra Santa, capaci di vivere e creare qualcosa di bello insieme”.

Uomini in cammino

Nella sua prolusione, il decano della Pontificia Università Lateranense, monsignor Alfonso Amarante, ha approfondito il tema della speranza, a partire dalla parola stessa, colma di profondità semantica. “Ha a che fare – ha detto – secondo la prospettiva tipica della fenomenologia antropologica, con la destinazione stessa dell’essere dell’uomo in viaggio, che nasce per avere un compimento e un approdo del suo andare. Se mancasse il senso direzionale e il presagio dell’approdo, il viaggio dell’esistenza di ciascuno di noi resterebbe, potrei dire, mutilato. Allora ecco giustificato il titolo Pellegrini di Speranza: siamo uomini in cammino, ma per essere in cammino abbiamo bisogno di guardare fissi verso una meta”.

Costruire resurrezione

Tra i musicisti dell’ensemble anche Luca Franzetti, violoncellista, che ha suonato uno strumento costruito con il legno delle barche abbandonate dai migranti dopo la traversata del mar Mediterraneo, spesso mortale. Un’idea della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, che ha a che fare con la resurrezione: resurrezione del legno della barca, dei carcerati che lo lavorano, così che “da strumento di morte quasi come la barca di Caronte – ha spiegato Franzetti – possa diventare testimonianza per cercare di tenere ancora vive le persone che sono rimaste in fondo al mare”. La musica ancora una volta diventa, così, un segno di speranza.

di Beatrice Guarrera – Vatican News

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