Commento al vangelo Gv 2,1-11
“Nozze senza vino” è un’immagine forte che richiama quella delle relazioni che non hanno più l’entusiasmo e la gioia iniziale. È il rischio in cui possono cadere tutte le relazioni, da quelle amicali a quelle sigillate dal sacramento del matrimonio: relazioni che vengono annacquate. Il brano di questa domenica ci aiuta a non perdere la gioia delle relazioni. Innanzitutto, vorrei sottolineare come la notizia del Natale che abbiamo vissuto si incarni proprio nelle relazioni: esse sono il volto, la carne che Dio si è scelto per manifestarsi. Il bene tra due amici, l’amore tra due fidanzati o tra due sposi, i rapporti lavorativi o di studentato sono il luogo in cui si manifesta la presenza del Signore.
Pensate quante relazioni ci sono in questo brano del Vangelo: due persone che festeggiano le proprie nozze, gli invitati presenti che hanno qualcosa che li lega agli sposi, i discepoli che hanno una relazione con Gesù, Maria e Gesù che incarnano le relazioni parentali, i servi che hanno un tipo di relazione diversa con Gesù, con Maria, con colui che dirige il banchetto e con gli sposi, e così via potremmo vedere tutte le altre relazioni di cui è composto questo brano. Insomma, questo testo è un’esplosione di relazioni! Tutte sono rappresentate dalle “sei anfore di pietra”. Nella Bibbia il numero sei è il numero dell’imperfezione, è mancante di “uno” per giungere al numero sette che indica la pienezza. Le relazioni possono essere sempre così: mancanti di “uno”.
Molte di esse sono unilaterali, alcune sono dirette da una persona senza che si lasci spazio per l’altra, altre ancora si classificano come relazioni vuote come quelle giare di pietra e, infine, altre sono di pietra, cioè senza frutto. Maria nel Vangelo si accorge di questa situazione e pronuncia l’unica parola di tutto il Quarto Vangelo: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. È bellissima la figura di Maria in questo Vangelo perché lei ci consegna una chiave di lettura tra noi e lei: tutti ci cercano per quello che abbiamo, ma chi ti vuole davvero bene non tiene conto di ciò che hai, ma di ciò che ti manca. L’amore vero è prendere a cuore la mancanza dell’altro, perché in quella mancanza si gioca il meglio e il peggio della vita. Sono infatti le nostre mancanze la causa prima dei nostri peccati, ma sono altresì proprio le mancanze i punti di svolta dei grandi santi. Maria ci ama così.
Solo Gesù ha la capacità di trasformare i nostri vuoti, le nostre mancanze in punti di svolta. Infatti: qual è il segno che Gesù compie? Non è riempire un vuoto, ma prendere ciò che c’è e trasformarlo! Ritrovare il vino che manca non serve a riempire un vuoto, ma a cambiarne la sostanza. Gesù non crea il vino dal nulla, ma cambia l’acqua in vino, cioè, prende ciò che c’è e, a partire da questo, opera un cambiamento radicale. Quello che fino a ieri ti faceva peccare può cominciare ad essere il punto di forza della tua santità. Assurdo! Ma questo è il miracolo: il Signore è l’unico che può prendere sul serio la mia mancanza e trasformarla in santificazione. Da cosa ce ne accorgiamo? Dal fatto che cominciamo a sentire un’inspiegabile letizia che non trova altra ragione se non nella Grazia di Dio, in quello che Gesù ci ha fatto vedere, la tenerezza, la bontà e l’amore immenso che egli ha per noi (San Paolo ci ricordava domenica scorsa che è apparsa la grazia di Dio).
Come può avvenire questo? E qui dobbiamo imparare la relazione che i servi vivono in questo Vangelo. Essi eseguono un’indicazione, fanno l’operazione che Gesù chiede loro, fidandosi, senza fare obiezioni. Gesù non fa un miracolo, non impone le mani su quell’acqua, non pronuncia nessuna formula in aramaico, ma chiede a me, a quei servi e a noi di fare il possibile: quello che possiamo fare è riempire di acqua le giare. I servi, quando cominciavano a vedere che il vino scarseggiava, iniziavano ad allungarlo con l’acqua. Quale era il possibile di quei servi? Arrivare ad avere in quelle giare solo acqua. Gesù ci chiede di fare questo: fare il nostro possibile e fidarci. Mettere tutto ciò che ci è possibile fino all’orlo è quello che lui ci chiede. Il resto lo vedremo grazie a lui!
Quell’inutilità, quella imperfezione vedrai come sarà riempita di gioia e di senso. Il vino buono è questo, non quello iniziale. L’augurio che vi faccio in questa domenica è di essere un po’ come i servi, cioè di riempire fino all’orlo, anche quando non capiamo quello che ci dice il Signore; vi auguro di fare un po’ come il maestro di tavola, l’organizzatore del banchetto, il sommelier diremo noi oggi, i quali avendo assaggiato quel vino nuovo, quel vino inatteso, si mette a fare i complimenti al padrone di casa, lo sposo; ecco facciamo anche noi i complimenti a te, Signore, perché hai tenuto il vino buono fino ad adesso e ciò che sarà nella nostra vita in questo anno ancora non lo sappiamo, perché Tu trasformi qualunque acqua, qualunque piccolo movimento, qualunque piccola cosa, nel vino abbondante della tua presenza!
Buona domenica a tutti!
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Commento al vangelo Gv 2,1-11
“Nozze senza vino” è un’immagine forte che richiama quella delle relazioni che non hanno più l’entusiasmo e la gioia iniziale. È il rischio in cui possono cadere tutte le relazioni, da quelle amicali a quelle sigillate dal sacramento del matrimonio: relazioni che vengono annacquate. Il brano di questa domenica ci aiuta a non perdere la gioia delle relazioni. Innanzitutto, vorrei sottolineare come la notizia del Natale che abbiamo vissuto si incarni proprio nelle relazioni: esse sono il volto, la carne che Dio si è scelto per manifestarsi. Il bene tra due amici, l’amore tra due fidanzati o tra due sposi, i rapporti lavorativi o di studentato sono il luogo in cui si manifesta la presenza del Signore.
Pensate quante relazioni ci sono in questo brano del Vangelo: due persone che festeggiano le proprie nozze, gli invitati presenti che hanno qualcosa che li lega agli sposi, i discepoli che hanno una relazione con Gesù, Maria e Gesù che incarnano le relazioni parentali, i servi che hanno un tipo di relazione diversa con Gesù, con Maria, con colui che dirige il banchetto e con gli sposi, e così via potremmo vedere tutte le altre relazioni di cui è composto questo brano. Insomma, questo testo è un’esplosione di relazioni! Tutte sono rappresentate dalle “sei anfore di pietra”. Nella Bibbia il numero sei è il numero dell’imperfezione, è mancante di “uno” per giungere al numero sette che indica la pienezza. Le relazioni possono essere sempre così: mancanti di “uno”.
Molte di esse sono unilaterali, alcune sono dirette da una persona senza che si lasci spazio per l’altra, altre ancora si classificano come relazioni vuote come quelle giare di pietra e, infine, altre sono di pietra, cioè senza frutto. Maria nel Vangelo si accorge di questa situazione e pronuncia l’unica parola di tutto il Quarto Vangelo: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. È bellissima la figura di Maria in questo Vangelo perché lei ci consegna una chiave di lettura tra noi e lei: tutti ci cercano per quello che abbiamo, ma chi ti vuole davvero bene non tiene conto di ciò che hai, ma di ciò che ti manca. L’amore vero è prendere a cuore la mancanza dell’altro, perché in quella mancanza si gioca il meglio e il peggio della vita. Sono infatti le nostre mancanze la causa prima dei nostri peccati, ma sono altresì proprio le mancanze i punti di svolta dei grandi santi. Maria ci ama così.
Solo Gesù ha la capacità di trasformare i nostri vuoti, le nostre mancanze in punti di svolta. Infatti: qual è il segno che Gesù compie? Non è riempire un vuoto, ma prendere ciò che c’è e trasformarlo! Ritrovare il vino che manca non serve a riempire un vuoto, ma a cambiarne la sostanza. Gesù non crea il vino dal nulla, ma cambia l’acqua in vino, cioè, prende ciò che c’è e, a partire da questo, opera un cambiamento radicale. Quello che fino a ieri ti faceva peccare può cominciare ad essere il punto di forza della tua santità. Assurdo! Ma questo è il miracolo: il Signore è l’unico che può prendere sul serio la mia mancanza e trasformarla in santificazione. Da cosa ce ne accorgiamo? Dal fatto che cominciamo a sentire un’inspiegabile letizia che non trova altra ragione se non nella Grazia di Dio, in quello che Gesù ci ha fatto vedere, la tenerezza, la bontà e l’amore immenso che egli ha per noi (San Paolo ci ricordava domenica scorsa che è apparsa la grazia di Dio).
Come può avvenire questo? E qui dobbiamo imparare la relazione che i servi vivono in questo Vangelo. Essi eseguono un’indicazione, fanno l’operazione che Gesù chiede loro, fidandosi, senza fare obiezioni. Gesù non fa un miracolo, non impone le mani su quell’acqua, non pronuncia nessuna formula in aramaico, ma chiede a me, a quei servi e a noi di fare il possibile: quello che possiamo fare è riempire di acqua le giare. I servi, quando cominciavano a vedere che il vino scarseggiava, iniziavano ad allungarlo con l’acqua. Quale era il possibile di quei servi? Arrivare ad avere in quelle giare solo acqua. Gesù ci chiede di fare questo: fare il nostro possibile e fidarci. Mettere tutto ciò che ci è possibile fino all’orlo è quello che lui ci chiede. Il resto lo vedremo grazie a lui!
Quell’inutilità, quella imperfezione vedrai come sarà riempita di gioia e di senso. Il vino buono è questo, non quello iniziale. L’augurio che vi faccio in questa domenica è di essere un po’ come i servi, cioè di riempire fino all’orlo, anche quando non capiamo quello che ci dice il Signore; vi auguro di fare un po’ come il maestro di tavola, l’organizzatore del banchetto, il sommelier diremo noi oggi, i quali avendo assaggiato quel vino nuovo, quel vino inatteso, si mette a fare i complimenti al padrone di casa, lo sposo; ecco facciamo anche noi i complimenti a te, Signore, perché hai tenuto il vino buono fino ad adesso e ciò che sarà nella nostra vita in questo anno ancora non lo sappiamo, perché Tu trasformi qualunque acqua, qualunque piccolo movimento, qualunque piccola cosa, nel vino abbondante della tua presenza!
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Don Cristian Solmonese
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