Secondo incontro di formazione diocesano con il Prof. Franco Magnani, professore di Liturgia pastorale
Prosegue il percorso formativo diocesano sulla Liturgia, di norma diretto ai presbiteri, che però il Vescovo Carlo, sull’onda di quanto emerso dal Sinodo appena concluso, ha voluto estendere a tutti gli operatori pastorali e ai laici impegnati nelle diverse realtà parrocchiali della Diocesi di Ischia.
Nello scorso incontro il prof. Magnani ci ha rivelato la meraviglia della Liturgia che, lungi dall’essere un rituale fine a se stesso o buono solo a produrre accattivanti spettacoli di stampo clericale, diventa per ogni cristiano – se correttamente messa in atto durante le celebrazioni – occasione per prepararsi alla relazione con il Signore, sprone della fede, strumento di evangelizzazione, fonte dalla quale la Chiesa trae energia per la sua sussistenza. “Da come celebriamo si evince l’idea che abbiamo della Chiesa”, ha esordito il Vescovo Carlo nell’introduzione all’intervento del prof. Magnani, ripreso da quest’ultimo con il motto “Dimmi come celebri e ti dirò chi sei!”.
Sullo sfondo di queste importanti affermazioni si intravede senza dubbio quanto espresso dalla Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium, ma soprattutto quanto di recente espresso da Papa Francesco nella Lettera Apostolica Desiderio desideravi sulla formazione liturgica.
Nel corso del secondo incontro, che si è svolto il 2 dicembre scorso presso la Sala San Giovanni Paolo II in Episcopio, il prof. Magnani è entrato nei dettagli della ‘questione liturgica’, mettendo un punto fermo anche rispetto a quanto negli ultimi anni è stato detto e fatto intorno alla conoscenza delle Sacre Scritture e alla modalità di partecipazione alle celebrazioni. È ancora il Papa a illuminare la scena con le sue parole, ci ha detto Magnani. Nella Lettera Apostolica sulla Liturgia egli infatti ci dice che i discorsi e le concettualizzazioni non sono così importanti, non si può pretendere di conoscere Dio e i suoi piani come se fossero materia scientifica su cui riflettere e teorizzare. Occorre invece “farsi piccoli” e partecipare con il cuore più che con la mente. Non possiamo non riconoscere in queste osservazioni le parole di Gesù che nel Vangelo ci ricorda che è necessario “farsi bambini” e convertirsi per entrare nel Regno. Questo atteggiamento, questa predisposizione, è la stessa che deve avere il cristiano anche quando si celebra:
«Voglio parafrasare e dico: se non vi convertirete alla Liturgia non varcherete mai la soglia. “Chi potrà varcare, Signore, la tua soglia?” recita il Salmo 14, che è come dire “chi potrà entrare nel tempio?”. Solo chi si fa piccolo e vive secondo la logica dell’Alleanza. Bisogna vivere lo spirito dell’Alleanza e accettare il santo gioco della Liturgia».
Il gioco della Liturgia, cioè le sue ripetizioni, le sue regole, come fanno i bambini, ma davanti a Dio, con l’unico scopo di stare davanti a Lui.
«La Liturgia va dunque rispettata, è come giocare davanti a Dio, con l’unico scopo di stare davanti a Lui, con Lui. La liturgia realizza il fine di essere con il Signore».
La Liturgia ha dunque questo straordinario scopo, essa è trasformativa del nostro modo di pensare Non serve ad arricchire la nostra conoscenza di Dio, non è una lezione di teologia, ma una sorgente di vita per il nostro cammino di fede. Pertanto essa va recepita e vissuta lasciandosi andare alla sua azione coinvolgente e inclusiva. Tutti – ha sottolineato Magnani – siamo chiamati a partecipare, senza avere l’ossessione di spiegare tutto:
«Tutti siamo chiamati alla celebrazione! tutti, non solo quelli che frequentano sempre la parrocchia, anzi, soprattutto coloro che frequentano poco, vanno accolti! La Liturgia è più misericordiosa e meno presuntuosa di voi! Tutti siamo coinvolti nell’azione liturgica che si svolge intorno ai due poli che sono la Parola e l’Eucarestia».
L’ars celebrandi – ha continuato – deve essere in grado di custodire e valorizzare la valenza estetica, sensibile della Liturgia, la capacità, cioè, di coinvolgere tutti i sensi, attraverso gesti, azioni, parole, canto, ma anche silenzi, luoghi e tempi. Tutto nella Liturgia ha questa funzione fondamentale e tutti grazie a questa funzione possono partecipare, anche senza capire tutto. Si tratta di una bellezza che però, come già accennato, non è fine a se stessa, se lo fosse saremmo di fronte a vuoto ritualismo o, ancora peggio, a forme di esibizionismo pretocentriche che nulla hanno a che fare con la fede. La Liturgia conduce a Dio, anzi, è essa stessa corpo di Cristo che agisce:
«Non bisogna pensare la Liturgia come un momento in cui esprimiamo concetti di fede, ma in cui la fede si realizza mediante il corpo: è il corpo di Cristo che agisce, la Chiesa non è altro che il corpo di Cristo».
Il prete che celebra deve affinare la sua arte del presiedere, perché a celebrare è tutta l’assemblea, egli perciò deve evitare di attirare su di sé l’attenzione e deve fare in modo che tutta l’azione liturgica, espressa sul piano orizzontale dai singoli momenti (la ritualità di gesti, parole, tempi, posizioni nello spazio, canto) faccia tendere l’assemblea lungo la verticale che si rivolge e arriva a Dio. Con la sua azione la Liturgia ordina il visibile in riti ripetitivi e regolati per orientarli verso l’invisibile, verso il divino, verso Cristo.
Il paradigma dell’orientazione verso Cristo investe non solo tutta la Liturgia – ha precisato Magnani -, ma anche tutti i ministeri, nessuno escluso.
Infine il prof. Magnini ha fatto una digressione sulla Parola, anche questa fondamentale nelle celebrazioni quanto l’Eucarestia. La Parola – ci ha detto – va anch’essa celebrata. Esiste una ritualità celebrativa che ruota intorno alla Parola che vale la pena mettere in evidenza. La Parola non va letta, ma proclamata, con attenzione e perizia, è necessario, cioè, prepararsi alla proclamazione con competenza e serietà, senza improvvisare; essa deve poi essere ascoltata con attenzione, ed è seguita dalla acclamazione (“rendiamo grazie a Dio!”, “lode a te o Cristo!”) e dal dovuto silenzio; va venerata (bacio della Scrittura, incensazione):
«Lo scopo non è sapere tutto di Dio, conoscere tutte le sue idee e progetti, lo scopo è immergersi nella Parola, di condurci nel mistero e alla presenza di Dio, presente nella Parola. Lo scopo è farci stare attorno a Gesù, creare una relazione con Lui, e questo è più importante dei contenuti che pur nella Parola vengono comunicati».
Lo scopo – ha concluso – è creare una relazione con Dio, stare davanti a Lui, con Lui, per questo l’ars celebrandi non è un optional da lasciare in mano ai maniaci del ritualismo, è l’ordine della relazione con Dio: «È dono di portare la nostra vita alla sorgente della Parola e alla presenza dell’amore del Signore».